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ABITI LACERI E RITIRI PROLUNGATI

Per la sua condizione di vedova la donna subisce privazioni e sofferenze.
Nelle diverse epoche storiche, il dolore per la perdita del marito si manifesta con gesti drammatici e drastiche limitazioni.
Dai cibi più poveri ai giacigli spinosi, dalle continue preghiere alla separazione dal gruppo, il lutto vedovile è da sempre l'espressione più toccante della desolazione femminile.
Sono affidate a loro le più intense e plateali manifestazioni di dolore. Fin dalle più lontane epoche storiche, toccano alle vedove le più forti e strazianti dimostrazioni di lutto.
Si tratta spesso di manifestazioni drammatiche, che nascono dal profondo dolore provocato dalla morte del marito. In molte culture, l'afflizione vedovile viene accompagnata da gesti particolarmente dolorosi, alle volte addirittura violenti. Talvolta queste donne, proprio per la loro nuova condizione, sono costrette a subire non solo forti limitazioni nelle loro consuete attività, ma anche particolari imposizioni.
L'emarginazione è anche presente in alcuni filoni del Cattolicesimo. Già Bernardino da Siena, vissuto tra il 1300 e il 1400, rifacendosi ad un passo di Paolo che assegna alle vedove desolate soltanto il pianto e la preghiera di giorno e di notte, prescrive che esse debbano vivere in digiuno ed astinenza, riconoscendo che quello vedovile è uno stato superiore a quello matrimoniale. Inoltre, per San Bernardino le vedove devono rinunciare al comodo giaciglio di piume.

CAMICIE ANNERITE E CIBI MODESTI. Sono parecchie in Italia le testimonianze della disperazione vedovile. Quasi sempre, le donne sono costrette ad un ritiro di lutto molto prolungato. Soprattutto nei secoli passati, in molte zone, i comportamenti delle donne che piangono il marito sono segnati da atti di grande sofferenza.
Una sofferenza che spesso devono subire dai diversi membri della comunità. Così, in Abruzzo, sono le vicine di casa e le altre donne di famiglia a strappare i capelli alla vedova. In questa regione, inoltre, alle vedove è vietato cambiare gli abiti indossati al momento della morte del marito, fino a quando non saranno assolutamente laceri e consumati.
In molte zone dell'attuale Campania e Calabria, in modo particolare tra Seicento ed Ottocento, per affliggere la vedova, si prende la sua camicia e la si annerisce con il fumo, ponendola accanto al camino in cui brucia paglia umida. Poi, quando arrivano le donne del paese a fare visita al defunto, ognuna, nell'entrare, batte le mani e inizia il lamento con l'espressione "Oh, misera te". Quindi si accosta alla vedova, le strappa una ciocca di capelli e la butta sul cadavere.
Sempre in alcune zone delle due regioni, in caso di morte violenta, la vedova, per un intero anno, deve porre in mezzo alla casa gli abiti del marito ucciso, invitando continuamente i figli a vendicare la morte del padre. Vicino a Cosenza, le vedove usano indossare gli abiti del defunto per indicare che sono diventate responsabili del governo della casa.
In Sardegna, le donne che perdono il marito sono costrette a vivere nel più grande squallore. Devono usare lo stesso abito per un anno intero: solo nei giorni delle feste più solenni possono cambiare. Per lo stesso periodo, devono mangiare cibi modesti e digiunare una volta la settimana. Il giorno dei Defunti, poi, invitano a casa un povero della comunità: gli devono offrire minestrone, pane e formaggio. E, quando se ne va, gli devono regalare una moneta. Anche in alcune zone vicino a Nuoro, le donne devono tenere lo stesso abito che avevano quando è morto il marito. Lo possono cambiare solo quando è del tutto consumato o in caso di matrimonio dei figli.
In Molise, nei giorni in cui il defunto si trova in casa, la donna non può parlare con gli ospiti, ma solo chinare il capo quando arrivano a fare visita. In questa regione, la sua dolorosa condizione di vedova è legata in modo particolare agli abiti, che devono essere dimessi, preferibilmente già usati da una anziana donna di famiglia. Vestiti molto pesanti devono portare invece le vedove in Abruzzo.
Una tradizione che intende rappresentare tutta la durezza della nuova situazione: la donna ora è sola e da sola deve crescere i figli e sostenere la casa.

RECLUSE E SEPARATE. Presso diverse popolazioni, il lutto vedovile è caratterizzato da particolari afflizioni e divieti. Tra le genti del Borneo, le vedove sono rinchiuse per undici giorni insieme al cadavere in una capanna fatta di stuoie. Non possono fare il bagno, devono indossare abiti molto consumati e mangiare solo i cibi più poveri.
Secondo le credenze locali, queste sofferenze servono per allontanare dal gruppo le influenze negative del cadavere, che sarebbe carico di gelosia e malocchio.
In Nuova Guinea, anche i vedovi sono tenuti ad osservare alcuni comportamenti. Come le vedove, sono separati dal gruppo e le coppe e i recipienti da loro utilizzati non possono essere usati da altri: nessun cacciatore si può avvicinare a loro, perché è credenza comune che portino sfortuna. In più, però, le vedove usano come letto e guanciale cespugli spinosi. Nell'isola di Palawan, la vedova può uscire solo in ore nelle quali non può incontrare nessuno: infatti si è convinti che chi la vede può morire immediatamente.
Per prevenire eventuali incontri, la vedova batte con un ramo gli alberi lungo il suo cammino, mettendo così gli altri in guardia. Ma gli alberi da lei colpiti seccheranno presto.

VEDOVE CELEBRI E DISPERATE. La regina di Castiglia Giovanna La Pazza, nella seconda metà del Cinquecento, aveva già fatto foderare di nero le pareti di una stanza del castello di Bruges, in segno di lutto immaginario, quando il marito, Filippo il Bello, l'aveva abbandonata.
Quando l'uomo morì davvero, si fece confezionare un gran numero di abiti neri e iniziò la sua dipendenza dal cadavere del marito. Per due volte fece aprire il feretro, mentre ogni giorno faceva celebrare una messa. Non si lavava per mesi, non cambiava abiti e biancheria, mangiava senza posate e con i piatti a terra. E a terra dormiva. Ma il caso forse più noto di lutto prolungato è quello della regina Vittoria d'Inghilterra. Dopo la morte del marito, il principe Guglielmo, avvenuta nel 1861, la sovrana visse in cordoglio per oltre quarant'anni.
Le prime sere di lutto si addormentava stringendo a sé la camicia da notte del marito. Vestiva sempre di crespo nero, rinunciava alle feste e alla musica. Tutte le mattine faceva portare dalla servitù dell'acqua per la barba, proprio come se il principe fosse vivo.
Il giorno del compleanno del consorte, ogni anno, radunava la famiglia reale, la corte e i contadini a Balmoral, attorno al monumento del defunto, per brindare in silenzio alla sua memoria. Il suo cordoglio era così forte che non prendeva mai in considerazione il lutto degli altri, compreso quello dei suoi familiari.
 
Gianna Boetti

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