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FARGO

La vita non può essere controllata

"Così era la signora Lundegaar, quella distesa per terra. E quello che stavi triturando era il tuo complice. E quei tre poveretti uccisi a Brainerd! E tutto per cosa? Per quattro biglietti di banca." Marge Gunderson
Una coltre di neve bianca avvolge la vicenda e ovatta l’atmosfera. A Fargo, paesino dimenticato da Dio nell’estremo Midwest americano, quello che doveva essere un semplice rapimento si trasforma in una carneficina con vittime innocenti (e non). Il rosso del sangue sporca il candore della neve e si mescola ad essa in una violenta esplosione di colori e di significati. Al rosso e al bianco si aggiunge il verde, il colore dei soldi, quello per cui Jerry Lundegaard assolda due sicari perché rapiscano sua moglie.
All’interno di un quadro dominato da tinte tanto accese si sviluppa una fosca vicenda di inganni e di delitti, ironica e beffarda, che paventa ai protagonisti un possibile successo per poi farsi beffe delle loro illusioni. “Much ado for nothing” dunque, molto rumore per nulla. Così Jerry, mediocre venditore di automobili, fa rapire la moglie per ricattare il suocero, ma organizza male il piano e ben presto la situazione gli sfugge di mano; così Wade, il suocero di Jerry, vuole affrontare a viso aperto i malviventi, ma paga cara la propria presunzione e viene freddato con un colpo di pistola; così i due sicari, il funny-looking Carl e il taciturno Gaear, accettano l’incarico per avidità, ma la loro sorte è segnata fin dall’inizio. Perché, insegnano ancora una volta i Coen, nessuno può essere padrone del proprio destino. È il caso, il semplice e nichilistico caso che governa il mondo, a reggere le sorti della vicenda. Quello stesso caso che porta Marge a passare proprio davanti alla casa dei due malviventi e a vedere proprio la macchina che la polizia stava cercando. Il posto giusto al momento giusto, insomma. I personaggi coeniani si affannano alla ricerca di un significato, cercano di uscire dallo status quo (Carl è un delinquente dal linguaggio forbito e dai ricercati gusti musicali), ma soprattutto tentano spasmodicamente di diventare artefici e protagonisti della propria esistenza. La vita però non può essere controllata, e i Coen puniscono la loro arroganza facendoli precipitare verticalmente verso la tragedia. Solo Marge si salva dalla condanna. Del resto, la donna non è una poliziotta nel senso più convenzionale del termine: semplice, materna, capace di apprezzare le piccole cose, si lascia trasportare dalle situazioni senza forzarle e non si affanna alla ricerca di risposte. La sua “passività” si rivela l’arma vincente. Le indagini scorrono lisce e i criminali vengono catturati senza troppo sudore.
In una landa desolata, contaminata dal sangue degli omicidi, si muove una giostra di personaggi particolari, curiosi ma profondamente realistici. Così Marge è la poliziotta incinta che ad indagine in corso va a comprare un regalo al marito; così Carl e Gaear sono due delinquenti che prima di effettuare il rapimento si fermano al bar a mangiare frittelle. Il realismo si fonde con il nichilismo, e insieme a morte e violenza diventa uno dei topoi dell’intera pellicola. Violenza e morte che però, in accordo con la linea di condotta di film, sono altrettanto asciutte e realistiche: fredde, barbaramente esibite, senza fronzoli né spettacolari bagni di sangue.
Con Fargo i fratelli Coen tornano a calcare le scene del successo e ottengono riconoscimenti e critiche positive. Oscar a Frances McDormand, miglior attrice protagonista; Oscar per la miglior sceneggiatura originale, che premia la linearità della trama e l’efficace asciuttezza dei dialoghi; meriti anche alla fotografia (pregevoli le riprese a campo lungo dei paesaggi innevati) e alla colonna sonora (ridotta all’osso, ma pur sempre incisiva).
 
Laura Savarino
FARGO
(USA, 1996)
Di: Joel e Ethan Coen
Durata: 98 minuti
Cast: Frances McDormand, Steve Buscemi, William H. Macy, Peter Stormare, Harve Presnell



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