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La crisi cimiteriale italiana

Normative inadeguate, tempi moderni e cremazione pesano su quella che nell’800 era una “macchina perfetta”.

Un cimitero ha storicamente e principalmente due funzioni:
  1. è il luogo in cui si compiono i processi trasformativi di un cadavere in modo controllato e con riflessi prestabiliti per l’igiene e la sanità pubblica;
  2. è il luogo di memoria di una collettività e mediazione dei processi di elaborazione del lutto singolo.
Le norme che regolano i cimiteri vorrebbero che questi funzionassero in maniera “perfetta” dal punto di vista igienico sanitario, costituendo così una macchina cimiteriale funzionalmente adeguata ai bisogni e che garantisca il risultato atteso.
Secondo le leggi e i regolamenti un cimitero tradizionale italiano è dedicato a seppellirvi i cadaveri a sistema di inumazione o di tumulazione.

Inizialmente, nell’800, per la quasi totalità il sistema cimiteriale italiano si basava sull’inumazione decennale, con avvio – a fine ciclo - all’ossario comune per le ossa non richieste in conservazione.
La tumulazione ha un peso residuale e diventa evidente nell’800, come scelta delle classi dominanti e segno dei potenti e dei ricchi. Essendo pochi i morti appartenenti alle classi dominanti, la normativa era (e resta ancor oggi) di natura conservatrice delle spoglie mortali, addirittura in perpetuo.
La perpetuità si rammenta, venne eliminata dal D.P.R. 803/1975, entrato in vigore il 10/2/1976, ma sostituita da una concessione fino a 99 anni, salvo rinnovo. Il successivo D.P.R. 285/1990, non ha modificato questa impostazione. Si annota che l’attenzione normativa al destino delle ceneri di defunti cremati è scarsa in Italia ancora nel D.P.R. 285/90: solo con la circolare 24/1993 si comincia a intervenire in maniera organica sulle regole per la sepoltura delle ceneri. Sarà poi con la L. 30/3/2001, n. 130 e con le norme regionali conseguenti che la cremazione prenderà piede in Italia e sarà regolamentata sempre più dettagliatamente.

E quindi il cimitero, per il legislatore del nostro Paese, appare ancor oggi come una macchina perfetta, ma pensata normativamente per i bisogni della società dell’800 o forse dei primi del ‘900: tanti morti poveri da seppellire in campo comune e dopo 10 anni con le ossa da collocare in ossario comune; pochi defunti abbienti in vita, con spoglie da conservare indefinitamente nei sepolcri.
Le strutture principali di una macchina cimiteriale siffatta sono:
  • il recinto cimiteriale, che distanzia la città dei morti da quella dei vivi, con in mezzo un’ampia zona di rispetto cimiteriale;
  • i campi comuni, l’ossario comune, le aree da concedere a pagamento;
  • la camera mortuaria.
L’azione trasformativa cimiteriale era affidata principalmente alla natura, essendo il feretro inumato nella buca e circondato dal terreno “sciolto”.

È soprattutto nel secondo dopoguerra italiano che masse imponenti di popolazione transitano verso nuove condizioni economiche.
Si avvertono nuove esigenze, non solo nella dinamica urbana (la città dei vivi), ma anche per la città dei morti. Non era solo il ricco o il potente a voler essere riconosciuto per il suo status anche da morto, ma pure la borghesia e la classe media ambivano a tale riconoscimento:
  1. il segno di individuazione della sepoltura nei campi comuni non è più la sola croce, o la semplice lapide, ma si diffondono sempre più veri e propri monumentini, più o meno complessi come forma, composti da un elemento verticale, la lapide, ed un elemento orizzontale, il copritomba;
  2. le cappelle funerarie non sono più appannaggio della nobiltà o dei potenti, ma sempre più famiglie borghesi acquistano concessioni cimiteriali e vi costruiscono edicole funerarie, spesso seriali e in molti casi di scarsa qualità architettonica;
  3. si diffondono, partendo dai cimiteri delle grandi città, i complessi di loculi, veri e propri elementi alveolari o scatolari per le classi intermedie, bisognose di distinguersi dalla sepoltura in campo comune, vista ancor oggi al Centro e Sud Italia, come sepoltura di povertà.
È attorno al 1980-90 che in alcune zone d’Italia si rilevò, al momento della esumazione decennale, e alla estumulazione di feretri da tomba privata anche a distanza di 30, 40 o più anni dalla tumulazione, una accentuata quantità di salme “inconsunte”, esito di processi trasformativi conservativi (mummificazioni, saponificazioni, corificazioni).
L’area geografica maggiormente interessata da questi fenomeni in occasione di esumazioni risultava la pianura padana, data la natura dei terreni dei campi di inumazione, con punte nel veneziano, nel mantovano e nel ferrarese, cioè in zone con suoli poco permeabili e/o con livelli di falda alti.
A questi primi fenomeni si aggiunsero le grandi quantità di “salme inconsunte” che emergevano dalle massive estumulazioni dei blocchi di loculi costruiti ed assegnati proprio nel dopoguerra. E i segni furono evidenti soprattutto nelle regioni centrali e settentrionali, partendo dalle grandi città.
Era anche la conseguenza del fatto che nella seconda parte del ‘900 vi era stata una esplosione quantitativa di concessioni cimiteriali a loculo, tra l’altro con l’ente locale che ne percepiva la domanda dalla popolazione e provvedeva alla realizzazione, talvolta tardiva, senza domandarsi degli effetti che ciò avrebbe potuto provocare e, nella maggior parte dei casi, sbagliando anche le politiche tariffarie.

Gli effetti della combinazione di questi fenomeni possono così sintetizzarsi:
  • riduzione della riserva di posti salma disponibili per le inumazioni in campo comune al momento del decesso, per l'occupazione dei posti con la reinumazione degli “esiti dei fenomeni cadaverici trasformativi”, laddove non venissero cremati;
  • accentuazione del disagio per questo particolare lavoro sul personale interessato;
  • impatto nei confronti dei familiari interessati (psicologico ed economico per una seconda sepoltura);
  • aumento dei costi di gestione cimiteriale e corrispondentemente degli oneri sulle famiglie;
  • sempre maggior ricorso alla cremazione, vista come soluzione definitiva.
È nei primi due decenni degli anni duemila che la macchina cimiteriale, partendo dalle grandi città del Nord, va in piena crisi, inceppandosi con il forte sviluppo della cremazione.
La cremazione è come uno tsunami per la gestione cimiteriale, perché:
  • toglie di mezzo l’elemento fondamentale per obbligare il seppellimento nel cimitero: cioè l’occultamento del fenomeno putrefattivo ed il pericolo igienico sanitario dato dall’ammassarsi di grandi quantità numeriche di cadaveri in uno stesso luogo;
  • necessita di spazi conservativi per l’urna nettamente inferiori a quelli occorrenti per un feretro;
  • costa nettamente di meno, sia perché - se le ceneri restano in cimitero – abbisogna di un contenitore più piccolo e spazi inferiori, sia perché si possono riutilizzare facilmente tumuli esistenti;
  • non obbliga alla conservazione interna al cimitero, potendo ora le ceneri essere disperse o affidate al familiare per la conservazione esterna al cimitero.
Una vera e propria rivoluzione o, come ebbi a dichiarare fin dall’inizio, la cremazione è la “killer application” per questo settore. Cosicché, col crescere a dismisura della cremazione, il delicato equilibrio dei cimiteri va in crisi.
è principalmente e inizialmente crisi economica, visto che si riducono fortemente le entrate da concessioni cimiteriali con cui si sostentavano (erroneamente) la maggior parte delle gestioni pubbliche italiane.
Ma è crisi anche architettonica, perché non si riesce a dare una risposta architettonicamente valida alle nuove tipologie di richiesta di sepoltura, basate su una maglia molto più ridotta rispetto a quella usuale del feretro.
Gli effetti di urbanistica cimiteriale, per coloro che non hanno saputo trovare soluzioni, sono le distese di ex campi di inumazione ora terribilmente ed implacabilmente vuoti.

Dal punto di vista economico il risultato è una crisi di bilancio senza precedenti delle gestioni cimiteriali, che senza soluzioni legislative adeguate rischia di produrre l’abbandono di migliaia di cimiteri al loro destino.
Ma è anche crisi di identità per il cimitero tradizionale italiano, che non riesce più ad attrarre la popolazione in visita.
Lo strumento ideale per dare risposte adeguate ai nuovi bisogni è il piano regolatore cimiteriale, ma mancano le idee, gli esperti e i professionisti capaci di interpretare i nuovi bisogni. E col prossimo articolo vedremo effetti e possibili soluzioni.
 
Daniele Fogli

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