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La vita e la morte di Vladimir Vysotsky

Il volo interrotto

“Le mie canzoni? Se a cantare era un uomo che si trovava in galera o in un lager, l’unico suo desiderio era quello di uscire, di essere libero”.
Vladimir Vysotsky
(25 gennaio 1938 - 25 luglio 1980)

 
Cresciuto all’ombra della grande repressione russa Vladimir Vysotsky, nel corso del tempo, diventa una sorta di eroe nazionale. La sua opera abbraccia l’arte, ma si rivela nella sua totalità grazie alla canzone popolare di cui diventa l’indiscusso cantore.
Un poeta. Un musicista. Organico alla tradizione e alla cultura russa. Un attore teatrale e cinematografico. Un uomo con il fisico da boxeur che si perde ubriaco nei campi. Ma anche un poeta maudit, in grado di alimentare la fantasia e la capacità di resistenza di un paese sterminato come la Russia. In pillole questa potrebbe essere la summa di un artista straordinario che trova soprattutto nelle parole delle sue canzoni la forza della speranza e che con essa costruisce il sogno. Un viatico ideale per sfuggire all’oppressione del regime.
La popolarità di Vysotsky venne ottenuta senza il benché minimo riconoscimento ufficiale. “La Melodia”, unica casa discografica abilitata alla diffusione dei dischi in Unione Sovietica, non aveva mai pubblicato le canzoni di Vladimir. Nonostante questo, il processo di diffusione risultò in quegli anni inarrestabile. Lo stesso cantautore si adoperava per registrare su musicassette le proprie opere che venivano distribuite di mano in mano affinché potessero raggiungere più persone possibili. E così fu. Le canzoni di Vysotsky cominciarono a girare per tutto il Paese.
L’artista aveva raggiunto il cuore della gente che nelle sue parole trovava la forza per andare avanti. La sua popolarità raggiunse gli angoli più sperduti della Russia: persone comuni, minatori, cercatori d’oro della Siberia. Le sue canzoni avevano conquistato tutti. I dirigenti politici lo boicottavano, ma segretamente ne subivano il fascino al punto da chiedergli insistentemente concerti privati che lui puntualmente rifiutava. Vysotsky girava in lungo e in largo l’Unione Sovietica. In ogni luogo veniva accolto come un eroe popolare. La passione con la quale improvvisava i suoi concerti generava nel pubblico un grande trasporto emotivo. I testi trattavano di politica, ma non in senso stretto: le parole non erano un grido contro il regime, ma un segnale di speranza in cui lasciava trasparire la fiera umanità con la quale esortava a non demordere contro le difficoltà dei rivolgimenti storici.
Il popolo si era lasciato conquistare da quelle cassette e aveva dato vita ad un lento ed inesorabile movimento sotterraneo che ritrovava nei crismi della clandestinità la forza per continuare a propagarsi sempre più. Nonostante l’indiscutibile successo lo Stato continuava ad impedire la pubblicazione di qualsiasi produzione dell’artista. La forza della sua parola era direttamente proporzionale a quegli assurdi divieti. Più i suoi testi si ergevano a verità inconfutabili e più lo stato negava la diffusione legale di quelle canzoni. Il regime conosceva la forza prorompente di Vladimir: le sue parole attingevano alla fonte della cultura russa e al contempo si nutrivano della linfa popolare. Il tutto era coadiuvato dall’energia vibrante che il cantautore sapeva trasmettere con la sua voce magnetica, calda come un fuoco incandescente al quale donarsi, in ogni momento, per dimostrare in primis a se stesso di saper soffrire e impazzire per i propri ideali.
A quei tempi in Russia la campagna stampa contro Vysotsky era incessante. Le autorità continuavano a boicottare sistematicamente l’intera produzione dell’artista. Tanto da negargli ogni tipo di riconoscimento: Vladimir non venne ammesso all’Unione degli Scrittori e i concerti organizzati venivano sistematicamente fatti annullare. La produzione di dischi fu limitata a cinque singoli in 25 anni di attività. Canzoni per altro minori, non certo quelle che avevano rinfrancato in quegli anni l’intera nazione. L’unica cosa che gli restava erano i concerti clandestini, improvvisati qua e là come un qualsiasi cantore ambulante.
Gli anni settanta arrivarono per Vysotsky carichi di aspettativa. Dopo essersi sposato con Marina Vlady, l’artista si impegnò a fondo anche nella recitazione. “L’Amleto del Taganka” rimane uno dei suoi più grandi successi. L’ultimo recitato prima di morire.
Intorno al 1975 ottenne un visto d’uscita e iniziò un periodo di grandi viaggi. Vladimir non pensò mai di fuggire. L’amore per il suo popolo e per la propria terra ha sempre travalicato ogni ragionevole sicurezza. Così i viaggi che avrebbero potuto facilitare il suo affrancamento dal regime comunista lo allontanarono paradossalmente dalla musica e dal teatro, con il quale però si incontrerà di nuovo nel 1977 recitando “l’Amleto” in Francia.
Sul finire dei suoi giorni eccessi e ossessioni presero il sopravvento. Prima di morire Vysotsky si ricongiunse con la sua amata patria. Nonostante la notizia della morte fosse stata intenzionalmente taciuta dagli organi di stampa, il legame con il suo popolo trovò una inequivocabile testimonianza nella folla (circa un milione di persone) che gremì le strade della capitale in occasione del suo funerale. L’amore sincero verso la propria gente, nonché gli eccessi e le stranezze di una vita inimitabile (alcool, dipendenza dalla morfina,…), fanno di questo personaggio straordinario una figura inimitabile, ancora da scoprire, e che oggi rivive attraverso le note di opere malinconiche, finalmente incise su disco e diffuse nel mondo.
 
Marco Pipitone

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