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Morire all'ombra dei Carpazi

Sussistono in Romania tradizioni funerarie molto particolari e suggestive che hanno origini antichissime tanto da essere anche oggetto di studio.


Nel panorama composito dei Paesi del Sud-est europeo, pur prossimi geograficamente e talvolta strettamente connessi tra loro sul piano storico, si può notare che essi hanno sviluppato tradizioni estremamente peculiari per ciò che riguarda i riti funerari. In tale varietà spicca la Romania dove le pratiche funerarie, soprattutto nelle regioni agricole e pastorali, sono rimaste invariate nel corso dei secoli offrendo una ricchezza rituale da lungo dimenticata in Occidente. La Romania rappresenta, in effetti, un caso particolare. Qui le credenze popolari sono rimaste intatte da tempi remoti e nei Carpazi i defunti vengono sepolti come mille anni fa, preparando loro un viaggio verso le regioni oscure dell'aldilà esattamente come lo facevano i contadini in tempi ormai lontani. Le tradizioni sono sempre vivaci e si esprimono nei differenti momenti della vita dell'individuo e del gruppo: nascita, matrimonio e soprattutto la morte. La modernità ed i cambiamenti politici e sociali non sembrano aver avuto presa sulle attitudini riguardanti la morte che ci offrono un quadro che potremmo definire “trans-istorico”.

Concezione della morte 

La tematica mortuaria è estremamente visibile in Romania: se il famoso “Cimitero Gioioso” di Săpânța (che abbiamo descritto nel n. 2/2020 di Oltre Magazine), con le sue stele in legno scolpito che evocano in modo spesso umoristico la vita del defunto, ne è l'esempio più noto, chiunque si rechi per la prima volta in questo Paese rimane colpito dall'onnipresenza di riferimenti alla morte ed alle pratiche funerarie nello spazio pubblico, sia rurale che urbano. In Romania, più che in qualsiasi altro Paese europeo, compresi quelli limitrofi che presentano forti somiglianze socio-culturali, la morte e gli oggetti ad essa associati si fanno notare in modo spettacolare ed allo stesso tempo placido.

Lo sviluppo economico, l'industrializzazione e l'urbanizzazione, la creazione di nuove strutture sociali, l'introduzione di un'ideologia di stato onnipresente e la volontà di una nuova rappresentazione del mondo fondata sul materialismo storico...tutti questi tratti, propri delle società occidentali in certi casi e di quelle comuniste in altri, inducono a pensare a mutazioni profonde delle pratiche tradizionali e della visione del mondo che le sottende. In Occidente il cambiamento di mentalità e l’abbandono delle credenze dovuti all'evoluzione della civilizzazione hanno avuto l'effetto di "confinare" la morte in uno spazio di rifiuto mentale. A poco a poco è stata relegata al fatto medico-scientifico, a quello demografico o a quello della cronaca. Parlare della morte ci mette a disagio e a forza di desacralizzarla l'abbiamo resa un tabù. In Romania, al contrario, non è la sua negazione che si impone al nostro sguardo quanto piuttosto il modello di una morte ancora controllata, nel significato tradizionale del termine, e cioè un sentimento non di "rottura" ma di "passaggio" che dà luogo tanto all'osservanza di rituali complessi, riguardanti i defunti e la comunità dei viventi, quanto ad una visione elaborata dell'aldilà.
 
Pratiche scrupolose, che si spalmano su varie settimane o vari cicli, assicurano al defunto un'integrazione riuscita nell'altro mondo e confortano la comunità con la certezza che l'ordine naturale è di nuovo possibile. Siamo in presenza di un paradosso che vede la permanenza di rituali ancestrali in un mondo che fino ad una ventina d'anni fa era materialista e portato a trattare la morte come un fatto amministrativo. Una visione che si è effettivamente affermata nei vari paesi comunisti. Ma non in Romania. Solo recentemente le cose hanno iniziato a modificarsi soprattutto a causa dell'importante flusso migratorio (5 milioni di Romeni su 22, emigrati in particolare verso Spagna e Italia) per cui i problemi logistici riguardanti il funerale nonché la lontananza ed il conseguente allentamento dei legami tradizionali con il villaggio hanno determinato un approccio che si apparenta, talvolta, con quello ormai consueto dei paesi occidentali. Ma vediamo di descrivere quelle tradizioni che ancora sussistono.

Chi è prossimo al trapasso deve lasciare il mondo dei viventi rispettando certe regole e passare in quello dei defunti sottomettendosi a quelle dell'aldilà. I riti funerari in quanto riti di passaggio sono dunque complessi. Essi concernono sia colui che se ne va che quelli che restano e si protraggono nel tempo: sono necessari ben sette anni perché il defunto integri definitivamente il mondo ultraterreno. La morte viene considerata come una nascita su un piano esistenziale nuovo. Questa seconda nascita non è, come la prima, un fatto biologico naturale. Non venendo "data" essa dev'essere creata ritualmente. In tal senso la morte è una iniziazione, un'introduzione ad un nuovo modo di essere. Il defunto si trova, come il neonato, in una condizione de debolezza, ignoranza ed incertezza.

La toeletta funebre

Le spoglie devono essere manipolate, lavate per essere purificate, vestite e sottoposte a rituali particolari prima dell'inumazione. Tutta la comunità si stringe attorno alla famiglia. Le tappe principali di tali rituali, tutte centrate sulla nozione di "spezzare, liberare, purificare", sono la toeletta, la vestizione, la veglia che dura tre giorni e tre notti durante i quali il defunto non dev'essere mai lasciato solo, il rituale delle Albe, la levata del corpo, il corteo funerario e l'inumazione dopo una cerimonia religiosa.

Un rituale ben codificato, quindi, anche se non esente da varianti regionali. Come ad esempio, nel Nord dell'Oltenia, dove c’è l'usanza della “menzogna” (Minciuna) che consiste nel far credere al defunto di non voler lasciarlo andare al momento della levata del corpo. Ciò viene dalla necessità cosciente d'imporre la volontà dei vivi al defunto in un rapporto di forze determinante affinché quest'ultimo non abbia la tentazione di ritornare e che possa andarsene da solo senza portarsi appresso, in guisa di compagno di viaggio, qualche membro della famiglia.

Nel caso di un decesso in casa il corpo viene esposto, ove possibile, sul balcone o nel cortile accompagnato dalla "cóliva". Si tratta del primo pasto funerario tradizionale cui seguiranno molti altri. Per la toeletta il corpo viene completamente svestito e deposto in un grande bacino dove verrà lavato, come un bambino, da tre membri della famiglia. Si tratta di un atto valorizzante che permette al defunto di liberarsi dagli ultimi elementi materiali. Tutti i residui della toeletta (strumenti come forbici, pettini, rasoi, spugne, sapone nonchè unghie, capelli, peli della barba...) vengono posti in un sacchetto assieme, talvolta, al chiodo che è servito per trafiggere il defunto in caso di dubbio ed impedire così che in date situazioni possa trasformarsi in vampiro. Tale sacchetto verrà posto nel cuscino su cui poggia il capo del trapassato con precauzione ed attenzione visto che tali resti sono molto ricercati dalle fattucchiere. Si narra che una di esse sia riuscita ad asportare il dito di un cadavere in un momento di disattenzione dei presenti, mentre un'altra è stata sorpresa, nella notte successiva alla sepoltura del figlio, a dissotterrare la bara per potersi servire più comodamente. Tutti questi residui hanno a che fare con le pratiche magiche che volgono, per analogia col mutismo e l'immobilitaà del defunto, ad immobilizzare e a far stare zitto un avversario, un concorrente e soprattutto i professionisti della parola che sono giudici, avvocati e funzionari.

La veglia

Dopo la toeletta il corpo viene vestito con gli abiti previsti da tempo per tale circostanza chiusi in una valigetta o in un fagotto e conservati in un luogo poco frequentato della casa, onde evitare qualsiasi contaminazione. La salma poi viene lasciata sul letto di morte circondata da fiori e candele e sarà vegliata per tre giorni e tre notti. Spesso la veglia notturna riunisce i partecipanti attorno a dei giochi osés. Da sempre la Chiesa, quella ortodossa in questo caso, condanna tali pratiche per "mancanza di rispetto per il defunto". Però appena il pope se ne va tutto ricomincia come prima.
 
La notte è inseparabile dalla morte. È quando le tenebre avvolgono l'uomo che la morte, pare, si manifesta. L'annuncio di un decesso, invece, è sempre messo in relazione col sorgere del sole. Al suo levarsi le Albe o Aurore (Zorile) marcano il primo momento importante della separazione. Si dice che siano tre sorelle. Arrivano in quel momento per cercare l'anima del defunto e condurla verso l'altro mondo prodigandole i consigli sul cammino da seguire ed i pericoli da evitare. Le Albe vengono a preparare il viaggio dell'anima
allo stesso modo che le Destinate (Ursitorile) erano giunte, il terzo giorno dopo la nascita, per fissare il destino del neonato: durata della vita, felicità o sfortuna, matrimonio o celibato (o nubilato) e financo la professione.

L’accompagnamento al cimitero

Dalla levata del corpo al cimitero e durante tutti i quaranta giorni successivi alla sepoltura vengono innalzate, una dopo l'altra, delle barriere per tagliare i ponti tra il morto ed i vivi, confondere le piste, ed obbligarlo a proseguire il suo cammino senza tornare indietro. Non bisogna dare all'anima, nel suo proprio interesse, nessuna possibilità di tornare sui suoi passi poiché, debole com'è rischierebbe di prolungare la situazione di disequilibrio indotta dal decesso. Anche per questo, una volta che la bara è uscita dalla casa, le porte e le finestre vengono chiuse per evitare "che il defunto guardi indietro". Le tavole e le sedie su cui la bara è stata appoggiata vengono portate nel cortile e capovolte. Recipienti, bicchieri, piatti e tutti gli oggetti con un'apertura vanno rovesciati per evitare che un eventuale contenuto non venga considerato un invito e richiami un'anima che tardasse ad andarsene.

Il cammino fino al cimitero ed il ritorno sono egualmente caratterizzati da pietre miliari ben codificate. Non guardare indietro, non ritornare per la stessa strada, riservare pianti, lamenti, grida ed espressioni di dolore solo all'andata ma tacere durante il ritorno, momento in cui bisogna sbarazzarsi del morto e non mostrare che lo si rimpiange. Una volta a casa il dolore può riprendere. Durante l’inumazione, dopo aver gettato una manciata di terra nella tomba, bisogna prenderne un'altra e gettarla dietro le spalle guardando verso levante. Ritroviamo qui le consuetudini che assegnano tradizionalmente l'Ovest ai defunti e l'Est ai vivi, alla luce nascente della vita.

La "Pomana"

L'asse centrale delle pratiche funerarie romene è la “pomana". Il termine, di origine slava, designa principalmente un dono per i morti il cui beneficiario è l'anima del defunto ma a condizione che la trasmissione di tale offerta sia mediata da un vivente. Si tratta generalmente di pane, acqua o vino e di ceri in occasione del grande banchetto funerario egualmente definito col termine generico di pomana. Può altresì venir fatta sotto forma di elemosina per i poveri facendo dono, ad esempio, degli effetti personali dello scomparso. Essa ha luogo il giorno della sepoltura, il sabato successivo, nuovamente dopo quaranta giorni ed ancora dopo sei mesi e ad un anno dalla scomparsa. Successivamente ad ogni anniversario della morte per sette anni.

I doni fatti in occasione della pomana sono relativi ai bisogni del defunto nel suo viaggio nell'aldilà: la luce per illuminare il cammino (la candela accesa al decesso), il denaro per pagare i doganieri (possono arrivare a 72), un bastone per camminare e per difendersi. Uno degli aspetti più interessanti, soprattutto in ambito rurale, è la presenza di numerosi oggetti del quotidiano offerti alla salma: una moneta posta nelle sue mani, il "cero della vita" colato su una corda che circonda la vita, pani dai disegni elaborati, “cóliva” etc.

È interessante spendere due parole sulla “cóliva”. Si tratta di un dolce di grano bollito e miele usato nella tradizione cristiano-ortodossa come pasto simbolico nelle commemorazioni dei defunti. Preparata dalle donne, il cui ruolo nelle pratiche funerarie è capitale, viene servita con la "Țuică" un distillato di prugne (due bicchierini che "bisogna" bere: uno per il vivo e l'altro per il morto). Le ricette possono variare, con aggiunta di semi e/o frutti, così come i recipienti in cui viene offerta. Può trattarsi di una ciotola o di un vassoio dove è sistemata con un rialzo centrale in modo da assomigliare ad una tomba (in questo caso il colore scuro del grano sottolinea la somiglianza con la terra della sepoltura). Spesso nel suo centro, od al centro della croce eventualmente disegnata su di essa, si pianta una candela che si accende durante la funzione funebre. Tutti gli ingredienti sono scelti per il loro valore simbolico collegato alla morte ed alla resurrezione: il grano ricorda la vita che per risorgere dev'essere sepolta nella terra; il miele ricorda la terra promessa e la dolcezza della vita eterna che è espressa anche da tutta la ricchezza degli elementi aggiunti.
 
Al termine di un viaggio di sette anni si ritiene che i defunti siano completamente integrati alla comunità dei morti nella massa anonima con i quali si sono fusi. Tuttavia i viventi continuano ad inviar loro tutto il necessario per i loro bisogni nell'aldilà in occasione di cerimonie collettive come ad esempio i pasti sulle tombe (talvolta veri e propri festini) che sorprendono gli spettatori occidentali. Ancor più sconcertanti sono i rituali di riparazione (morte-matrimonio per i celibi) o la "doppia sepoltura" che consiste in una esumazione dopo sette anni, nel lavaggio delle ossa con il vino ed in una benedizione del prete seguita da una nuova inumazione.

Il divenire dell'anima non dipenderà dunque unicamente dalle azioni, buone o cattive, effettuate dal defunto in vita, ma egualmente e probabilmente soprattutto, dal rispetto scrupoloso dello scenario funerario da parte della famiglia. Se per qualche motivo i rituali previsti non fossero rispettati l'anima dello scomparso potrebbe ritornare, sotto forma di vampiro, per lamentarsi.

La posizione della Chiesa

Questo approccio si discosta dalla concezione cristiana dell'aldilà, tuttavia queste pratiche sono tollerate dalla Chiesa ortodossa, maggioritaria in Romania. Le commemorazioni individuali e collettive dei defunti non riservano che una posizione marginale al prete ed all'istituzione ecclesiastica. Sono i fedeli, e tra di loro qualche "esperto" di questioni funerarie (spesso delle donne anziane) che determinano la canonicità del rituale giungendo, in certi casi, ad imporre al prete l'osservanza dello stesso.

Anche la Chiesa prevede una serie di commemorazioni da effettuarsi a determinati intervalli di giorni che richiamano numeri simbolici del Cristianesimo: il 3° giorno dopo la morte, giorno del funerale, numero che coincide con la Santissima Trinità; il 9° giorno che appartiene alle 9 schiere di angeli, fino alla nona ora, prima della morte di Cristo sulla croce; il 40° giorno dopo la morte, che ricorda l'ascensione al cielo. Altri riti si susseguono 3, 6 e 9 mesi dopo la morte, sempre in onore della Santissima Trinità. C’è poi la celebrazione ad un anno dalla morte, giorno che vuole in un certo qual modo festeggiare il compleanno, quando il defunto è rinato nella vita eterna. Molti compiono questo rito ogni anno fino a 7 anni, numero che rimanda anche il settimo giorno della creazione. Ad ogni servizio commemorativo, viene offerto un pasto. È preferibile che il cibo sia ben caldo, fumante per nutrire l'anima in senso spirituale e il vapore vuole anche simboleggiare l’elevazione dell'anima al cielo.

In definitiva le tradizioni funerarie romene sono "uniche" ed sono da tempo oggetto di numerosissimi studi condotti da etnologi di chiara fama. Forse la lettura di queste righe inciterà i più curiosi ad addentrarsi in uno spazio vastissimo e ricco di sorprese.

Buone vacanze post-covid a tutti!
 
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