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Una inquietante favola che sopravvive agli eventi

"Tu non sei un killer, Leonard. È per questo che lo fai così bene" Teddy Gammel
Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio. Soprattutto se sei alla ricerca dell’assassino di tua moglie, se vivi circondato da personaggi ambigui e misteriosi e se soffri di perdita della memoria a breve termine. Proprio come Leonard Shelby. Questo è Memento, il thriller psicologico firmato Christopher Nolan che mette in scena la vicenda di un improvvisato investigatore con una pericolosa deficienza mentale.
No, non è vero. Memento non è solo questo. Non è l’originalità della trama a renderlo unico nel suo genere. L’eccezionalità della pellicola sta nel montaggio. Del resto, dove è scritto che una storia cominci sempre dall’inizio? O che la vicenda segua perennemente uno sviluppo cronologico? Perché invece non sovvertire il naturale ordine temporale? L’intuizione di Nolan è semplice, ma geniale: il film inizia dalla fine e procede a ritroso. Il regista scandaglia le abituali coordinate spazio-temporali disorientando lo spettatore, ma mantenendo assoluta credibilità nella narrazione. La vicenda è lineare, intricata ma lineare, la differenza è che si evolve al contrario. Da qui, l’immedesimazione tra pubblico e protagonista diventa forzatamente più profonda: proprio come Lenny, lo spettatore è spaesato, confuso, si sforza di ricordare, ma i particolari sfumano velocemente e sfuggono ad una analisi più attenta. Non resta che fare affidamento sugli stessi elementi di cui si serve il protagonista per non dimenticare: fotografie, annotazioni, tatuaggi. La sua è però una realtà fallace e filtrata attraverso le sue stesse decisioni, attraverso cosa sceglie di ricordare e cosa invece preferisce dimenticare. La selezione dei ricordi è tutta orientata al suo proposito di vendetta, che sembra essere soddisfatto all’inizio (nel finale), ma che assume contorni incerti ed oscuri nel finale (all’inizio). Lo spettatore rimane interdetto e dubbioso: a differenza di Leonard non astrae solo specifici dettagli dalla vicenda, ma riesce a mantenere una visione d’insieme in cui vi è qualcosa che stride. Forse perché non si capisce quanto di vero ci sia nei racconti dell’amico-nemico Teddy; forse perché non convince la buona fede della misteriosa Nathalie; forse perché, in un modo o nell’altro, tutti approfittano del problema mentale di Leonard per rivolgerlo a proprio vantaggio.
Memento non risponde quindi agli interrogativi, ma ne crea di ulteriori e proietta una giostra di ambiguità in cui non si distingue la menzogna dal reale (“So you lie to yourself to be happy. There’s nothing wrong with that. We all do It” – “Quindi tu menti a te stesso per essere felice. Non c’è niente di male. Lo facciamo tutti”). Quello di Nolan è un thriller irrisolto dai risvolti drammatici, in cui sono presenti tutti gli elementi propri del genere – la bella donna dal passato oscuro, l’omicidio, la caccia al killer misterioso, la tensione crescente – rimaneggiati però nell’ottica puramente soggettiva del suo protagonista. Leonard è sempre al centro della scena, la macchina da presa segue ogni suo movimento e l’abbondante uso della voice over mette a parte lo spettatore di tutti i suoi pensieri. I dialoghi veri e propri del resto sono ridotti all’osso, e la condizione mentale del protagonista li trasforma in scambi di battute brevi e ripetitivi, ma mai noiosi. La colonna sonora, poi, da appena percepibile nei frames di collegamento in bianco e nero, sale di tono durante l’azione, ma accompagna l’andamento della vicenda senza mai soverchiare le immagini.



 
Laura Savarino
MEMENTO
(USA, 2000)
di Christopher Nolan
Durata: 114 minuti
Cast: Guy Pierce, Carrie-Anne Moss, Joe Pantoliano, Mark Boone Junior, Russ Fega


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