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La morte di John Lennon

War is over

"Hey Mister Lennon!
Sta per entrare nella storia".
 Mark David Chapman
 
"Credo in tutto finché non è provato il contrario".
 John Lennon

"Abbiamo fatto tutto ciò che potevamo per riportarlo in vita, ma non c’è stato nulla da fare.
Riteniamo che il primo proiettile sia stato letale, poiché ha danneggiato l’arteria principale".
 Stephen Lynn,
il chirurgo che cercò di rianimare Lennon
 
Era la sera dell’8 dicembre 1980. Mark David Chapman stava aspettando davanti al Dakota Building la sua vittima. L’attesa si stava consumando tra il traffico di una giornata qualunque e la lucida follia di un uomo che da lì a poco avrebbe ucciso un’autentica leggenda della musica, John Lennon.
Quella mattina l’ex Beatle si svegliò poco dopo le sette. Aveva diverse cose da fare. Come di consueto si prese il tempo per fare colazione al “Cafè La Fortuna” e poi per andare dal barbiere. Una giornata ricca di impegni professionali, a cominciare dall’incontro con Dave Sholin e con lo staff del network radiofonico Rko. Poco dopo le 10,00 iniziarono le registrazioni di uno special dedicato interamente a John e Yoko Ono. Sarebbe stata l’ultima intervista di Lennon. Chapman, dal canto suo, aveva lasciato il lavoro due mesi prima di arrivare a New York. Si era stabilito allo Sheraton Hotel. Giusto una settimana: il tempo necessario per curare nei dettagli le modalità per avvicinare il musicista.
Lennon stava vivendo un periodo di grande serenità. Il suo ritorno sulle scene fu salutato dall’entusiasmo generale di critica e pubblico. Era felicemente sposato e il piccolo Sean stava crescendo. In una intervista dichiarò il suo amore incondizionato per New York: “Quando vivevo in Inghilterra non potevo nemmeno andare in giro per strada; appena arrivato a New York continuavo a camminare tutto teso, aspettando che qualcuno mi dicesse qualcosa o mi saltasse addosso. Mi ci sono voluti due anni per rilassarmi. Adesso posso uscire da questa porta e andare al ristorante. Non puoi capire quant’è bello! La gente ti si avvicina, chiede ma non t’infastidisce”. New York lo aveva restituito agli occhi del mondo sotto una nuova veste, pronta per essere raccontata. Double Fantasy, il suo ultimo disco, era denso di riferimenti positivi e, di fatto, inaugurava il nuovo corso di artista in piena evoluzione. “Con Double Fantasy vorrei raggiungere le persone che sono cresciute con me. Mi piacerebbe sapere come state, come vanno le vostre storie: siete usciti vivi dagli anni settanta?”. L’intervista di Sholin fece molto scalpore: Lennon per la prima volta parlò liberamente della propria esperienza con i Beatles, del disagio creatosi in quegli anni. Le sue parole restituirono l’immagine di un musicista proiettato nel futuro: i Beatles appartenevano al passato.
Chapman vedeva in Lennon una guida, lo considerava un modello al quale ispirarsi. Quando il musicista lasciò il gruppo fu una delusione terribile per milioni di fans. Mark non riuscì a comprendere il cambiamento dell’ex Beatle. Era deluso da quello che stava accadendo, le dichiarazioni di Lennon successive allo scioglimento del gruppo furono per lui un colpo al cuore: John aveva rinnegato il passato e dichiarava di non credere più nemmeno in Dio. Fu troppo per la mente instabile di una persona che nella sua follia aveva vissuto quel cambiamento come un tradimento. Nella sua testa una voce cominciò a ripetergli una cosa sola: Lennon avrebbe dovuto pagare.
La giornata si rivelò particolarmente intensa. Dopo l’intervista di Sholin fu il turno di Anne Leibovitz, la celebre fotografa, che fece un servizio per “Rolling Stone”: John e Yoko fotografati in libertà nella loro casa. Quegli scatti comparirono sull’edizione del magazine il 22 gennaio 1981. Terminata la session fotografica l’ex Beatle si recò fuori casa. Prima di salire sull’auto che lo doveva portare negli studi della Hit Factory si fermò a chiacchierare con alcuni fans davanti al Dakota Building. Tra questi c’era Mark Chapman. John gli chiese se voleva un autografo sulla sua copia di Double Fantasy, il giovane annuì senza parlare. Paul Goresh, un fotografo, immortalò quella scena.
Alle 22 e 50 Lennon in compagnia di Yoko Ono fece il suo ritorno al Dakota Building. John scese dall’auto, fece pochi passi verso la porta dello stabile, quando l’ombra di Chapman comparve dal nulla ed esclamò: “Hey Mister Lennon! Sta per entrare nella storia!”. Puntò la pistola contro il musicista e gli sparò cinque proiettili della Charter Arms calibro 38. Lennon fece pochi passi e si accasciò per terra sanguinante. Le urla della moglie attirarono l’attenzione del portiere del Dakota, Jay Hastings, il quale corse verso Chapman per immobilizzarlo, ma l’assassino, come pietrificato, osservava impassibile la scena del delitto. Hastings cercò di coprire con la propria uniforme il corpo del cantante, ma la situazione fu da subito chiara: John Lennon stava morendo.
La polizia arrivò subito. Chapman venne immediatamente arrestato. Non oppose resistenza, venne trovato seduto sul muretto accanto alla scena del crimine. Stava leggendo “Il Giovane Holden”. Dopo essere stato ammanettato, l’assassino affermò: “Avevo un uomo enorme ed un uomo piccolo dentro di me. L’uomo piccolo è quello che ha premuto il grilletto!”. Non c’era tempo da perdere. I poliziotti James Moran e Bill Gamble si diressero al St. Luke’s Roosevelt Hospital. Gamble chiese a John: “Come ti chiami?”. “Lennon” fu la risposta del musicista. Per mantenere in stato di coscienza l’ex-Beatle, l’agente replicò: “Sei sicuro di essere John Lennon?” e la risposta non tardò ad arrivare: “Sì, sono John Lennon”. L’ultima domanda fu: “Come ti senti?”. “Sto male”. Quelle furono le ultime parole di John Lennon.
Nella notte Yoko Ono fece diramare un comunicato: “Non ci sarà alcun funerale per John. Nel corso della settimana definiremo l’organizzazione di una veglia silenziosa per pregare per la sua anima. Vi invitiamo a partecipare, dovunque voi vi troviate. Vi ringraziamo per i tanti fiori che avete inviato. Per il futuro, vogliate inviare donazioni alla Spirit Foundation Inc., organizzazione benefica fondata personalmente da John. L’avrebbe apprezzato moltissimo. John ha amato e pregato molto per tutti gli uomini. Vi chiediamo di pregare allo stesso modo per lui. Con amore, Yoko e Sean”.
L’8 dicembre 2010 in tutto il mondo vi saranno celebrazioni per ricordare i trent’anni della sua scomparsa.
 
Marco Pipitone


9 CANZONI 9… PER NON DIMENTICARE JOHN LENNON
• Jealous Guy
• Give Peace A Chance
• Instant Karma
• Power To The People
• Mind Games
• Happy Xmas (War Is Over)
• (Just Like) Starting Over
• Stand By Me
• Imagine


NON TUTTI SANNO CHE:
Dopo il matrimonio con Yoko, John cambiò il proprio nome all’anagrafe in John Ono Lennon.
 
All’una di notte, davanti al Dakota Building, oltre seicento persone erano accorse in lacrime, per intonare le canzoni di John. Il crescente numero di fans costrinse il New York Police Department ad erigere barriere in legno davanti all’entrata del palazzo.
 
Julian, l’altro figlio di Lennon, non era nominato nel testamento. Yoko Ono propose di riconoscergli 20 milioni di sterline, ma Julian li rifiutò asserendo che era una cifra esigua se comparata a ciò che gli sarebbe spettato.
 
Lennon era dipendente dall’eroina. Non ne parlò mai ufficialmente: la sua prima esperienza avvenne all’inizio del 1968, insieme a Yoko Ono. Per paura degli aghi, l’eroina venne sempre da loro inalata e mai iniettata.
 
Nel marzo 2002 la città natale di Lennon, Liverpool, ha deciso di onorarlo intitolandogli l’aeroporto cittadino e adottando come motto dello stesso una frase tratta dalla canzone Imagine: «Above us only sky» (“Sopra di noi, solo il cielo”).
 
Nel 2010 Yoko Ono ha dato il permesso ad una nota casa automobilistica di utilizzare un video di John Lennon in uno dei suoi spot. Il fatto ha scatenato la rabbia dei fans che ritengono l’operazione non in linea con le idee di Lennon.

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