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Tragedia in musica: l'eroe muore. Anzi no.

François-Marie Arouet, ben più noto col nome di Voltaire, non fu solo il filosofo e polemista - forse più celebre dell'età illuministica - che tutti conoscono, ma anche poeta e tragediografo. E una tragedia è appunto Tancrède che, dopo la prima rappresentazione avvenuta nel 1759, stette in repertorio alla Comédie Française per quasi cent'anni, durante i quali fu messa in scena quasi quattrocento volte.

È da questa tragedia che il giovane Gioachino Rossini (1792/1868) già reduce da significativi ma non ancora decisivi successi, prende spunto nel 1813 per il suo vero, grande debutto nel più illustre dei generi musicali teatrali: l'opera seria. Siamo a Venezia, al teatro la Fenice (che da questa 'prima' trae una delle sue numerose grandi glorie), il librettista è Gaetano Rossi, la primadonna la celebre Adelaide Malanotte. Dopo l'esito incerto delle prime due serate (dovuto anche al fatto che una indisposizione delle due cantanti principali costrinse a chiudere la rappresentazione prima della fine…) il successo arrivò e dalla Fenice si diffuse, strepitoso, in tutta Europa. Con quest'opera era nato il mito di Rossini, raggiungendo subito il suo apice, quando egli non aveva che ventun anni.

E anche quest'opera, giovanile ma già miracolosamente perfetta, divenne in un certo senso un mito: basti pensare a come ne parla un grande scrittore contemporaneo come Stendhal (ascoltatore entusiasta e biografo di Rossini) e ai numerosi aneddoti relativi ad essa che egli ci racconta: il più noto è quello sulla celeberrima cabaletta Di tanti palpiti che sarebbe stata velocemente scritta durante la cottura di un risotto!

Ma un altro è il punto che vogliamo qui sottolineare. L'ascoltatore o spettatore non ancora esperto di melodramma potrebbe attendersi che quest'opera e le altre che similmente traggono ispirazione dal teatro tragico, una conclusione tragica debbano ovviamente avere, tipicamente almeno la morte del protagonista, se non le ecatombi che caratterizzavano le tragedie elisabettiane del '600 inglese; ma non è così. Rossini si mantiene in questo caso ancora fedele alla convenzione invalsa nel melodramma del Sei-Settecento: quale che fosse la storia originale cui l'opera si ispirava, e anche se quella fonte aveva un carattere appunto 'tragico', s'imponeva di norma che l'opera avesse comunque un lieto fine; solo successivamente, in condizioni di gusto estetico e musicale radicalmente mutate, il melodramma romantico imparerà a mettere efficacemente in musica la morte, l'esito naturale di una vicenda tragica.

Così, nel nostro caso, mentre in Voltaire Tancrède, credendosi tradito dall'amata, va a cercare volontariamente la morte in battaglia, ed essa, giunta troppo tardi a sciogliere l'equivoco, si toglie la vita, il Tancredi rossiniano va bensì anche lui a cercare la morte in battaglia, ma non la trova, e l'equivoco è all'ultimo istante felicemente sciolto.

Ma non è tutto. Quando l'opera, poco dopo il debutto, fu ripresa a Ferrara, un nobile bresciano, letterato, e sentimentalmente legato alla primadonna, propose di introdurre delle modifiche, fra le quali il restauro dell'originale finale tragico. Rossini accettò, e questa volta fece morire Tancredi, su poche, straordinarie battute di musica nelle quali "par di vedere la vita evaporare dal corpo […]; e anche di ascoltare il silenzio uscire dalla musica, e lasciarla deserta", come scrisse Fedele d'Amico quando alcuni anni fa questa versione dell'opera, scomparsa dalla circolazione dopo il debutto, riemerse da un archivio e venne messa in scena.

Ora i teatri decidono di volta in volta se usare il consueto finale lieto o quello tragico; allora i tempi non erano ancora maturi se, come scrisse una gazzetta commentando la recita di Ferrara, "la nuova scena e aria della signora Malanotte piace assai, ma non così la morte di Tancredi che vi si è introdotta, a cui non vuol adattarsi quel Pubblico".

 
Franco Bergamasco

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