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torna la morte eroica: è un bene o un male?

Quando si rischia la morte tutti i giorni come accade in guerra, morire bene non significa più morire in modo istantaneo e indolore, d'un colpo, senza accorgersene o addormentandosi dolcemente. Innanzitutto perché la morte non può più essere improvvisa e poi perché, lungi dal poter determinare il modo di morire, si può prevedere con quasi matematica certezza che si morirà violentemente. Torna allora l'eroismo di chi sceglie di rischiare la morte per difendere la causa che ritiene giusta, di chi si sacrifica per i propri ideali o per qualche interesse superiore, di chi muore guardando la morte negli occhi.
Due esempi delle cronache di guerra di questi ultimi giorni emergono e vengono portati all'attenzione del pubblico: il grande campione sportivo americano che dopo l'11 settembre abbandona una carriera soddisfacente e lucrosa per arruolarsi al contingente americano e muore in Afganisthan; l'italiano che va a fare la guardia armata in Irak, viene rapito e, mentre lo stanno facendo fuori a sangue freddo, cerca di strappare il cappuccio ai suoi carnefici per guardarli negli occhi pronunciando una frase che vale una vita: "Vi faccio vedere come sa morire un italiano!".
I due episodi vengono salutati come esempi di eroismo e consolano l'Occidente in guerra contro un'altra civiltà perché sembrano significare che non è poi così certo quello che dopo l'11 settembre sembrava scontato, e cioè che contro i terroristi siamo destinati a perdere, in quanto loro amano la morte e possono sacrificare la propria vita per la loro causa mentre noi amiamo la vita e non sappiamo più sacrificarla per difendere i nostri valori. Non è vero, anche noi sappiamo essere eroi! Ed è forte la speranza di prevalere nella lotta per il dominio del mondo!
Con la guerra, quindi, ritorna l'eroismo anche in una civiltà che sembrava condividere ormai la convinzione di Berthold Brecht per cui è "infelice quel popolo che ha bisogno di eroi". Sembra un bene, perché altrimenti la civiltà che ha regalato al mondo la democrazia e l'idea di un progresso infinito della Storia sarebbe destinata a perire.
Purtroppo non ci si avvede che in tal modo si ripristinano nel mondo le ragioni della guerra infinita contro le ragioni della pace perpetua che sembrava a portata di mano con la possibilità di unificare il mondo all'indomani della caduta del muro di Berlino, e cioè della fine della divisione del mondo in due blocchi eternamente contrapposti.
Dal punto di vista della concezione della morte, la "morte eroica" tende a nobilitare la stessa, trasformandola da estrema vulnerabilità che accomuna gli esseri umani inducendoli a rinunciare a dominarsi (tanto prima o poi si muore e qualunque dominio è vano) in "bel gesto", e a coalizzarsi in una lotta contro l'unica eterna nemica del genere umano e cioè la morte stessa.
È vero che voler morire senza accorgersene come oramai desiderano tutti i popoli occidentali che vivono in pace è un po' da codardi, ma almeno consente all'Umanità in pace di dedicarsi a migliorare la qualità della vita, a concentrarsi sulla vita fino all'ultimo istante, anche quando la morte incombe e sembrerebbe aver vinto. Se invece il nemico è alle porte e le minacce di morte e di distruzione incombono, non potremo negare il rischio di morte e tenderà a farsi strada la soluzione di sempre: esportare la morte nel campo nemico cercando di uccidere quanti più nemici possibile o, se ciò non fosse possibile, non facendo loro vedere che si ha paura di morire. In tal modo avrà timore a sfidarmi perché temerà di morire a sua volta!
Con gli eroi appare evidente che il nemico non ha poi tutti torti a volerci uccidere, dato che ora l'eroismo ci ha resi simili a lui. Non dovremmo andare a combattere neanche dopo l'11 settembre, non per codardia (come dice, gridando forte per vincere la sua paura, Oriana Fallaci), ma per non avere lo stesso loro disprezzo della vita, per non diventare come i terroristi! Cosa avremmo dovuto fare allora dopo l'11 settembre se fossimo stati la civiltà superiore che talvolta presumiamo di essere?
C'è una possibilità, propria di una civiltà superiore, nella nostra evoluzione: la possibilità di amare i nostri nemici, la possibilità di perdonare, l'unica possibilità in grado di interrompere la spirale della violenza. Cristo ce lo ha insegnato: se non porgi l'altra guancia assolvi e giustifichi la violenza di chi ti ha colpito. Nessuno ha il diritto di ucciderti, qualunque cosa tu gli abbia fatto, compreso l'avere ucciso: lo scambio delle violenze (l'occhio per occhio, dente per dente) è una soluzione solo in presenza di una giustizia assoluta, di qualcuno che distribuisca in modo perfetto le colpe e le sanzioni. Chi si vendica dopo che gli hai ucciso un figlio, infatti, finisce per uccidertene due, confermando in tal modo il primo gesto d'odio. Se Caino viene ucciso dopo che ha ucciso Abele, lungi dall'essere combattute, le ragioni per cui Caino ha ucciso Abele vengono confermate. Caino ha commesso una ingiustizia uccidendo Abele perché gli ha preso troppo (la vita) rispetto a quello che Abele gli aveva tolto (la considerazione del Signore e della Società). Abele era il preferito e quindi aveva una responsabilità nella sofferenza di Caino, ma Caino non aveva il diritto di farsi giustizia da sé e, infatti, ha preteso troppo. Senza il perdono quel troppo (che è la punizione della vita) è destinato a perpetuarsi: Caino viene a sua volta ucciso; ciò sembra giusto a tutti e la catena della violenza si interrompe per un po', fino alla prossima ingiustizia che riproduce la violenza).
Ora, guarda caso, i due eroi cui abbiamo fatto riferimento sopra erano al servizio della giustizia che si abbatte sul colpevole che tutti riconoscono come tale (I Talebani, alleati di coloro che hanno colpito l'11 settembre, e Saddam Hussein, il traditore che, dopo essere stato al servizio della giustizia contro Komeini, mette in pericolo il mondo con le sue armi di distruzione di massa e con la ricchezza del suo petrolio). Se i Talebani fossero stati vinti subito e il dopoguerra irakeno fosse stato più facile, la violenza per un po' si sarebbe acquietata: il sacrificio del capro espiatorio seda la sete di giustizia come un sedativo combatte l'ansia, senza prenderne in considerazione le cause, in modo sintomatico e solo per un po'. Ma meglio che niente. Stavolta non si è riusciti neanche a fare questo. Non bastano un po' di morti, un po' di eroi, né bastano 150 mila soldati e ventimila guardie armate per normalizzare l'Irak. Come sempre accade quando il capro espiatorio non si riconosce tale anche da sé oltre che da parte degli altri, o come quando è veramente innocente. Ora in Irak abbiamo una classe dirigente che per aver fatto parte dei giustizieri (Saddam e i suoi erano alleati degli Usa) non accetta di essere un capro espiatorio; e soprattutto un popolo che non può accettare di esserlo essendo davvero innocente (che colpe hanno i bambini che muoiono sotto i bombardamenti?). I primi combattono l'Occidente con le sue stesse armi e gli ricordano le recenti complicità, i secondi richiamano l'Occidente alle altre volte nelle quali qualcuno ha rifiutato di essere capro espiatorio perché innocente, cioè gli ricordano il Cristo in Croce. Ma l'Occidente si è scristianizzato (o forse, meglio, non si mai cristianizzato) e non si ricorda più che la soluzione indicata da Cristo di fronte al tentativo di sacrificarlo come capro espiatorio nonostante la sua innocenza non è quella di armarsi, bensì quella di offrirsi al martirio e di perdonare i carnefici perché la violenza cessi.
Gli eroi di oggi, insomma, gli eroi che consolano l'Occidente, sono l'espressione dell'essersi esso nuovamente uniformato al meccanismo della violenza infinita (la guerra infinita) da cui sembrava poter uscire attraverso la soluzione cristiana.
Avrebbe potuto fare un salto di civiltà dopo l'11 settembre, e farlo fare a tutta l'Umanità, perdonando per la violenza subita e sacrificandosi per farla cessare, ma ha mostrato di somigliare ancora molto alle altre cosiddette civiltà.
Il campione sportivo che ha rinunciato alla ricchezza, alla fama e alla vita per morire combattendo contro i nemici dell'Occidente non avrebbe potuto fare le stesse rinunce, restare in America e lottare perché i suoi governanti non reagissero all'offesa ricevuta come si reagisce nella giungla perpetuando così la violenza e la bestialità umana?
La guardia armata che si è sacrificata eroicamente sfidando la morte e mostrando che anche un imbelle e pauroso italiano può morire coraggiosamente, non avrebbe potuto restare in Italia e dedicarsi a trasformare il suo ambiente in un ambiente in cui la sicurezza non derivi dalla presenza di guardie armate, ma dal reciproco riconoscimento della vulnerabilità di fronte alla morte che rende tutti uguali: non come rende uguali la colt ("Dio fece gli uomini diversi, ma la colt li rese uguali"), ma perché gettati in un mondo in cui la vita è continuamente minacciata (dalla Natura imperfetta per cui ti ammali e muori, dalla violenza del dominio che ti può uccidere,...).
La morte eroica è tornata: ma è un bene o è un male?
 
Francesco Campione

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