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Giulia e le altre

Il femminicidio, uno dei crimini più inquietanti e tragici che turba le nostre coscienze.

L’assassinio di Giulia Cecchettin da parte dell’ex fidanzato, alla vigilia della Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne che si celebra il 25 novembre, ha suscitato una tale ondata di emozione da aver generato una forte ed inaspettata reazione nell’opinione pubblica.

Morire per mano di un altro essere umano è un accadimento che provoca grande sgomento. In Italia vengono commessi circa 320 omicidi volontari ogni anno, di cui un terzo delle vittime è rappresentato da donne. Varie sono le motivazioni per cui si uccide: dalle rapine al regolamento di conti tra bande rivali nell’ambito della malavita, da ragioni di interesse economico alle liti tra vicini o tra parenti per i più disparati futili motivi, oppure per sete di vendetta, gelosia o per puro rancore.

Cos’è il femminicidio?

Quando si può e si deve parlare di femminicidio? Per definizione si parla di femminicidio quando una donna viene uccisa da un uomo, in quanto donna. Secondo il recente rapporto della Direzione centrale della Polizia criminale del Ministero dell’Interno, datato 19 novembre u.s., da gennaio 2023 sono stati rilevati sul territorio nazionale 295 omicidi, con 106 vittime di sesso femminile, di cui 87 uccise in ambito familiare o affettivo. A questi numeri ufficiali, potrebbero poi sommarsi altre morti imputate ad incidenti di vario genere che forse incidenti non lo sono stati.

I numeri ci dicono che il femminicidio rappresenta la maggior parte dei delitti perpetrati sulle donne, tutti accomunati dall’essere maturati, al culmine di anni di soprusi, all’interno della famiglia o di relazioni sentimentali malsane se non tossiche. Nella quasi totalità dei casi l’autore del reato è un uomo, solitamente il partner o l’ex partner. La distribuzione geografica risulta sostanzialmente omogenea nelle diverse zone del Paese, anche se negli ultimi anni vi è stato un aumento nelle regioni del Nord e una conseguente diminuzione nel Mezzogiorno.

Dietro ad ogni femminicidio ci sono sempre storie di sopraffazione: donne vessate e umiliate, oggetto di gelosie immotivate e patologiche, vittime di violenze psicologiche e fisiche, costrette ad interrompere i rapporti con parenti ed amici, private della libertà di movimento e di pensiero. Donne non raramente minacciate di morte proprio da quei compagni che avevano giurato di amarle. E se trovano il coraggio di troncare la relazione o di denunciare, si mettono in una posizione di effettivo pericolo per la loro incolumità fisica, in quanto manca una vera e propria rete di protezione e di supporto psicologico e pratico.
E vanno ricordate anche tutte quelle vittime non annoverate nei numeri dei decessi, semplicemente perché sono state solo ferite o sono riuscite a mettersi in salvo per il rotto della cuffia.

Fattori di rischio

Non è facile tracciare un identikit dell’uomo violento perché ogni persona è un mondo a sé e alle spalle ha un proprio vissuto. Psicologi e psicoterapeuti concordano tuttavia nell’individuazione di alcuni elementi comuni alla maggior parte dei casi di femminicidio o di maltrattamenti sulle donne in generale. L’ambiente in cui l’uomo diventa adulto è sicuramente la condizione che maggiormente incide sulla sua personalità e sui suoi comportamenti futuri. Colui che cresce in una famiglia dove le scene di violenza sono quotidiane o se è stato egli stesso oggetto durante l’infanzia o l’adolescenza di abusi e di angherie ha una buona probabilità di esprimersi a sua volta in modo aggressivo. L’abuso di alcol e di sostanze sono altre componenti che possono incrementare il rischio di scatenare rabbia e azioni brutali. Contano anche le lacune educative: genitori che non sono stati all’altezza del loro ruolo, a cui è mancata quella necessaria componente di autorevolezza, che non hanno saputo stabilire regole o porre limiti evitando di soddisfare ogni desiderio del figlio, se non addirittura di anticiparlo. Nel libro Il bambino sovrano lo psicologo francese Daniel Marcelli ritiene che alla base della violenza adolescenziale (che si rifletterà poi nell’adulto) vi sia l’incapacità di affrontare e superare le frustrazioni a causa di genitori iperprotettivi che hanno posto il figlio su un piedistallo, che non hanno mai risposto con un “no” alle varie richieste, che non gli hanno insegnato che a volte si deve rinunciare e si può perdere. In questo modo alla prima difficoltà il giovane rischia di crollare e una risposta violenta è una conseguenza che si può verificare con una buona dose di probabilità. Ciò spiegherebbe anche l’incidenza sempre più frequente per cui le violenze di genere coinvolgono sempre più spesso anche i giovanissimi, impreparati alle prime delusioni amorose, impotenti di fronte alla sofferenza di un rifiuto che non sanno accettare, privi di quelle esperienze e quegli strumenti interiori in grado di trovare le forze e le motivazioni per superare un momento doloroso.

Certamente non è una regola che chi abbia vissuto nei contesti sopra descritti diventi inevitabilmente un soggetto pericoloso, fortunatamente nella maggior parte dei casi non è così. Diciamo che più che cause questi sono fattori di rischio.

Chi sono gli uomini violenti?

I “maltrattanti” sono uomini incapaci di concepire l’autonomia altrui e che ritengono la compagna un bene di possesso, diventando ossessivi e aggressivi di fronte ad una fidanzata o a una moglie ammirata e benvoluta, che ha maggiore successo di loro, temendo la perdita della propria autorità. Uomini narcisisti che hanno reazioni rabbiose se ricevono una critica perché bisognosi di una continua conferma della propria autostima. Persone fragili che per reazione devono essere sempre in una posizione dominante anche nel rapporto con la partner: ogni cosa anche insignificante su cui non hanno pieno controllo viene vissuta come una minaccia di abbandono; e se poi la donna li vuole lasciare o se solo ne hanno il sospetto, vedono nella sopraffazione e nella violenza l’unico modo per mantenere il legame.

Perché la storia di Giulia ci ha così colpito?

Giulia purtroppo non è stata e non sarà l’ultima a morire per mano di un compagno o di un ex. Il suo caso ha tuttavia turbato e commosso più di altri. I motivi sono vari. Innanzitutto c’è stato un riflettore mediatico puntato sulla notizia per diversi giorni prima del ritrovamento del suo corpo in quanto dei due ragazzi si erano perse le tracce. Poi la giovane età di entrambi, ma soprattutto la personalità semplice e solare di Giulia, una ragazza dal sorriso rassicurante che pensava alla sua festa di laurea e ad un futuro da vivere come protagonista, la “ragazza della porta accanto”, la figlia o la sorella che tutti vorremmo avere. Ha colpito inoltre il fatto che questo femminicidio sia maturato in un contesto familiare e sociale apparentemente “normale”, privo di segnali tali da far suonare campanelli d’allarme. Ma in realtà ci troviamo davanti ad una situazione già vista: un ragazzo incapace di fare i conti con la fine di un rapporto, che non sopportava la libertà e il successo della sua ex (il fatto che si laureasse prima di lui pare sia stato uno dei motivi scatenanti) ritenendo che per questo meritasse di essere punita.

Le responsabilità sociali

Viviamo ancora in una società di stampo patriarcale che vuole l’uomo forte e vincente, a cui si richiede di mantenere sempre il controllo, a cui vengono riservati i ruoli apicali nell’ambito lavorativo e che a parità di mansioni ha un riconoscimento economico maggiore. Una società che relega spesso la donna a “moglie, figlia o sorella di”, quasi non avesse un valore essa stessa.

«Ci sono tante responsabilità, ma quella educativa ci coinvolge tutti» recita uno stralcio della lettera che Gino Cecchettin ha letto al funerale della figlia. «Mi rivolgo prima agli uomini: parliamo agli altri maschi, per primi dobbiamo dimostrare di essere agenti di cambiamento, contro la violenza di genere. Non giriamo la testa di fronte a determinati gesti, anche i più lievi. Chiamarci fuori, difendere il patriarcato, trasformando le vittime in bersagli, non aiuta ad abbattere le barriere. Da questa violenza si esce fuori sentendosi tutti coinvolti, anche quando ci si sente tutti assolti».

È stato un 25 novembre diverso quest’anno con una incredibile partecipazione nelle piazze delle città italiane, alla presenza anche di tanti uomini. L’assassinio di Giulia ha scosso nel profondo le coscienze, trasformando il minuto di silenzio in un minuto di rumore, perché tacere non è più ammissibile. Ci auguriamo che questo ennesimo femminicidio segni uno spartiacque che inneschi davvero quel cambiamento culturale perché di questi odiosi fatti di cronaca non se ne senta più parlare.
 
Raffaella Segantin

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