- n. 7 - Novembre/Dicembre 2018
- Attualità
Una strage del nostro tempo
Raffiche anomale di vento hanno trasformato i boschi delle Dolomiti in un cimitero di alberi. Una ferita profonda, conseguenza di cambiamenti climatici che non possono più essere ignorati.
Un secolo. Cento anni, è forse questo il dato più impressionante. Tanto infatti sarà il tempo necessario per tornare a vedere i nostri boschi come si presentavano solo pochi giorni fa, prima che la potenza devastante di venti lanciati a 120-130 km/h distruggesse intere aree travolgendo milioni di alberi. L’ondata di maltempo della fine di ottobre ha provocato morte e devastazione in tutta Italia, distruggendo soprattutto molte vite umane ma anche un patrimonio paesaggistico ed economico di rilevante importanza per il nostro Paese.
I fatti prima di tutto: si stima
“una strage di circa 14 milioni di alberi che ha compromesso l'equilibrio ecologico ed ambientale di vaste aree montane, mettendone a rischio la stabilità idrogeologica", lo afferma la
Coldiretti insieme a
Federforeste, precisando che ad essere abbattuti sono stati soprattutto faggi e abeti bianchi e rossi nei boschi dal Trentino all'Alto Adige, dal Veneto al Friuli.
Un vero disastro che coinvolge dal punto di vista economico un intero settore industriale e territori già in difficoltà per il progressivo abbandono e spopolamento. Dopo lo sgomento e la profonda tristezza per la perdita di un paesaggio che non tornerà, è necessario reagire tempestivamente per non peggiorare le cose. Che ne sarà di tutti gli alberi sradicati e schiantati delle Dolomiti?
Federlegno ha lanciato l’allarme:
“è giunto il momento che le istituzioni sostengano con forza le imprese forestali nazionali che quotidianamente operano su un mercato dove è fortissima la concorrenza di colossi stranieri e che dovranno necessariamente far fronte ad una grandissima mole di lavoro per il prelievo in zone particolarmente difficili da raggiungere”.
Tanti, davvero tanti i problemi a cui far fronte: i bilanci a rischio degli enti montani che contavano sugli introiti del legname, i danni sull’intera filiera del legno, la distorsione del mercato causata dalla sovrabbondanza di materia prima a cui seguirà nel giro di un paio di anni un'inevitabile carenza, i rischi per i posti di lavoro nel settore delle utilizzazioni boschive…
La necessità di un intervento tempestivo da parte delle istituzioni viene richiesto da più parti dal mondo della montagna: i territori del Trentino, dell’Alto Adige, del Veneto e del Friuli Venezia Giulia non possono perdere nemmeno un minuto per provvedere al recupero degli alberi caduti, che si annuncia come un lavoro gigantesco.
Josef Schmiedhofer, direttore del demanio della Provincia di Bolzano,
stima che l’operazione di recupero degli alberi abbattuti durerà almeno tre anni e pone anche il tema dello stoccaggio delle enormi quantità di legname. Per non parlare delle criticità nella tenuta dei terreni, dove frane e smottamenti hanno già provocato l’interruzione di strade forestali, o dei cambiamenti climatici, con lo scioglimento della neve o il caldo delle estati e i probabili incendi che il legname inerte potrebbe facilmente alimentare. Successivamente sarà necessario il rimboschimento, la riqualificazione delle aree investite che dovrà necessariamente essere pensata in funzione dei mutamenti climatici.
Il noto esperto di montagna,
Reinhold Messner, che ha visto di persona il territorio in cui vive scontrarsi col recente cataclisma,
lancia un appello affinché i Governi e le istituzioni, non solo italiani ma europei,
si schierino “per una guerra al cambiamento climatico che sarebbe la vera crociata di questo millennio. Prima della tempesta potevamo anche illuderci che il cambiamento climatico fosse una questione lontana. Gli tsunami, le inondazioni. Tutto altrove. Ora non più. Abbiamo visto. C'è il nostro panorama che non sarà più quello di prima”.
Una furia distruttrice che in poche ore ha abbattuto alberi centenari, una corsa contro il tempo per cercare di limitare i danni, oltre cento anni per tornare ad una situazione di stabilità del paesaggio e del sistema economico. Negli spazi di dilatazione e contrazione temporali si gioca la sfida che vede impegnato il nostro Paese e probabilmente tutto il nostro mondo: senza perdersi in scenari apocalittici, è forse davvero giunto il momento di impegnarsi per un cambiamento rivoluzionario.
Sara Sacco