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Il cimitero russo di Parigi

Il cimitero di Liers a Sainte-Geneviève-des-Bois, alle porte di Parigi, racconta di un forte legame tra le due nazioni e la storia della grande migrazione seguita alla Rivoluzione del 1917.

 

La comunità russa in Francia, ed in particolare a Parigi, ha lasciato segni importanti in diversi settori, soprattutto artistici, strettamente connessi agli antecedenti storici tra i due Paesi: la Francia e la Russia zarista.

L’influenza francese nella cultura russa del secolo scorso

È ben risaputo che in tutte le famiglie nobili, a cominciare da quella imperiale e dell'alta borghesia, la seconda lingua praticata era il francese. Le istitutrici e i precettori, francesi o svizzeri, abbondavano e, pur se severi come lo richiedevano le consuetudini dell'epoca, riuscivano ad inculcare nei giovani loro affidati i comportamenti appropriati e conformi all'etichetta ed una padronanza, spesso trasformantesi in amore, per la lingua di Molière. Una fitta schiera di governanti, dame di compagnia etc. completava il quadro, oltre, beninteso, ai vari nobili, uomini d'affari o ufficiali francesi delle guardie russe. Fu proprio uno di questi ultimi, Georges d'Anthès, che l'8 febbraio 1837 ferì mortalmente in duello (il decesso sopravvenne due giorni dopo) il grande poeta trentottenne Aleksandr Puškin, fondatore della moderna lingua letteraria russa nonché marito della bellissima e giovane Natalia Goncharova non insensibile, pare, alle più che assidue e molto poco platoniche attenzioni del d'Anthès. Gira e rigira da Adamo ed Eva la storia è sempre la stessa....

L'ambiente generale era fortemente francofilo tant'è che la famosa gastronomia Potel et Chabot, creata nel 1820 da Jean-François Potel, rosticciere-pasticciere, e da Étienne Chabot, “Maître de bouche” (letteralmente “maestro di bocca”, ovvero addetto gastronomico) del Duca d'Orléans, proponeva le sue preparazioni più raffinate alla tavola dello Zar già alla fine del XIX secolo. Più tardi nel 1988, aprì una filiale in Russia che disponeva anche di un battello ormeggiato sulla Moscòva, il fiume che attraversa con le sue tre anse, la capitale. I frequentatori della Mosca in quegli anni hanno vivo il ricordo dei moscoviti che parlavano in termini encomiastici della prestigiosa, per pronunciarla con il loro delizioso accento, “Patièl i Sciabuò”.
Sempre nell'ambito del lusso, chi non conosce la maison Fabergé creata dai discendenti di una famiglia francese ugonotta (calvinisti francesi, protestanti) di origine tedesca che aveva lasciato la Francia dopo la revocazione dell' Editto di Nantes (emanato dal Re Enrico IV nel 1598 che sanciva l'uguaglianza tra cattolici e protestanti) voluta nel 1685 da Luigi XIV? Dopo aver errato per l'Europa per più di un secolo essa si installa con Pierre-Karl Fabergé, nel 1842, a San Pietroburgo. Le rinomate “Uova Fabergé”, costituite da
metalli preziosi o pietre dure, decorate con combinazioni di smalti e pietre preziose, sono considerate capolavori della gioielleria. Le più celebri sono quelle fabbricate per gli zar Alessandro III Romanov ed il figlio e successore, il mite Nicola II, che le offrivano a Pasqua alle loro rispettive consorti: Marija e Alessandra Fëdorovna. I loro prezzi, le rarissime volte in cui sono proposte nelle aste, raggiungono cifre da capogiro. Nel 2007 l'uovo Rotschild Fabergé, realizzato nel 1902 per l'omonimo banchiere, è stato aggiudicato per 13,5 milioni di euro.

In tale contesto non c'è quindi da meravigliarsi se molti russi lasciando il loro Paese, di fronte agli sconvolgimenti politici e sociali derivanti dalla rivoluzione e dalla successiva guerra civile, si siano diretti verso il luogo con il quale, più che con ogni altro, ritenevano di avere delle affinità: la Francia.

Le migrazioni russe seguite alla Rivoluzione

L'ondata migratoria russa che molti chiamano, soprattutto in Francia, nel Regno Unito e negli Stati Uniti, “emigrazione dei russi bianchi” avvenne tra il 1917 ed il 1922. Erano chiamati “bianchi” in opposizione ai “rossi” bolscevichi ma anche in riferimento all’“Esercito Bianco” o alla “Guardia Bianca”, che durante la guerra civile combatté l'Armata Rossa. In effetti mentre i rivoluzionari portavano paramenti, bracciali, stelle e bandiere rosse i loro avversari si distinguevano per la coccarda bianca delle armate dei generali anti-bolscevichi Denikine e Wrangel così come bianco era il colore della Croce dell'Ordine di San Giorgio, la più prestigiosa decorazione militare nella Russia zarista. Inoltre, poiché le divise dei soldati erano le stesse (alcuni militari avevano aderito alla rivoluzione mentre altri erano rimasti lealisti conservando la divisa indossata) ogni campo si differenziava per il colore del bracciale. Non è da escludere la possibilità che molti abbiano cambiato temporaneamente il colore dei bracciali per avvicinarsi al nemico e farlo fuori di sorpresa.

I primi gruppi di arrivi sono formati da sopravvissuti delle armate imperiali e da monarchici rimasti fedeli allo Zar Nicola II dopo la sua abdicazione del 2 Marzo 1917. Essi seguono i primi movimenti che si producono già nel febbraio '17 subito dopo la rivoluzione. I "Bianchi" si dirigono verso il Sud (Ucraina, Caucaso, Crimea) ma anche verso la Finlandia. Tali migrazioni accelerano dopo la presa di potere bolscevica dell'ottobre 1917. A questo punto se ne vanno anche gli industriali, i banchieri ed i membri della sinistra non bolscevica come i social-rivoluzionari ed i menscevichi. Per informazione ricorderemo che i termini bolscevico e menscevico significano in russo “maggioritario” (teatro Bolshoi = teatro grande) e “minoritario”, anche se poi in realtà al voto erano spesso i minoritari menscevichi ad essere maggioritari.
Ma la logica delle rivoluzioni non è quella “normale” (altrimenti che rivoluzioni sarebbero?) e la violenza può fare tranquillamente a meno della democrazia quale noi la intendiamo per assumere il potere. I risultati, catastrofici, si sono visti nella settantina d'anni successivi.

Gran parte della diaspora bianca dal Sud si dirige verso Istanbul e da lì si distribuisce nel mondo: Balcani, Cecoslovacchia, Polonia, Paesi Baltici, Regno Unito e nelle due città europee di Parigi e Berlino. Altri vanno più lontano verso gli Stati Uniti, Canada, Sud America, Congo Belga, Africa del Nord mentre quelli della Siberia Orientale si ritroveranno in Cina, Giappone e Australia.

Nei Paesi monarchici (Belgio, Svezia, Regno Unito, Spagna) essi sono ben accolti dai vari regnanti; nelle altre realtà si arrangiano come possono. Molti entrano come operai alla Renault di Boulogne-Billancourt, alla periferia di Parigi, dove lavoreranno dai 4 ai 5 mila russi bianchi cioè 1 su 6), altri si arruolano nella Legione Straniera; c'è poi chi va nelle miniere di carbone in Belgio, chi raggiunge il corpo dei cadetti del Regno di Yugoslavia, chi parte per dedicarsi all'agricoltura in Argentina, Paraguay o Perù, chi diventa ingegnere in Congo e chi si imbarca sui transatlantici per fare il marinaio, il cuoco, il musicista o l’artista.

Un'attività tipica degli emigrati russi a Parigi è quella dei tassisti. Molti nobili si ritrovano a fare il taxi driver dopo aver contato nel loro Paese di una cospicua servitù. Tra di essi anche Georges Zourabishvili, il padre di Hélène Carrère d'Encausse la storica, oggi novantaduenne, autrice di molti volumi di successo molto spesso consacrati alla Russia e membro dal 1990 dell'Académie Française di cui è dal 1999 il segretario perpetuo. Primo caso per una donna!

Trasferitomi a Parigi nella seconda metà degli anni '70 mi ero subito iscritto al Conservatorio Serge Rachmaninoff, sede della Società Musicale Russa a Parigi, che aveva tra l'altro ospitato, al momento dell'esilio, il noto violoncellista e direttore d'orchestra Mstislav Rostropovitch e la moglie, l'altrettanto famosa soprano Galina Vichnevskaïa. Il fatto di essere membro di tale società mi consentiva, dopo la presentazione tassativa della tessera (anche se credo che Carolina di Monaco frequentatrice del luogo, ne fosse dispensata!) di frequentare la mensa della stessa dove officiavano come cameriere, con somma dignità, tre principesse russe già ultrasettantenni che dopo essere state ospiti dei reali del Montenegro (la cui reggia era una modesta casa a Cettigne, a una trentina di km. da Podgorica l'attuale capitale, davanti alla quale il re Nicola I Petrovic Njegoš padre della tanto amata Regina Elena moglie di Vittorio Emanuele III, seduto su una sedia impagliata, caricava la sua lula - pipa - osservando il transito sulla strada sterrata) erano giunte in Francia ed avevano dovuto trovare un mezzo per poter campare. Una di esse era stata la prima donna a conseguire, prima della rivoluzione, un brevetto di pilota d'aereo a Batùmi, località georgiana sul Mar Nero. Altro che le femministe d'oggi, stiamo parlando di più di un secolo fa!

Al conservatorio avevano insegnato la preparazione delle prelibatezze della cucina russa (il bortch, lo spezzatino alla Strogonoff, la cotoletta Pojarski, i shashlik di pollo di caucasica reminiscenza, i pelmeni, una sorta di ravioli siberiani, la vatroushka, gustoso dolce al formaggio bianco…e l'immancabile caraffa di vodka) a giovani cuochi nordafricani che se la cavavano molto bene. Da quando, già da diversi anni ormai, quel mitico luogo è diventato un ristorante come tutti gli altri, aperto a tutti (con prezzi ovviamente gonfiati) addirittura, con sommo orrore, a comitive di turisti che sbarcano dai bus, non ci ho messo più piede e nemmeno conto di rimettercelo.

Un altro luogo storico dell'emigrazione russa, scomparso anch'esso per la legge inesorabile del tempo, si trovava nella rue de Castagnary nel XV arrondissement: La Toison d'Or (il Vello d'Oro) gestito da un paio di lunatici georgiani di Sukhoùmi, in Abkhazia, che ricevevano solo su prenotazione e che frequentemente (fatto verificato di persona stando seduto di sera al mio tavolo) annunciavano il tutto esaurito al telefono anche quando di spazio ce n'era in quantità. A mezzogiorno quasi mai servivano eventuali avventori però nella tavola più recondita ed oscura del minuscolo locale c'erano sempre 5 o 6 baffuti georgiani tutti più vicini, come i titolari, ai 90 che agli 80 che non solo conversavano, come cospiratori, nella loro incomprensibile lingua, ma soprattutto trangugiavano con la regolarità di un metronomo una caraffa di vodka da 500 grammi dietro l'altra (la vodka si ordina non in volume ma in peso anche se i due sono quasi equivalenti), giusto per buttar giù i vari khinkali (ravioli), i kachapuri (focacce) lobio (fagioli in umido), il kharcho (zuppa speziata di riso e manzo) il pollo tabakà (polletto intero grigliato sulla punta di una spada) ... il tutto profumato dall'onnipresente coriandolo. Vien da pensare che la ricetta di lunga vita stia proprio nell'”acquetta” (vodka è il diminutivo di voda, ossia acqua) che non lascia un alito alcolico talché coloro che pur dopo libagioni eccessive siano in grado, una volta rientrati, di mantenere un contegno non sospetto ed improntato ad una sobria dignità, non rischiano di essere redarguiti dalle rispettive consorti.

Si calcola che almeno 2 milioni di russi (altri, come il Gran Duca Kirill, parlano di 4 o 5 milioni) abbiano lasciato la loro patria dopo il terremoto sociale del 1917. Almeno un quarto di loro, più o meno 400.000, sarebbe venuto in Francia. Se la prima ondata di immigrazione era stata aristocratica e la successiva era stata borghese, la terza, la più importante, inizia dopo la sconfitta dei grandi personaggi della contro-rivoluzione: Denikine, Youdenitch e l'ammiraglio Koltchak. Nel novembre 1920, in Crimea, Wrangel ordina l'evacuazione.150.000 russi bianchi di cui 100.000 militari vengono imbarcati su 26 navi stazionate nel Mar Nero tra cui molte facenti parte della Royale, la marina militare francese, al comando dell'ammiraglio
Dumesnil, mentre altri reduci dell'armata bianca attraversano i Carpati.

Questi gruppi sono di estrazione molto più popolare rispetto ai precedenti, ma anch'essi considerati membri dell'emigrazione bianca che pareva riservata solo ai nobili e all'alta borghesia ma che ora ingloba tutti i fuggiaschi dalla Russia zarista. A partire dal 1922-23 il fenomeno si amplifica e se alcuni, memori dei tempi andati quando venivano a svernare a Nizza e sulla Costa Azzurra, si dirigono verso quei luoghi, la grande maggioranza si reca a Parigi e di là in tutto l'”esagono” (la forma della Francia, così come l'Italia viene detto lo Stivale) a cercare i mezzi per vivere.

Luoghi di devozione degli emigrati russi a Parigi

Il simbolo della fede religiosa era la cattedrale Saint-Alexandre-Nevski, A Parigi nel VIII arrondissement, che assieme a sei parrocchie intra muros, altre sei nella periferia vicina e all'Istituto Teologico San Sergio, fa della capitale il centro dell'emigrazione russa più ricco di cattedrali. Era altresì la sede dell'Arcivescovado delle chiese ortodosse russe in Europa Occidentale sotto la giurisdizione del Patriarcato di Mosca finché il Patriarcato di Costantinopoli non ne aveva rivendicato la giurisdizione, visti i rapporti troppo stretti e compromettenti della Chiesa russa col regime comunista.
Dal 4 Dicembre 2016, giorno della sua consacrazione da parte di Kirill, Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, la cattedrale della Santa Trinità, sul Quai Branly del lungosenna a poca distanza dalla torre Eiffel, è diventata il punto di riferimento dell'ortodossia russa e costituisce un centro di grande importanza per i fedeli. Sorta per iniziativa del presidente Sarkozy è stata progettata dal famoso architetto Jean-Michel Willemotte ed ha ricevuto la visita del presidente russo Putin.

Il cimitero di Liers a Sainte Geneviève des Bois

Nei primi tempi i defunti della Russia bianca venivano sepolti nei vari cimiteri parigini ed in particolare in quello di Batignolles. Ad una trentina di chilometri al Sud di Parigi si trova, nel dipartimento dell'Essonne, il comune di Sainte-Geneviève-des-Bois dove è stata creata, nel 1879, la necropoli municipale: il cimitero di Liers (rue Léo Lagrange) che ospita defunti di tutte le fedi o senza fede. Nel 1927 Lady Dorothy Paget, una benefattrice britannica sensibile alle difficoltà degli emigrati russi, acquista una fattoria trasformata in dimora borghese nel XIX secolo, da allora nota come Castello della Cossonerie, e la offre alla sua amica la Principessa Vera Mechtchevskaïa, che ne fa una casa di riposo, la cosiddetta “casa russa” destinata ad accogliere i rifugiati bianchi.
Alla fine degli anni '60 il premio Nobel Alexander Solzhenitsyn vi si reca per intervistare un residente in vista della redazione del romanzo Agosto 1914. Nello stesso anno viene sepolta, nell'attiguo cimitero di Liers, la prima defunta della casa di riposo. Da allora quella parte del cimitero viene chiamata il "Cimitero Russo" pur facendo parte amministrativamente del cimitero comunale.

Al di fuori dei limiti cimiteriali sorge la chiesa di Nostra Signora della Dormizione, costruita nel 1939, sormontata da un bulbo blu sul tetto verde, viene iscritta nell'elenco dei monumenti storici nel 1974 (mentre la parte del cimitero di Liers occupata dalle sepolture ortodosse nel 2001). È stata progettata dall'architetto Albert Benois, ispiratosi alle chiese di Novgorod del XV e XVI sec., ed alberga, nella cripta, dignitari religiosi ortodossi.

Oggi, dopo varie estensioni, il cimitero accoglie, in 5.220 sepolture in concessione su 5 ettari, più di 15.000 defunti molti dei quali provenienti da altri paesi. Si tratta della più grande necropoli dell'emigrazione russa nel mondo e costituisce un patrimonio storico e culturale di prima grandezza. Questo sito emblematico che a differenza della restante parte spoglia del cimitero è un vero “giardino alla russa” ricco di piante e di centinaia di alberi (pini, abeti, tassi, betulle etc.) si trasforma in testimone, fiorito e rasserenante, del tragico passato dei popoli dell'antico impero russo e successivamente sovietico. La sua carica emotiva è percepita da tutti i visitatori ed in particolare da quelli che provengono dall'ex URSS dove per tanto tempo la storia dell'emigrazione venne, come tantissime altre cose, tenuta nascosta. Cosa che, ad onor del vero, accade anche dalle nostre parti dove i misteri di Stato e le menzogne dei politici sono moneta corrente.

Per parlare di tale atteggiamento di fronte al passato devo ancora una volta, il lettore non me ne voglia, menzionare un'esperienza personale altamente significativa. Più di vent’anni fa ricevevo a Parigi per un soggiorno di lavoro il direttore della Medicina Legale di Petropavlovsk Kam?atskij, capoluogo della Kam?atka la penisola russa di 1250 km. nel Pacifico. Mentre dall'aeroporto si andava verso l'albergo, mi chiese se per prima cosa non fosse possibile visitare il cimitero russo. Appena entrati si precipitò alla ricerca frenetica della tomba di Ksenia Denikina la vedova del già menzionato generale Anton Ivanovi? Denikin il capo dei russi bianchi nella guerra civile. Dopo il conflitto la coppia era dapprima finita negli USA e poi nel Regno Unito, in Ungheria ed in Francia dove il generale si spense, settantaquattrenne, ad Ann Harbor nel 1947. La vedova, che era stata insegnante e ricercatrice presso il dipartimento di slavistica della prestigiosa Columbia University di New York, ritornò in Francia dove viveva la figlia, la letterata Marina Grey, e dove si spense ad ottant'anni nel 1973. Venne sepolta nel cimitero russo rimanendovi fino al 2005 anno in cui la Russia, su richiesta della figlia, accettò di accogliere i resti della coppia che furono posti nello storico Monastero di Donskoj del 1591. Marina Grey morì il mese dopo a 86 anni.
Fui colpito dalla profonda commozione di quel medico che, pur educato nella tirannide pseudo-democratica ed oscurantista comunista, aveva conservato nel suo cuore assieme a quella libertà di pensiero che nessuno può incarcerare, l'amore per il suo Paese e la sua storia al di là di ogni retorica ma con una visibile profondità di sentimenti che mi pare, vorrei sbagliarmi, stiano scomparendo nelle nostre società individualistiche e consumistiche orientate soprattutto alla ricerca di un fugace ed egoistico edonismo.

La Russia attuale (che forse non è solo l'orco che spesso viene dipinto anche se è vero che casi come quello dell'oppositore Alexeï Navalny sono insopportabili ai nostri occhi), segue da vicino il camposanto e qualora non vi siano familiari per rinnovare le concessioni in scadenza subentra direttamente, senza tanti stati d'animo ma con il libretto di assegni alla mano, per conservarle.
Le autorità della Federazione hanno deciso, una volta per tutte, che nessun russo colà sepolto sarà privato dell'eterno riposo. Lo stesso Putin, recatosi con la moglie di allora a Sainte-Geneviève nel 2000, ha provveduto qualche anno fa al pagamento di 700.000 euro per sanare tutte le pratiche in sofferenza.

Personaggi che riposano nel cimitero di Liers

Tra i tanti personaggi illustri sepolti ricorderemo il Principe Youssupov che uccise Rasputin (il diabolico e dissoluto monaco consigliere della famiglia imperiale che in lui riponeva la speranza di guarire lo Tzarevitch Alexeï che soffriva di emofilia) il Principe Nikolaï Troubetskï co-fondatore del conservatorio di Mosca, il primo premio Nobel russo di letteratura Ivan Bunin morto in miseria a Parigi e nella cui casa moscovita abbiamo avuto il piacere di assistere ad un concerto in cui si esibiva la cantante Margarita Pisarenko nostra interprete in occasione di alcuni viaggi di lavoro in Russia, lo scrittore esiliato Andrej Amal'rik, il coreografo Serge Lifar, il grande pittore Serge Poliakoff e tantissimi altri tra cui uno dei più grandi danzatori classici del XX secolo il “tataro volante” Rudolf Nureiev, morto di AIDS nel 1993 e la cui tomba vale da sola la visita al sito. Essa è ricoperta da un magico tappeto “kilim” (il tipo di tappeto preferito dall'artista) in mosaico policromo progettato dallo scenografo Enzo Frigerio e realizzato dallo Studio Akomena di Ravenna. Tanto ci si vergogna per la vile mediocrità della classe politica italiana quanto ci si inorgoglisce per quello che gli italiani "seri" sono capaci di fare.

Ci pare infine doveroso ricordare i combattenti della Russia Bianca che hanno molti spazi loro riservati nella necropoli: le tombe degli ufficiali dell'Armata Bianca comandati dal generale Piotr Nikolaïevitch Wrangel ed evacuati dalla Crimea, il monumento alla memoria dei Cosacchi del Don, quello degli aviatori russi in Francia, nonché quello alla memoria degli ufficiali ex combattenti dell'Esercito Francese a titolo estero 1914-1918 e 1939-1945, il quadrato della Divisione del Generale Mikhail Drozdovski, la sepoltura del colonnello Sergey Matzyleff e quella del tenente di fanteria russo della prima guerra mondiale Zavadski noto con il nome di scrittore Korsak ed autore de I prigionieri.

E tanti, tanti altri che i visitatori avranno l'occasione di scoprire personalmente, memori del Foscolo e dei suoi immortali versi nei Sepolcri: “A egregie cose i forti animi accendono l'urne de' forti, o Pindemonte; e bella e santa fanno al peregrin la terra che le ricetta”.
 
Il Viaggiatore


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