- n. 11 - Novembre 2010
- Recensioni
Chi ha ucciso il rock and roll?
C’era una volta il Rock and Roll. Una storia lunga e tormentata che merita di essere raccontata senza avere la pretesa di rivelare niente di nuovo, ma cercando di ricordare alcuni dei tanti momenti salienti che hanno segnato il corso degli eventi attraverso la rotta di un viaggio senza ritorno.
Sembrano passati secoli da quando i Beatles sfornavano capolavori in serie. Erano i favolosi anni Sessanta, quelli del boom economico, dove ogni cosa era possibile e tutto doveva essere ancora scoperto. Erano gli anni dell’appartenenza: Beatles oppure Rolling Stones. E poi c’erano i Mods, quelli di “Quadrophenia”: spille sul bavero, lambrette truccate e frange ribelli. Un modo come un altro per essere amati oppure detestati. Anche questo faceva Rock’n’Roll. Per non parlare di David Bowie. All’inizio degli anni settanta seppe tradurre e soprattutto veicolare il Glam: tacchi e zeppe portati con disinvoltura, piume e boa di struzzo sopra i pantaloni a zampa di elefante, mentre il trucco esasperato faceva il resto. Era il trionfo del kitsch, ma soprattutto una risposta, neanche troppo velata, al rigore formale che aveva seppellito la musica “pop” degli anni ’60. Bowie riprese in mano le lezioni di mimo impartitegli da Lindsay Kemp e con il suo talento “lucidò” ciò che altri (Marc Bolan soprattutto) avevano solamente “appannato”. A quel punto, costruirsi un futuro da rock-star fu per lui un gioco da ragazzi.
Sono molti i funerali da raccontare e altrettante le resurrezioni. Il Rock è morto e risorto mille volte. Ancora oggi non è possibile dimenticare quando Peter Gabriel lasciò i Genesis. Chi se non lui avrebbe potuto “mollare” una band al massimo del proprio splendore? Era il 1974, il Prog-Rock era molto più che una moda. Di fatto, l’abbandono di Gabriel decretò in un certo senso la fine del gruppo. Con Phil Collins alla voce, i Genesis si scavarono la fossa da soli, scivolando mestamente dentro i meandri del pop da classifica. La carriera solista di Peter Gabriel invece decollò, regalando alla musica un autentico genio. Nello stesso periodo, i Pink Floyd avevano già sotterrato la psichedelia e viaggiavano a vele spiegate verso il successo. Verso la fine del 1974 uscì “Wish You Were Here”, per molti (ma non per tutti) un capolavoro. Chi aveva amato i Floyd di Syd Barrett, non poteva fare altro che rimpiangerlo. Lo spettro dei colori della sua musica aveva inequivocabilmente segnato la fine di un’epoca. I Pink Floyd di Gilmour ne avevano aperta un’altra, ma non fu più la stessa cosa.
Morte e rinascita anche grazie al Punk che, verso la fine del 1976, registrò l’ennesimo rinnovamento della musica. I Sex Pistols ingannarono persino la Regina e quando fu il tempo di spostare l’attenzione dalle spille e dalle creste verso … la musica, venne giù il mondo. Fu Johnny Rotten a uccidere l’anarchia. Nel momento di massima esposizione della band, lasciò i Pistols per formare i Public Image Ltd. A modo suo, il giovane punk stava rivelando agli occhi del mondo che i Sex Pistols erano una truffa, la grande truffa del Rock’n’Roll. Quella scelta scatenò l’inferno. Venne improvvisamente a mancare il senso dell’orientamento: una intera generazione si inferocì, senza capire che la rivoluzione vera e propria fu realmente concepita dalla decisione di Rotten. “Public Image”, il disco d’esordio dei PIL, inaugurò la grande stagione del Post-Punk. Nel frattempo, l’ombra lunga di David Bowie, aveva nuovamente lasciato il segno. “Low” - il primo disco della trilogia berlinese - era stato concepito con il contributo di Brian Eno. Il Duca Bianco non solo snobbò il suono ruvido del Punk, ma decise di fare tabula rasa con il proprio passato, rimettendosi in gioco ancora una volta: sottrasse al proprio stile i colori rutilanti di “Ziggy Stardust” e aggiunse al proprio modo di concepire la musica nuove stratificazioni sonore grazie all’uso dei synth. David Bowie stava inconsapevolmente anticipando la New Wave, gettando nel caleidoscopico mondo del rock nuovi importantissimi input. “Low” segnò in maniera indelebile quell’epoca: gruppi come Joy Division, Cure e Bauhaus un paio d’anni più tardi riuscirono a trarre da quelle atmosfere il viatico ideale su cui costruire le proprie fortune. Sull’altra sponda dell’Atlantico David Byrne e soci esordivano con “77”, un capolavoro assoluto. In quel periodo a New York esisteva un solo locale, il CBGB. Tra quelle mura videro la luce artisti come i Cramps, i Blondie, Patty Smith, i Television e i Ramones, i quali cantavano “Blitzkrieg Pop”, divenuto a stretto giro di boa un inno generazionale. L’America puritana, non riuscendo a raccapezzarsi, cominciò a celebrare il mito dei “Fratelli Ramones”, aprendo alla band le porte dell’olimpo della musica.
Ci si potrebbe fermare qui. Invece, facendo un rapido balzo in avanti, scopriamo che anche gli anni novanta hanno ucciso il Rock’n’Roll. Il Grunge prima ancora di nascere era già morto! Kurt Cobain ne trasse gloria eterna suicidandosi con un colpo di pistola e lasciando ai posteri un paio di dischi che ancora gridano vendetta. Al giorno d’oggi, tutto tace. Il rock attraversa un momento di crisi profonda. Le Major discografiche, sempre più teledipendenti, paiono aver dimenticato che un progetto artistico è tale se alla sua base si pone la libertà creativa dell’artista e non il risultato di un televoto. Intorno al sottobosco musicale esistono piccole realtà indipendenti che hanno capito questo e che sono pronte a rilanciare le sorti della musica in generale. Occorre investire e soprattutto crederci. Nel frattempo … la musica trova comunque il modo di autocelebrarsi: reunion di ogni sorta invocano il mito del Rock senza tuttavia restituire la magia di un tempo. Vivendo anzi nella memoria di chi c’era attraverso l’antico vinile che nell’arco di una quindicina d’anni si è reincarnato dapprima nel cd e in seguito nel file mp3. Le nuove generazioni tristemente applaudono. Quelle vecchie non riescono neppure a trovare una lapide su cui riversare le proprie lacrime. Il Rock è morto. Viva il Rock!
Marco Pipitone
"9 CANZONI 9"… PER CELEBRARE IL MITO DEL ROCK AND ROLL
Back In The Ussr • The Beatles
Paint It Black • Rolling Stones
I’m One • The Who
Queen Bitch • David Bowie
Watcher Of The Skies • Genesis
Love Comes To Town • Talking Heads
God Save The Queen • Sex Pistols
One Hundred Years • The Cure
Come As You Are • Nirvana
HANNO DETTO:
“La cosa grandiosa del Rock and Roll è che uno come me può essere una stella”.
Elton John
“Siamo più popolari di Gesù Cristo adesso. Non so chi morirà per primo. Il Rock and Roll o il Cristianesimo”.
John Lennon
“Il mio Dio è il Rock and Roll”.
Lou Reed
“Buona parte del giornalismo rock è gente che non sa scrivere, che intervista gente che non sa parlare, per gente che non sa leggere”.
Frank Zappa
“Non sarò una Rockstar, sarò una leggenda”.
Freddy Mercury
“Il Rock and Roll non finirà mai. È come con le donne, quando finisce con una, ricominci con un’altra. Avete presente quello che voglio dire, no?”.
Mick Jagger
“Mi piacciono due cose: suonare la chitarra e qualcuno che mi passa una bottiglia di vodka”.
Keith Richards
“È vero, ho sniffato le ceneri di mio padre”.
Keith Richards
“Ho conosciuto mia moglie Angela perché entrambi andavamo con lo stesso ragazzo”.
David Bowie
“Non sono mai stato e non sarò mai un adoratore di Satana, per il semplice fatto che il diavolo non esiste. Il satanismo è l’adorazione di noi stessi, responsabile del nostro bene e del nostro male”.
Marilyn Manson
“Di solito, andavo a scrivere canzoni in chiesa. Riflettevo sulla morte e guardavo le persone, conscio che, alla fine, erano tutte là perché volevano l’eternità. Improvvisamente, ho capito che non avevo fede per niente e ho avuto paura. Volevo conoscere diverse espressioni della fede e capire perché la gente ce l’ha, per comprendere se fosse reale”.
Robert Smith