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Romagna mia, Romagna nostra

Acqua, fango, morte e tanta solidarietà. La Romagna, ferita nel suo profondo, piange ma non molla.

Sicuramente quando i nostri lettori scorreranno questo articolo la fase critica dell’alluvione che a maggio ha sconvolto la Romagna sarà stata superata, l’onda emotiva si sarà spenta e i turisti saranno tornati ad affollare le spiagge della riviera.

Una situazione che sinceramente mi auguro perché vorrà dire che tutto è tornato a posto e niente è più rassicurante della normalità.
Ma nel momento in cui sto scrivendo, ciò che è successo rappresenta una ferita ancora aperta. Sono trascorse poche settimane dalla catastrofe che ha messo in ginocchio una vasta area nel nostro Paese per una pioggia battente arrivata dopo tanti mesi di siccità. Pioggia invocata da una natura che vede sempre più a rischio il suo fragile equilibrio, pioggia auspicata per alimentare i fiumi ridotti a rigagnoli, per le zolle riarse incapaci di nutrire i raccolti, per garantire le attività umane e il nostro fabbisogno d’acqua quotidiano. Ma le precipitazioni sono state troppo intense affinché l’ecosistema, violato dagli eccessivi interventi antropici, le potesse accogliere apportando i benefici sperati.

Un evento climatico estremo e violento le cui conseguenze, anche se in parte previste, sono andate al di là di ogni più nera aspettativa. Mentre tutta la fascia costiera è finita sott’acqua, nell’entroterra collinare si sono verificate centinaia di frane che hanno inghiottito tratti di strade, sbriciolato ponti, isolato diverse comunità. C’è chi ha perso la vita - 15 le vittime - e chi i sacrifici e i ricordi di una vita.

La conta dei danni, da poco iniziata, si preannuncia di dimensioni colossali. Si tratta di un’area altamente produttiva, fiore all’occhiello della filiera agroalimentare e dell’accoglienza turistica per cui la Romagna è famosa nel mondo; una zona che vanta anche la presenza di industrie di rilevanza nazionale e di numerosissime attività commerciali e di servizi. Tutti i settori sono stati coinvolti, nessuno escluso, a cui si devono sommare i danni, anch’essi ingenti, subìti dai privati cittadini.

Nemmeno i morti si sono potuti sottrarre alla devastazione, come è successo al cimitero dell’Osservanza di Faenza interessato dall’esondazione del fiume Lamone. Il muro di recinzione non è riuscito a contenere la furia dell’acqua, distruggendo un numero considerevole di sepolture. Fuori uso anche l’impianto di cremazione, che si trova all’interno dell’area cimiteriale, e le imprese di zona devono rivolgersi alla struttura di Ravenna. Ad oggi, 8 giugno, il camposanto faentino non è ancora agibile ma apprendiamo dal sito di Azimut Spa (la società di gestione del cimitero) che i lavori di ripristino sono in corso e che a giorni verranno aperti alcuni settori; tuttavia occorrerà ancora tempo per riportare il tutto in condizioni ottimali.

Anche Il Parco Beato, un suggestivo cimitero dedicato agli animali domestici che si trova nei pressi di Lugo, è stato gravemente danneggiato. «In poco più di un’ora è stato inondato da un metro e mezzo d’acqua» ci riferisce Alex Manzoni, titolare anche di un’agenzia “per umani” a Conselice. «Le lapidi, che ora sto pulendo e sistemando una ad una, sono state divelte, spariti i vialetti, rovinata completamente l’area parcheggio. Danneggiamenti importanti anche alla “casetta” dove si trovano il laboratorio e tutte le attrezzature per preparare le salme. A tutto ciò c’è da aggiungere che l’attività sarà bloccata per diverso tempo in quanto il terreno per ora non è in condizioni di ricevere sepolture».

Sempre a Lugo abbiamo sentito anche Jacopo Suprani dell’OF Città di Lugo che ci dice: «Poteva andare molto peggio perché per fortuna siamo riusciti a mettere in sicurezza i mezzi. Purtroppo non è stato così per il magazzino e abbiamo perso gran parte dei cofani e degli arredi».

A Modigliana (FC) sono state invece le frane a creare disagi. «Sembra che le nostre colline abbiano subito un bombardamento, è uno spettacolo impressionante, un miracolo che non vi siano state vittime» ci racconta la signora Rita Dal Monte dell’agenzia Cicognani che fa parte del gruppo OF Zama di Faenza. «Siamo stati isolati per diverso tempo. Proprio in quei giorni abbiamo avuto la necessità di organizzare un servizio che è stato portato a termine in condizioni a dir poco avventurose, grazie alla collaborazione dei parenti del defunto e di tutta la comunità».

Ha stupito e commosso l’immediata reazione della gente. La Romagna ha un passato di povertà e se oggi è una terra ricca lo deve proprio alla tenacia e alla laboriosità della sua popolazione. La voglia di rialzarsi ha prevalso sulla disperazione e al grido di tin bota! (tieni duro) sono subito entrati in azione badili, ruspe idrovore e migliaia di braccia. Dopo un primo momento di comprensibile sgomento tutti si sono dati da fare come meglio hanno potuto e con qualsiasi mezzo a disposizione per pulire, risistemare, aiutare e salvare il salvabile. La capacità di non perdersi d’animo e lo spirito di collaborazione hanno fatto un piccolo miracolo: quello di riuscire in poche ore ad invertire il flusso del Canale Emiliano Romagnolo per salvare il centro storico di Ravenna, patrimonio UNESCO per i suoi monumenti e i mosaici bizantini di inestimabile valore.

Numerose le attestazioni di solidarietà, come i provvidenziali e solleciti aiuti, in termini di uomini e mezzi, arrivati da tutta Europa o come il gesto altruistico di una cooperativa di agricoltori che ha scelto di allagare i propri campi con la rottura controllata dell’argine di un canale pur di salvare le case circostanti, ben consapevoli che in questo modo il raccolto sarebbe andato irrimediabilmente perduto.

E poi ci sono stati loro: i ragazzi. Proprio quei giovani, spesso tacciati frettolosamente di superficialità e di indifferenza, sono giunti a migliaia da tutta Italia uniti dallo slogan I care (mi importa/mi prendo cura). Stivali di gomma, guanti, pale in spalla e smartphone in tasca, sono arrivati, coordinandosi sui social, per dare una mano concreta nel momento di maggiore bisogno. Hanno spalato fango, recuperato cose, distribuito viveri, assistito anziani, portato conforto. Ma hanno fatto di più: con la freschezza della loro età, hanno portato il sorriso e alimentato la fiducia. Sono stati loro i primi ad intonare Romagna mia, diventato in poche ore l’inno della resistenza, e ad improvvisare un giro di walzer sulla piazza dei paesi.

«Quei ragazzi sono stati incredibili, non ci sono parole per descriverli» testimonia Bruno Donigaglia dell’omonima agenzia funebre di Castel Bolognese mentre ancora sta combattendo con il fango che non smette di affiorare da muri e pavimenti della sua sede. «Averli al nostro fianco è stata una cosa bellissima. Se potessi farei un monumento a ciascuno di loro!»

Immagini di distruzione e di resilienza che hanno toccato nel profondo in modo unanime tutta la società civile. Se da una parte persone comuni hanno risposto prontamente con donazioni private, dall’altra si sono moltiplicate le iniziative di personaggi noti concretizzatesi nell’organizzazione di concerti e altri eventi finalizzati alla raccolta fondi da destinare alla ricostruzione. Anche le massime Istituzioni sono state molto vicine alle popolazioni alluvionate: in visita in varie località colpite per toccare con mano la devastazione, incoraggiare e rassicurare, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il capo dello Stato Sergio Mattarella e la presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen che dichiara, in un italiano perfetto, «L’Europa è con voi!».

Forse non doveva andare così o forse sì, sono anni che i campanelli d’allarme non smettono di suonare. Mancanza di prevenzione, scarsa manutenzione, troppo cemento e, forse, una gestione poco mirata delle risorse sono state le cause principali di ciò che è successo. Ma sarebbe limitativo fermarci qui, perché al di là del caso specifico, le cause sono da ricercarsi ad altri livelli. È infatti innegabile che il surriscaldamento del pianeta, dovuto alla concentrazione della Co2 in atmosfera, sia alla base di sconvolgimenti climatici estremi dalle conseguenze imprevedibili e a cui non siamo preparati.

Ci si augura che tragedie come questa non accadano più, ma purtroppo le evidenze scientifiche non sono confortanti. L’emergenza climatica non è un tema da salotti o da talk show. È la sfida del momento che non può essere rimandata. C’è bisogno di un cambio di paradigma che superi divisioni politiche e di opinione, che traduca le teorie in azioni, che corra contro il tempo per garantire un futuro sicuro a noi ma, soprattutto, alle generazioni che verranno.
 
Raffaella Segantin

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