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Departures (Okuribito)

La storia di un noukanshi

Un film giapponese ha ottenuto il Premio Oscar 2009 quale migliore opera straniera e ben altri 73 premi internazionali. La pellicola sta riscuotendo ampi consensi anche in Europa; in Italia è stata proiettata in anteprima al recente FarEst Film Festival di Udine.
Departures” in inglese vuol dire “partenze”. Il titolo originale in lingua giapponese significa “le persone che accompagnano i defunti”, riprendendo la parola “okuribi” del rito buddista che indica l’accompagnamento dell’anima del defunto.
Una famosa tradizione della città di Kyoto (seconda capitale del Giappone nel ‘700) è quella dell’accensione di un grande fuoco sulle montagne nella notte di agosto dedicata alla festività chiamata “Bon”. Le sillabe e i grafemi giapponesi “Hi” e “Bi” indicano il fuoco, mentre “Hito” e “Bito” significano la persona. La differente traduzione occidentale del titolo attesta quanto sia difficile comprendere la cultura orientale.
La trama del film è singolare ed originale. Il regista Takita Yojiro ha focalizzato la propria attenzione su un rito funerario giapponese e in particolar modo sulla figura del “noukanshi” (letteralmente “maestro di deposizione nella bara”), un professionista che lava e che riveste la salma. Il protagonista, Kobayashi Daigo (l’attore Motoki Masahiro), è un violoncellista che ha appena perso il lavoro. Senza alcuna prospettiva di occupazione come musicista decide, insieme alla giovane moglie Mika (Hirosue Ryoko), di trasferirsi in campagna, nella sua città natale, Sakatashi, nella prefettura di Yamagata.
Qui risponde ad una inserzione per quello che, inizialmente, crede un lavoro nell’agenzia di viaggi NK, ma che, come gli viene rivelato da una attenta e appariscente receptionist (Yo Kimiko) e dal burbero seppur cortese presidente (Yamazaki Tsutomu), non spedisce i propri clienti alle Hawaii, ma all’altro mondo. Daigo accetta comunque di provare e scopre di avere la vocazione di noukanshi, capace di elevare un semplice compito a rituale raffinato, eseguito con gesti sapienti ed eleganti che comunicano anche compassione per il defunto. Di questa scelta Daigo non dice una parola a Mika.
Da bambino Daigo era stato abbandonato dal padre e lasciato solo dopo la morte dell’amatissima madre. Da noukanshi si accorge che, aiutando gli altri ad accettare la loro perdita, risulta più facile per lui fare i conti con la propria. Il lavoro è anche uno sfogo naturale al suo senso musicale del bello e dell’ordine. Sua moglie Mika, però, non riesce a superare i pregiudizi, né la vergogna sociale per la professione del marito e gli impone la scelta: o i morti o lei.
Cosa attira l’attenzione del pubblico?
È un film dove non vi sono conflitti politici, ma viene semplicemente affrontato il tema della morte e della vita degli abitanti di Yamagata, provincia settentrionale che conserva ancora l’antica tradizione del noukanshi. Il Giappone, con i suoi 127 milioni di abitanti, è un Paese che sta vivendo un veloce processo di invecchiamento.
Nel film c’è la storia della vita, dell’amicizia e dell’amore fra marito e moglie e fra genitori e figli; vi è proprio la ricerca del senso del vivere. Vi appaiono culture che stanno scomparendo e emerge un nuovo modo di vivere la famiglia da separati, come nel caso della madre dell’amico del protagonista che fino alla sua morte gestisce un bagno pubblico in via di chiusura. È una storia che fa sorridere, con un umorismo molto delicato e commovente in cui l’istinto di vivere, rappresentato dalle diverse scene del mangiare, appare come una contraddizione alla tristezza della realtà quotidiana.
La colonna sonora, eseguita da un complesso di dodici elementi di altissimo livello, vede protagonista il violoncello. La natura, vista attraverso il paesaggio che cambia nel susseguirsi delle quattro stagioni, accompagna con assoluta poesia lo svolgersi della narrazione. Il film è stato girato in prossimità di un fiume che, nella tradizione buddista,rappresenta il luogo di passaggio verso l’aldilà, dove si trova il mondo migliore. L’attività di noukanshi, che pochi vogliono fare come professione, è oggetto ancora oggi di pregiudizi. Ma si tratta di una tradizione secolare che deve essere rivalutata.
In Giappone la cerimonia funebre buddista si articola in tre momenti di “addio” al defunto. “Otsuya” è la veglia, nella quale i parenti e gli amici possono visitare e salutare il defunto. È preparata dal noukanshi con un rito secolare che consiste nel mettere il defunto nella bara, pulire il corpo senza vita con acqua calda e con alcool e poi presentarlo ai congiunti come se fosse ancora vivo. Ciò accade la sera stessa del decesso e viene preparata una ricca cena che diviene condivisione di dolore e di nutrimento. Questa tradizione è ancora molto radicata in Corea mentre in Giappone, soprattutto nelle grandi città, sta assumendo carattere puramente formale. Perché tanta cura per la salma, se poi si procede alla cremazione? Non si sa quanto tempo sia necessario perché avvenga il distacco definitivo dell’anima dal corpo. Le diverse fasi della cerimonia funebre aiutano quasi a fermare il tempo e a riflettere, rendendo il dolore un nutrimento spirituale per chi rimane.
Il giorno successivo ha luogo il funerale, officiato dal Kokubetsushiki. Quindi viene il Noukotsu, momento in cui i parenti stretti che assistono alla cremazione (Kasou), possono osservarla da una piccola finestra dell’impianto; al termine gli stessi congiunti raccolgono i resti con bastoncini per metterli nell’urna cineraria.
In Giappone la cremazione è obbligatoria per legge da 70 anni.
Il protagonista del film si è ispirato a un suo viaggio in India dove aveva visto una cerimonia funebre Indù. Dopo 10 anni è riuscito nel suo desiderio di realizzare questo film con regista Takita. Lo scrittore dell’opera originale, cui si è ispirato il film, lo critica perché non esprime la “luce” originale del libro. Senza la luce nessuno può vedere niente. Ma quale luce può rivelare il mistero della vita?
Siamo molto curiosi, per fortuna. Buona visione a tutti!
 
Makiko Yamada

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