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Verso altre vite

Per gli induisti, dopo la morte, ogni individuo rinasce in un altro corpo e la sua anima può tornare sulla terra con sembianze umane, animali o vegetali. E i riti funebri segnano il passaggio da una ad altre forme di esistenza. Di solito viene praticata la cremazione: tocca al figlio maggiore il compito di accendere il fuoco. Mentre al termine della cerimonia vengono fatte offerte di fiori e frutta in onore del defunto.
L'universo non è stato creato: è senza inizio e senza fine, un susseguirsi di cicli cosmici. Una grande specie di uovo, formato da più strati concentrici, in cui è compresa anche la terra e le regioni sotterranee, fino agli inferi, luoghi di punizione e di pena. Questo credono gli induisti, che rappresentano oggi la terza comunità religiosa del mondo dopo i cristiani e i musulmani. Quasi 650 milioni di persone sparse in più di ottanta Paesi, che vedono nelle divinità non tanto degli esseri superiori, quanto delle rappresentazioni delle forze della natura. La maggior parte vive nell'Asia meridionale, in particolare in India, Nepal, Sri Lanka, Malesia, Singapore, Indonesia e Malesia, seguendo principi e credenze fissati per scritto nei Quattro Veda, i testi sacri che costituiscono il cardine dell'induismo. Che non ha però un fondatore: le sue origini si fanno risalire a più di tremila anni fa, quando alcune tribù, prima nomadi, si stanziano nel nord dell'India e lì iniziano ad elaborare idee, pratiche e rituali che, via via, si tramandano nel tempo e nelle terre circostanti. Fino ad oggi. Per gli induisti, la società è articolata in una grande quantità di caste e sottocaste: addirittura oltre duemila. L'appartenenza ad una casta piuttosto che ad un'altra dipende dalle condotte delle vite precedenti. Chi nasce all'interno di una certa casta deve essere consapevole degli obblighi e delle conseguenze della propria condizione: così ci si può sposare o sedere a tavola esclusivamente con membri della propria casta. Solo se si compiono i propri doveri si potrà rinascere in una vita migliore. Anche se la Costituzione dell'India moderna vieta ogni discriminazione in base all'appartenenza alla casta, in pratica, questo sistema continua ad essere applicato.
RINASCITA DOPO LA MORTE.
Quando una creatura muore, il suo ciclo non si esaurisce: rinasce in un altro corpo. Per questo, presso gli induisti vi è il rispetto assoluto di qualunque forma di vita: infatti, l'anima dell'individuo può tornare sulla terra non solo con sembianze umane, ma anche animali o vegetali. In più, credono che la condizione in cui un determinato individuo nasce nella vita successiva dipende dalle azioni che ha compiuto nella precedente: tutte i suoi atteggiamenti hanno così conseguenze importanti sulle sue esistenze future. Se per gli induisti, quindi, la morte porta a rituffarsi nella dinamica eterna delle cose, i riti funebri segnano il passaggio da una ad altre forme di vita. Così, quando una persona muore, i suoi familiari osservano un preciso rituale al termine del quale potrà ritornare tra i vivi. Anche se non si sa in quale veste. Subito dopo il decesso, il corpo viene purificato, quindi avvolto in una veste nuova, preparata per il particolare momento, o perfettamente pulita. Quindi, il cadavere viene circondato e ornato di fiori. Entro le ventiquattro ore successive il corpo deve essere bruciato. Durante il trasporto nel luogo della cremazione, uomini e donne accompagnano il defunto con canti e preghiere. Dopo essere stato posto sulla pira, il corpo viene ancora una volta purificato: intanto, tutti i presenti continuano a pregare.
Spetta al figlio maschio maggiore o a un parente stretto il compito di accendere il fuoco. Prima di questo gesto, però, deve effettuare alcuni giri intorno alla pira, volgendole sempre la destra. Un rituale che deve compiere sempre pregando. Al termine della cremazione, dopo aver spento anche le ultime tracce di fuoco con getti d'acqua, si raccolgono le ceneri. Che sono poi disperse in un fiume sacro. E, nei tre giorni successivi alla cremazione, i familiari, in onore del loro congiunto, fanno offerte di fiori e frutta. Nel mondo induista, comunque, è anche praticata l'inumazione: tuttavia, questo rituale è riservato alle grandi personalità: infatti le loro tombe diventano dei luoghi sacri per tutta la civiltà induista, attirando così migliaia di pellegrini devoti.

ALTARI, OFFERTE E SACRIFICI.
Davanti a piccoli altari domestici, su cui pongono le immagini delle divinità e quelle dei familiari, gli induisti meditano, pregano e fanno offerte di frutta, fuoco ed incenso. Un modo per continuare a dialogare con chi non si trova più fisicamente con loro, ma vive in una nuova vita. Molte le divinità che onorano: tra queste, Siva, signore del tutto, allo stesso tempo distruttore e ricreatore, simbolo insieme di morte e fecondità, Visnu, dio benefico e solare, Varuna, che dall'alto dei cieli sorveglia con i suoi numerosi occhi quanto avviene sulla terra, Agni, il dio del fuoco. Usas è invece l'aurora, particolarmente attesa e apprezzata dopo le pericolose tenebre della notte, Vayu è il dio del vento e Yama rappresenta il primo uomo che ha trovato la via della morte ed è divenuto il sovrano del regno dei morti. Con il suo aspetto minaccioso, Rudra è considerato un dio distruttore e portatore dei tifoni, mentre Kubera è un nano panciuto signore delle ricchezze. La civiltà induista ha conosciuto anche il suicidio rituale delle vedove. Il "sati", così viene chiamata questa usanza, era un tempo molto diffusa, ma ora è espressamente vietata dalla legge indiana. Questa pratica ha fondamento nel matrimonio, che per l'induista è un patto materiale e spirituale, che viene confermato intorno ad un fuoco, che rappresenta la nascita di un nuovo nucleo familiare e sul quale vengono poste offerte di grano tostato. Da questo indissolubile legame deriva l'obbligo per la moglie di adorare e servire il marito come un dio, fosse anche il peggiore degli uomini. Così, se si spezza il vincolo matrimoniale con la morte del marito, per la donna è una tragedia: per questo, la vedova non può avere altra scelta che immolarsi sullo stesso rogo del compagno o poco dopo. Anche se è stato abolito, sembra tuttavia che il "sati" non sia ancora estinto del tutto in alcune parti dell'India.

I PELLEGRINAGGI NEI LUOGHI SANTI.
Indispensabile strumento per ottenere il bene sperato, meta ultima di una vita dedita ai valori spirituali, il pellegrinaggio verso i luoghi sacri è per gli induisti un momento fondamentale della loro vita. Un viaggio che deve essere fatto tra digiuni e privazioni, che culmina con l'immersione nelle acque: i luoghi sacri per gli induisti sono infatti noti soprattutto come "tirtha", i guadi. Tra le più importarti destinazioni, le città di Gaya, dove gli induisti si recano a portare dei piccoli globi di riso e farina per i defunti, e di Puri, dove si svolge la processione del gigantesco carro del dio Krsna, signore del mondo, sotto cui, un tempo, si gettavano suicidandosi i più fervidi pellegrini. Ma tra tutte le città sante, è decisamente Banaras la più significativa. Di origini antichissime, è per la maggior parte degli induisti il loro massimo centro spirituale. Se in passato era anche nota come Anandavana, "selva di beatitudine" - nome dovuto al fatto che era circondata da foreste che erano sede di eremi dove risiedevano grandi maestri - ancora oggi è il luogo preferito dai pellegrini, che giungono anche per morirvi ed essere quindi cremati in uno dei "ghat", le scalinate che si immettono nel Gange. Infatti, la morte a Banaras è considerata di ottimo auspicio, una garanzia di beatitudini future. Tanto che, secondo alcune credenze, sarebbe lecito addirittura il suicidio.
 
Gianna Boetti

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