Rotastyle

11 settembre 2001
Intervento di: Francesco Campione

Vorrei riflettere, dal punto di vista della Tanatologia, sulle domande che la tragedia dell'11 settembre impone prepotentemente.
La prima domanda, la più ampia, che la minaccia del terrorismo pone mi sembra formulabile nel modo seguente: "Se veramente, come molte analisi della situazione attuale fanno pensare, dovessimo per lungo tempo convivere in Occidente con attentati che colpiscono con impensata distruttività in modi inaspettati e in luoghi imprevedibili, come cambierebbe la concezione della morte propria della nostra epoca?".
Entrerebbe certamente in crisi la difesa psicologica contro la morte che la nostra cultura propone in tutte le sue manifestazioni ai suoi membri.


Non potremmo, infatti, più vivere come siamo abituati a fare, distraendoci dalla morte attraverso il fare tecnologico che si applica alle cause di morte, con la convinzione, più o meno esplicita, che prima o dopo le vincerà liberandoci dal destino di finitudine.
Anzi, apparirebbe in tutta la sua evidenza l'aspetto distruttivo della tecnologia stessa applicata scientificamente alla realizzazione del terrore, minando il nostro ottimismo sul futuro, che si basa oggi proprio sulla fiducia nella possibilità della tecnica di sconfiggere i mali che affliggono l'Umanità. Se si considera che, come dice Barman(1), la modernità si basa proprio sul tentativo di "decostruire la morte", cioè di vincere la morte applicandosi a combatterne la cause facendo coltivare l'illusione che quando tutte le cause di morte saranno vinte la morte sarà vinta, se la tecnologia ci si rivolta contro la modernità è finita e siamo entrati in un'altra epoca (un altro medioevo?).
L'unica forma di morte, cioè la morte naturale, che la ragione occidentale è talvolta disposta ad accettare perché "non ci si può fare niente", passerebbe in secondo piano oscurata dal terrore di essere preda all'improvviso di una qualche forma di morte violenta.
Ciò farebbe regredire l'Umanità a quello stadio dello sviluppo infantile (5-7 anni) nel quale si concepisce la morte in modo "paranoideo", cioè come conseguenza dell'ingresso nel mondo di qualche forza malefica.
Il vivere sentendosi perseguitati da forze malefiche o esposti a complotti più o meno oscuri che già ora caratterizza l'Umanità a causa delle paure che il diverso e l'altro determinano, si ingigantirebbe con conseguenze inimmaginabili sulle relazioni e sulle istituzioni umane.
Sarebbe impossibile usare l'altra potente difesa contro il terrore della distruttività e della morte violenta di qualsiasi tipo (dalle catastrofi naturali alle stragi) che grazie al cinema e alla televisione si è venuta sviluppando negli ultimi cinquanta anni. Significa che non potremmo più prendere le distanze dalla distruttività che incombe sulla vita umana andando a vedere al cinema un film "catastrofico" e consolarci dell'orrore dicendoci che è solo cinema.

Ciò che è accaduto a New York , e ciò che potrebbe accadere di ancora più terribile, dal momento che viene mostrato per televisione non come "fantasia" ma come "realtà" rende impossibile pensare, come invece è possibile al cinema, che è orrendo veder crollare le Twin Towers, ma basta andare con una video camera a Manhattan e documentare che le torri stanno dove sempre sono state.
Significherebbe, sempre secondo Barman, che l'umanità non potrebbe più essere nemmeno post-moderna, cioè tentare di vincere la morte "decostruendo l'immortalità", ovvero dire che, se l'uomo è la sua immagine, morire significa scomparire e si può garantire l'immortalità a tutti facendoli riapparire in video. Se invece ciò che di orrendo appare in video è proprio realtà, non possiamo più dire che tutto è immagine e non ci consolerà affatto vedere le torri crollate com'erano prima in un bel video di New York del giorno 10 settembre.
In sostanza, se dovessimo dover convivere col terrore avremmo bisogno di una nuova concezione della morte e di nuove difese contro le angosce e le paure che essa determina inevitabilmente in noi. La nostra cultura entrerebbe in una crisi profonda e le soluzioni proposte come risposta a questa crisi sarebbero tanto più valide quanto più servissero a superare le conseguenze nefaste che abbiamo schematicamente indicato sopra. La cronaca dei giorni successivi all'11 settembre ci pone già di fronte a proposte concrete che dovranno farci riflettere.

E allora ci si divide perché c'è chi dice che:
a) bisogna tornare al più presto alla vita di prima, cioè ripristinare le vecchie difese moderne e post-moderne (decostruzione della morte e dell'immortalità), il che significa "business as usual": la morte si combatte col fare cose che durano oltre la morte e fanno procedere nel potere umano sulle cause di morte, la morte si combatte continuando lo spettacolo (show must go on) e "raccontandosi" con nuove fantasie e nuove illusioni che l'Umanità come sempre progredirà superando il dolore;
b) bisogna fare la "guerra" al terrorismo ed eliminare i terroristi una volta per sempre perché non si può dialogare con chi non ha paura di morire (i kamikaze);
c) bisogna riflettere sulle nostre colpe chiedendosi se sarebbe accaduto quello che è accaduto se non avessimo coltivato l'odio tra gli uomini, se non ci fossimo dimenticati che l'odio si vince con l'amore.
E allora forse ci accorgeremmo che quanto più grande e terribile è il colpo ricevuto, tanto più pronto e totale deve essere il perdono, se vogliamo disinnescare la spirale di odio a cui si può ascrivere il male che nel mondo viene dalle azioni umane.
È proprio su queste soluzioni che dovremo continuare a riflettere.

(1)S. Zigmund Barman, "Il teatro dell'immortalità"
Il Mulino - Bologna.

 
Francesco Campione

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