Rotastyle

A Gorinchem, dal 26 al 28 settembre

Uitvaart Vakbeurs 2012 (1)

Tutti, o quasi, associano l’Olanda alle immagini stereotipe dei mulini, dei tulipani (che sono, precisiamolo, di origine turca!) o di un popolo che, a bocca aperta e con la testa all’insù, fa penetrare (di preferenza nel porto di Scheveningen, uno dei quartieri de L’Aia, la capitale del regno) nelle proprie fauci aringhe appena pescate.
Invece i Paesi Bassi sono anche i fantastici formaggi (il “boerenkaas”, formaggio di fattoria di 24 mesi, soprattutto quello della regione di Gouda, vale il viaggio), l’eccellenza dell’architettura civile ed industriale e, soprattutto, la sfida continua alla natura lanciata dai tenaci batavi (gli antenati degli olandesi erano, per l’appunto, la tribù germanica dei Batavi) per permettere ad un Paese di esistere pur trovandosi al di sotto del livello del mare. Impresa ardua quando si pensi alla forza delle acque. Tutti sanno che cos’è il fuoco, ma le acque ... Basti pensare agli ultimi, catastrofici tsunami che hanno colpito molti paesi asiatici. Del resto rimane sempre impressa nella nostra memoria la catastrofe olandese del 1953 (la peggiore dal 1421!), successiva all’altrettanto drammatica inondazione del Polesine di due anni prima, che all’epoca riempì per settimane le pagine dei giornali. Non c’erano in quegli anni telegiornali (la tv arriverà solo nel 1954) e i quotidiani e qualche settimanale costituivano le fonti di informazione. Tanto più rimangono quindi impresse quelle foto e quei disegni (come dimenticare le copertine della Domenica del Corriere?) nella misura in cui siamo fermamente convinti che la lettura lascia nella memoria tracce molto più profonde, e quindi durature, di quelle, spesso fugaci, delle riprese televisive. È, forse, una questione di concentrazione. Senza questa è difficile che qualcosa rimanga. Accade di non averne abbastanza solo quando si abbia a che fare col testo scolastico di una materia aborrita. È molto più facile, invece, guardare la tv pur pensando ad altro con la conseguenza che non ne rimane nulla. O molto poco. Per dovere di precisione il solo documento filmato esistente a quei tempi era “La settimana Incom” (Industria Cortometraggi Milano) che i meno giovani certamente ben ricordano. Per chi invece ne sente parlare per la prima volta precisiamo che si trattava di un cinegiornale sui fatti salienti della settimana che veniva presentato nelle sale cinematografiche prima del film in programma. Tale strumento, allora unico, durò fino agli anni sessanta estinguendosi proprio, possiamo pensarlo, a causa della televisione. Sorridiamo ancora ricordando di essere stati attori involontari di un filmato che ci riprendeva, era un servizio sui flussi migratori natalizi, in attesa, sotto le pensiline di Roma Termini, del treno strapieno che ci avrebbe, come sempre a Natale, portati nella diletta Napoli. A rimpinzarci, tra zampogne e messe, di “mostacciuoli” e “rococò” (il cui nome viene dal francese “roche”, roccia, proprio per indicarne la durezza) che convenientemente sostituivano, non me ne vogliano i miei mezzi compaesani, il capitone o lo stocco che ancor oggi non riscuotono, è il meno che si possa dire, i nostri favori. Un modo come un altro, insomma, per ricordare agli amici napoletani che, spero numerosi, mi inviteranno in futuro ad aggiustare il menu tenendo conto di tali scarsi tropismi.
 
Ritornando agli Olandesi, dicevamo che la loro competenza in materia di grande idraulica non deve avere rivali al mondo. Senza che, tuttavia, mi si fraintenda andando disperatamente a cercare, alla prima fuga del rubinetto di casa, un “van ... qualche cosa” sulle pagine gialle. Anche Gorinchem, la cittadina non distante da Rotterdam dove ha avuto luogo l’esposizione, ha quindi la propria dotazione di canali, ponti levatoi e chiuse. Oltre alle migliaia di barche e barchette ormeggiate sulle rive dei diversi corsi d’acqua. Probabilmente il numero di imbarcazioni pro capite olandese supera di gran lunga quello di qualsiasi altro paese al mondo. Per i meno “acquatici” rimangono i ”fietspad”, le onnipresenti e sacre piste ciclabili dove ci si può sbizzarrire in sella ad una bicicletta. Attenzione, tuttavia, a certi vecchi modelli olandesi non muniti di freni. Essi infatti non possiedono un deragliatore e quindi i pedali girano sempre. Con tali strumenti di tortura l’unico sistema per frenare è quello di mettersi a pedalare all’indietro col piacere, facilmente immaginabile, per i polpacci. Per fortuna quei Paesi oltre che essere bassi sono anche piatti. Così è fortunatamente ridotto il rischio di trovarsi lanciati in piena discesa dovendo, in vista di una curva o di un ostacolo, rallentare retropedalando. A titolo di informazione ricorderemo che la vetta dell’Olanda culmina a 322 metri con una collina, il Valsenberg, al confine con la Germania ed il Belgio. Che piacere, però, quello di andar bighellonando in bici da un fietspad all’altro soprattutto quando essi sono rettilinei. Come quelli di certe isole della Frisia, la regione del Nord che continua in Germania, lungo la cui costa si sgranellano isole sabbiose: le Frisone olandesi, occidentali (Ameland, Schiermonnikoog, Terschelling, Texel e Vlieland) e quelle tedesche, orientali, spesso tutte in lunghezza com’è il caso di Schiermonnikoog (l’isola dei monaci grigi, dal colore dell’abito), quella che, tra tutte, preferiamo. Battuta dal vento, cosa che ad un triestino emigrato non può che evocare graditissimi venti domestici, è vietata alle automobili, il che la rende ancor più appetibile. Su di essa, come su tutta la costa, si arenano, di quando in quando, le foche. Cuccioli smarritisi od abbandonati dalle madri perché ammalati (la natura è impietosa), o esemplari adulti con problemi di salute (cecità, tumori,...). I simpatici pinnipedi vengono raccolti e spediti al vicino ospedale, consacrato unicamente ad essi, nel villaggio di Pieterburen. Dove, dopo essere stati curati, vengono rimessi in mare. Lo spettacolo è commovente e la dedizione di chi (molti giovani volontari) si occupa del luogo semplicemente ammirevole.
Gorinchem, come si diceva, è una città del sud del Paese fornita di tutti gli attributi che la caratterizzano come appartenente al regno della famiglia d’Orange. Solamente essa non porta tracce di un soggiorno più o meno lungo di Cartesio. Il filosofo francese (René Descartes il suo vero nome) si stabilì in Olanda nel 1629 fino a che nel ‘49 accettò l’invito della regina Cristina di Svezia per andare a Stoccolma dove, male gliene incolse, si spense l’anno seguente a causa di una polmonite. È stupefacente vedere dappertutto lapidi che commemorano il suo passaggio o il suo soggiorno in tal luogo o in talaltro (un po’ quello che accade con Garibaldi in Italia). È curioso, inoltre, osservare che Cartesio nacque in Francia in una cittadina, “La Haye en Turenne”, che porta il nome della capitale olandese L’Aia (La Haye in francese) Quando si parla di coincidenze… Quasi un segno del destino...
[continua]








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