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Brasile

Dal Tropico del Capricorno all'Equatore/2

Quando si pensi che la metà della popolazione mondiale vive nei cinque paesi del BRICS (il resto negli altri che sono più o meno 195) tutto è detto in termini di mercato, di potenziale umano e di risorse di ogni tipo, a cominciare da quelle energetiche.
Tenendo quindi conto di queste tendenze, inarrestabili e sotto gli occhi di tutti, abbiamo accettato di buon grado, riuscendo a convincere il Presidente di Conference Service Nino Leanza ad accompagnarci, accogliendo i ripetuti, fraterni inviti di alcuni amici brasiliani operanti in campo funerario per effettuare un viaggio di studio nel loro Paese. Tali amici erano stati eccessivamente e favorevolmente impressionati da Tanexpo 2012 cui riconoscono, senza riserve, il primato mondiale del settore. Non è che dagli altri paesi, che pur conosciamo da parecchi anni, manchino gli inviti. Tuttavia la nostra scelta s’è portata, in prima battuta, sul Brasile per la semplice ragione che tra tutti quelli evocati esso è il più simile per origine, per cultura, per religione, per modo di vivere a quello da cui veniamo. Soprattutto in un settore “sensibile” quale quello funerario dove talvolta le usanze sono estremamente diverse in uno stesso Paese. Basti pensare alle differenze che intercorrono, in Italia, tra l’Alto Adige (o Süd Tirol per non urtare la suscettibilità dei nostri compatrioti di lingua tedesca) e la Sicilia. Tanto più che già conoscevamo la realtà funeraria di Fortaleza e dello Stato del Cearà dove ci eravamo recati due anni orsono per la posa delle prima pietra (la “piedra fundamental”) di un complesso cimiteriale “verticale” di altissimo pregio artistico e di eccellenti prospettive economiche. Tanto per dare un’idea della dimensione, si deve sapere che fonti internazionali estremamente attendibili hanno valutato il progetto qualche decina di milioni di dollari. Dato che ci è stato discretamente confermato dal titolare di “Atlânticos Garden” (così si chiama la nuova struttura) Garcez Filho, spalleggiato dai figli Garcez Neto e Giovàni. Nelle note di viaggio preliminari avevamo sottolineato alcuni punti positivi come il fatto che il Brasile dispone ormai, segno di una espansione certa, di diverse multinazionali (Vale, gruppo minerario; Petrobras, petrolio; Embraer, aeronautica e così via), che è il Paese più industrializzato dell’America Latina e che ha estinto il proprio debito con il Fondo Monetario Internazionale di cui oggi è creditore (!). Non solo, ma i quasi duecento milioni di abitanti vivono in un Paese la cui economia cresce in media del 5% all’anno e che è attualmente la sesta economia del mondo, destinata a salire al quinto posto nel 2016 per rappresentare, all’orizzonte 2050, la terza potenza economica del pianeta. Tali dati ci vengono da un autorevolissimo e prestigioso istituto indipendente britannico, il CEBR (Centre for Economics and Business Research) che nella sua “World Economic League Table 2011” dà atto del sorpasso del Regno Unito da parte del Brasile preceduto soltanto, nell’ordine, da Stati Uniti, Cina, Giappone, Germania e Francia, quest’ultima ormai alla portata della potenza sudamericana. Sul fatto, quindi, che il Paese del samba stia vivendo dal punto di vista economico il miglior periodo della propria storia (riprendo un articolo apparso su “Panorama.it”) nessuno sembra nutrire dubbi. La coppa del mondo di calcio del 2014 e le Olimpiadi di Rio del 2016 agiscono poi da calamita per gli investimenti.
Un afflusso record di capitali in America Latina è stato registrato all 2011 con un aumento del 31% rispetto all’anno precedente. È quanto risulta da un rapporto delle Nazioni Unite. Dei 153,4 miliardi di USD investiti in quel continente, ben 66,7 (il 44%) sono stati attirati dal Brasile. E questo nonostante la crisi internazionale da cui sembra essere non solo al sicuro, ma, anzi, tra i pochi stati al mondo che ne sta traendo vantaggi comparati. Anche se la povertà e la marginalizzazione di molti individui persistono, nondimeno le cose migliorano progressivamente. Lo abbiamo riscontrato per osservazione diretta e attraverso i nostri contatti dai quali ci giungono informazioni talvolta inedite, ed in certi casi sorprendenti, che sono peraltro fortemente attendibili in quanto frutto dell’esperienza imprenditoriale vissuta in prima persona giorno dopo giorno. È indubbio, ad esempio, che i Paesi colpiti dalla crisi, ed in particolare quelli europei, si trovano su una brutta china di impoverimento generalizzato e di disoccupazione (a parte gli squali che in tali situazioni si riempiono le fauci speculando sulla pelle altrui) fintanto che non riprenderà la crescita. Talché l’espansione delle aziende potrà essere garantita soltanto da investimenti in Paesi emergenti ad alto potenziale come pare essere, anzi è, il caso del Brasile. Esso rappresenta quindi uno sbocco di importanza vitale per l’Europa in crisi. Più che puntare sull’esportazione di tipo classico (aggravata, nel caso del Sud America, non tanto dalle spese di trasporto quanto piuttosto dalle barriere doganali – l’invio di semi-lavorati da trasformare o montare in loco potrebbe essere una soluzione intermedia accettabile) si tratta quindi di accettare il concetto tanto aborrito, ma ineluttabile, di delocalizzazione (alla sola lettura di tale parola già ci giungono alle orecchie le invettive e gli anatemi dei “custodi del tempio”, pur decrepito, ma sempre di tempio si tratta) consapevoli del fatto che l’impresa madre europea agirà non per produrre (ciò che accade in certi paesi dell’ex blocco socialista dove vengono fabbricati beni da vendere in Italia) per il mercato domestico al prezzo di soppressioni di posti di lavoro e conseguente aumento della disoccupazione, ma per approfittare del mercato locale e più in generale di quello dell’intero continente, visto anche il progressivo ampliamento del Mercosur (Mercato comune del Sud America) o della Comunità Andina. Tale ipotesi pare praticabile nella misura in cui la mano d’opera è ancora a buon mercato rispetto agli standard dell’Europa occidentale. In Brasile si parla, ad esempio, di un salario minimo mensile non superiore ai 300 euro. È vero che c’è una certa inflazione, ma il real è in buona salute. La moneta locale si sta rivalutando su quelle di riferimento; ancora un paio d’anni fa ce ne volevano 5 per avere un euro mentre oggi ne bastano 2,5. Ma se ciò potrà, a termine, influire negativamente sulle esportazioni brasiliane, esso non si rivelerà pregiudizievole per ciò che riguarda il mercato interno che è in piena crescita. Anche, per ciò che più da vicino ci riguarda, nel settore funerario. Dove, l’abbiamo constatato nel corso del nostro viaggio di studio, c’è un fortissimo interesse per i prodotti europei in generale ed italiani in particolare, cui viene spesso e giustamente riconosciuta una eccellente qualità, e dove molti imprenditori sono dichiaratamente disposti ad unire le proprie forze con quelle di investitori esteri per dar vita ad una produzione locale di un certo livello che corrisponda ad una domanda di qualità che si fa sempre più esigente grazie ad un benessere sempre più diffuso. Dagli ultimi dati statistici ufficiali risulterebbe che il 52% dei quasi 200 milioni di brasiliani appartengono alla classe media. Erano il 41% meno di dieci anni fa.
Un esempio ci viene dagli incontri avuti con i responsabili di Grupo Nobre. Si tratta di una azienda di cui avevamo già ampiamente parlato dopo un viaggio a Fortaleza. Nella brochure di presentazione che viene attualmente distribuita l’obiettivo, ambizioso, del Gruppo per l’anno prossimo è espresso senza mezzi termini: divenire la più grande impresa funeraria del Brasile. Creata da una trentina d’anni, essa si è sviluppata rapidamente grazie ad un marketing molto aggressivo e ad una offerta che risponde perfettamente ai bisogni della clientela. Non solo nel servizio esequiale classico, ma anche nel “Plano”, la previdenza funeraria che si sta sviluppando in modo esponenziale assicurando alle aziende che la propongono profitti forse anche superiori a quelli derivanti dal funerale propriamente detto. Iracema Nobre, la fondatrice assieme al marito dell’impresa, è assecondata dai figli Renato e Roberto e dall’ 1 giugno da Raquell. Abbiamo visitato le loro case funerarie diversificate in funzione del potere d’acquisto del quartiere in cui esse si trovano. Nei loro show room le bare vengono esposte con il prezzo del servizio che comprende il trasporto del corpo al domicilio del defunto (è ancora frequente laggiù la consuetudine di partire per il cimitero da casa), il carro funebre ed i necrofori. Ebbene i prezzi variano dai 600 ai 4.000 euro. Nel secondo caso la bara fornita da una nota azienda produttrice brasiliana viene pagata dall’impresa 800 euro. Si tratta di un prodotto che ha poco a che vedere con la qualità ed il design dei nostri cofani. In tali condizioni non si capisce come mai nessun costruttore italiano non abbia ancora avuto l’idea di attaccare quel mercato con una produzione locale. Tanto più che vi sono almeno due ragioni per pensarci. La prima che nel Paese, seppur molto giovane (infatti il tasso per mille di mortalità è nettamente inferiore al nostro), vi sono bene o male 1.500.000 decessi all’anno per una popolazione, lo dicevamo pocanzi, di circa 200 milioni di abitanti (di cui 25 milioni sono italiani o di origine italiana; non per nulla San Paolo sarebbe la più grande città italiana al mondo; alcuni dicono che la metà dei 22 milioni di paulisti è italiana e l’altra metà di… origine italiana). La seconda è che gli Stati Federali aiutano con incentivi la creazione di nuove aziende suscettibili di creare occupazione. Ricorderemo qui, per inciso, che il Brasile è una repubblica Federale di 26 stati cui si aggiunge il Distretto Federale di Brasilia, la capitale.
[continua...]
 
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