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LA MORTE NELLA RELIGIONE ISLAMICA:CREDO E TRADIZIONI CULTURALI DI UNA ESPERIENZA CHE È PARTE DELLA VITA

Lo spirito che viene da Dio e che a lui tornerà

IL SENSO DELLA VITA E DELLA FINE E IL GIUDIZIO NELLA TOMBA
La morte non è una punizione, ma semplicemente pone fine a una fase di un lungo processo che porta ad una nuova vita e che ha il suo culmine nella resurrezione finale. La morte è un termine naturale, la punizione semmai arriva dopo il giudizio. Spesso, quando qualcuno muore, i mussulmani dicono "veniamo da Dio e a lui ritorneremo". L'anima è lo spirito che ritornerà a Dio.

Nell'Islam ogni individuo è responsabile della propria condotta terrena, e dopo la morte il singolo deve rendere conto delle proprie azioni: ogni defunto deve quindi affrontare e superare alcune prove per risorgere il giorno del Giudizio. Appena seppellito, il fedele di Allah deve affrontare il Giudizio individuale: viene interrogato da due angeli, Munkar e Nakir. Gli fanno compagnia fino al giorno del giudizio le azioni che ha compiuto in vita, che siano esse buone o cattive. Un tempo questo che per il morto trascorre velocemente, come il tempo che passa tra una preghiera e l'altra per il credente. Ma nel Corano non c'è alcuna notizia dei due angeli. Le tradizioni culturali sulla morte fanno riferimento ad abitudini successive alla morte del Profeta Maometto.

Nell'Islam il Corano è la parola di Dio, è la rivelazione. Dio è uno e ciò che rivela è unico. Un tema comune nel Corano è il miracolo della nascita umana e il continuo rinnovamento della terra morta quando vi cade sopra la pioggia. Il processo della vita è un continuo con quello della morte e passa quindi attraverso la tomba per giungere alla resurrezione e al giudizio. E il Corano, come la Bibbia, proibisce il suicidio.

La comprensione della morte è determinata comunque sia dal Corano che dall'interpretazione pratica di questo sacro testo nel Hadith, che raccoglie i detti e gli insegnamenti di Maometto e dei suoi compagni, e sono raccolti in scritti tenuti separati dal Corano stesso. Il Corano dice che la morte appartiene alla volontà di Dio. Il periodo trascorso nella tomba viene trattato particolarmente nella sua modalità all'interno dell'Hadith. Entrambi possono essere integrati dalla tradizione.

IL GIUDIZIO FINALE E LA RESURREZIONE
I giorni della resurrezione e del giudizio finale sono spesso descritti nel Corano: i corpi usciranno fuori dalle tombe. Poi squillerà la tromba e i cieli si spaccheranno, le montagne scompariranno. E gli angeli saranno visibili e porteranno il trono del Signore. E in quel giorno tutti saranno esposti e nessun segreto sarà più tale.

Nel giorno del giudizio saranno aperti i libri dove ogni azione e parola sono state registrate, e le azioni di ogni individuo saranno letteralmente pesate su di una bilancia.

Ma nell'islam nessuno otterrà la salvezza solo per le sue azioni: è una religione per cui è importante l'intenzione con cui ogni atto è compiuto, e questo risulta essenziale nella valutazione dell'atto stesso. Dio è in ogni caso il "misericordioso", che tutto perdona e a cui si può ritornare pentiti. Comunque ciascuno viene ricompensato secondo un preciso bilancio. Il pentimento è possibile prima della morte perché poi è troppo tardi.

C'è la possibilità, come indicato nell'Hadith, che alcune opere compiute prima della morte possano continuare ad avere un effetto benefico e quindi aiutare il defunto che ha già passato la barriera, nella quale sta il periodo trascorso nella tomba.

È contemplato nella tradizione un certo grado di intercessione altrui in favore del defunto. Il compilatore di Hadith riporta una tradizione secondo la quale se più di trenta uomini stanno accanto al feretro di un mussulmano pregando, Dio lo considererà un buon segno.

Anche nell'Islam esistono un Paradiso e un Inferno: le descrizioni del Giardino e del Fuoco sono più particolareggiate, quindi non sono più luoghi concettuali come nelle religioni che precedono l'Islam.

E il giorno del giudizio per i mussulmani è anche il giorno della distinzione: verrà trovata una soluzione per tutte le dispute terrene e in particolare quelle tra ebrei e cristiani, tra i figli d'Israele, tra i mussulmani e tra i suoi servi.

L'Islam è infatti la terza grande religione monoteista. Ma l'Islam è anche una forma "tarda", non primitiva, della tradizione giudeo-cristiana, quindi non stupisce la precisione minuziosa nelle descrizioni come quella del Paradiso e dell'Inferno, o su come si deve immaginare il periodo trascorso nella tomba, come racconta John Bowker in un capitolo dedicato all'Islam, nel libro La morte nelle Religioni, edizioni San Paolo.

TRATTAMENTO DEL CADAVERE E RITI DI SEPOLTURA: UNA TRADIZIONE
"La sepoltura islamica, quella universalmente praticata con varianti locali, prevede il lavaggio della salma appena dopo la morte e l'interramento in giornata, se possibile: - spiega Giulio Soravia, docente di Lingua e Letteratura Araba all'Università di Bologna - quella che probabilmente fu una norma igienica nei climi caldi è diventa una pratica di tradizione".

Secondo la tradizione dopo il funerale avviene il giudizio individuale. È un segno di rispetto per il defunto accompagnarlo in tempo, quindi entro sera, all'appuntamento con i due angeli.

Dopo la morte il lavaggio del cadavere è eseguito solitamente da uomini e donne, dello stesso sesso del defunto, parenti stretti della famiglia o estranei che siano comunque persone di fede. Ma quando ci si trova all'estero e senza il conforto della famiglia questa pratica viene eseguita anche dagli amici della comunità islamica d'appartenenza. E per i riti di purificazione del cadavere in Italia ci si può appoggiare alla struttura ospedaliera della città o alla camera mortuaria del cimitero, qualora entrambe lo permettano.

La pratica che segue la regola islamica, come testimoniano gli usi dei membri del Centro di Cultura Islamica di Bologna, prevede che la salma venga lavata in tutte le sue parti e con particolari procedure: rispetto all'abluzione per la preghiera qui si tratta di un lavaggio totale. La salma viene avvolta in un sudario bianco dal tessuto semplice che copre il corpo dalla testa ai piedi. Non si tratta di un pezzo unico: una volta asciugata la salma si preparano tre tagli di lenzuolo. Il primo pezzo copre il corpo fino all'ombelico, il secondo dall'ombelico ai piedi e il terzo avvolge l'intero cadavere da sinistra a destra, senza contare che occhi e bocca vanno chiusi.

Ma ci sono casi in cui i morti vengono lavati a pagamento da uomini e donne, come accade a Hebron, che dista 42 Km da Gerusalemme e che da decenni è al centro dei territori contesi. In questa cittadina, Chiara Galli dell'Università di Bologna ha raccolto dati e testimonianze nel periodo tra settembre 2000 e maggio 2001 (La presenza dei vivi e l'assenza dei morti nella città di Hebron, nel volume Antropologia dello Spazio, luoghi e riti dei vivi e dei morti, a cura di Adriana Destro, editore Patron 2002). Come ad Hebron ciò accade in varie parti del mondo mussulmano.

Il morto viene poi trasportato con una lettiga al cimitero. E il ruolo della donna? In genere non segue il feretro, non partecipa alla cerimonia funebre. La religione non lo proibisce, ma si tratta di una consuetudine islamica.

Il defunto poi deve essere rigorosamente sepolto sottoterra (tombe di famiglia e colombaie sopra il livello del suolo sono inaccettabili per i mussulmani) e la testa va rivolta verso la Mecca. Anche nel momento della inumazione gli uomini stanno in un lato e le donne in un altro. La cremazione, poi, è solitamente proibita.

Analizzando il tutto, si vede come non si tratti di prescrizioni coraniche, che in merito sono pochissime, ma di "usi entrati a far parte di una tradizione culturale profondamente radicata - spiega Soravia - che può essere suscettibile a cambiamenti e variazioni, ma che va comunque rispettata". Un senso di appartenenza che unisce gli individui in un corpo sociale. Quindi il sistema di pratiche che si formalizza nel tempo permette al singolo individuo di interpretare il sentimento religioso in una serie di atteggiamenti e di comportamenti, condivisi dalla comunità, che consolida il senso di appartenenza. Si tratta di principi guida minimi che però sono stati codificati.

E anche il corpo va rispettato con attenzione: poiché verrà resuscitato nel giorno del giudizio, rompere un osso ad un mussulmano morto è grave come romperlo ad un mussulmano vivo.

I RITI DEL COMMIATO: LA CERIMONIA FUNEBRE E IL CORDOGLIO
"La morte non è una fine ma un inizio. - commenta Nabil Bayoumi, del Centro di Cultura Islamica di Bologna - Un detto del Profeta Mohamed afferma che in questa vita noi dormiamo, quando arriva il momento della morte invece ci svegliamo".

Il defunto viene accompagnato al cimitero da parenti e amici e non si assiste a particolari cerimonie, a parte una preghiera dei morti. I viventi pregano per il defunto spesso ciascuno in silenzio, in piedi e rivolti verso la Mecca. Di fronte al morto vanno recitate comunque quattro proclamazioni della grandezza di Dio e se possibile va recitata almeno la prima "sura" del Corano, il "capitolo" che con la frase "Nel nome di Dio, il Misericordiosissimo, il Clementissimo" apre il Corano.

E sul fronte dell'esternazione del proprio dolore per la perdita della persona cara, come ci si comporta? "Per l'Islam non ci si dovrebbe lamentare troppo della morte: la disperazione di fronte alla fine della vita è segno di cattiva fede. - illustra Soravia - La morte è un momento di trapasso estremamente importante che va accettato con una tristezza inevitabile, che fa parte della natura umana, però vissuta senza eccessi di dolore e lamentazioni". A volte le donne non sono ammesse alla cerimonia funebre perché si crede che siano più inclini alla espressione del dolore in modo eccessivo, e ciò potrebbe creare confusione.

Si dice che Maometto permetteva il lamento funebre fino al momento della morte, non oltre. Perché l'accettazione della morte è l'accettazione stessa della volontà di Dio nella creazione, visto che l'anima dell'uomo ritornerà a Dio. I familiari possono ricevere le condoglianze per un periodo di tre giorni. E il lutto per la vedova è più lungo.

È poi diffuso in generale, come in tutte le culture arcaiche, il banchetto funebre: si tratta più che altro di una tradizione che vede l'offerta di cibo e bevande alla famiglia colpita dal lutto da parte di parenti e amici, per evitare preoccupazioni e lavoro a coloro che stanno soffrendo.

LA TOMBA
Secondo la norma più pura dell'Islam il luogo in cui viene sepolto il defunto dovrebbe essere molto semplice, addirittura anonimo, cioè segnato solamente da un sasso, senza lapide né nome. Nei secoli comunque, per personaggi storici e per politici di grande rilievo, sono state costruite tombe monumentali, mausolei e cappelle di una certa importanza. Nel Maghreb (Marocco) ad esempio si possono trovare piccoli mausolei costruiti vicino alla casa del defunto. Questo tipo di mausoleo viene detto Marabutto, dal nome della guida spirituale della comunità e del villaggio, che era il capo di una confraternita religiosa ed era considerato un sant'uomo. E in ogni accampamento il marabutto si è sempre occupato anche dell'istruzione e dell'insegnamento. La parola marabutto individua anche gli abitanti del presidio abitativo e quindi pure la tomba del santo in vita. Questo luogo è un punto di riferimento e anche un luogo di pellegrinaggio. Questa è una usanza tipica del nord Africa e del Maghreb in particolare. E questo personaggio di spicco della comunità veniva quasi santificato: si sviluppa una religiosità popolare che è malvista negli ambienti ortodossi. Pratiche quindi che sono considerate fuori dall'Islam .

In Africa e in Indonesia inoltre convivono, in un ambiente di multiculturalità, cimiteri di varie religioni. E Maqbarah significa cimitero.

CURIOSITÀ DAL CAIRO: UNA CITTÀ DEI MORTI MOLTO VIVA
L'antico cimitero del Cairo di origine mamelucca è caratterizzato della costruzione di tombe nel sottosuolo, dove vengono sepolti i morti in una sorta di cripta. Il luogo di sepoltura è sovrastato da veri e propri fabbricati con stanze realizzate per accogliere i parenti. C'è una usanza in Egitto di visitare spesso le tombe del defunto. In tempi recenti, con tacito accordo delle famiglie proprietarie, in queste casette ci vivono intere famiglie. Si calcola che la "Città dei morti", così viene chiamata quest'area del Cairo che si estende tra il quartiere fatimita della città e le colline del Mokattam, sia più o meno abitata da parecchie migliaia di persone: l'esplosione demografica e la carenza di alloggi nell'area urbana hanno portato le famiglie povere ad occupare gli edifici del cimitero.

IL MARTIRE
Il liquidi corporei sono contaminanti: per questo il defunto mussulmano viene lavato prima della sepoltura. Ma ciò non vale per il "martire": colui che è stato ucciso servendo Dio diviene un "testimone". Il martire viene sollevato dal peso dei peccati: dato che il defunto è già stato così purificato il suo corpo non necessita del lavaggio dopo la sepoltura. Se è morto di morte violenta il sangue viene lasciato sul corpo.

Si pensa che i martiri siano dispensati nella tomba dall'interrogatorio dei due angeli e che ricevano un posto di privilegio nel Giardino.

E al funerale del martire le regole delle comunità cambiano, come a Hebron: le donne sono presenti e intonano canti tipici dei matrimoni, in onore di colui che ha acquistato un ottimo posto in Paradiso, e tutti i presenti, uomini e donne, esternano maggiormente i propri sentimenti.

La ricerca del martirio si è fatta intensa più che altro nell'islam sciita, a causa del modo in cui vennero uccisi i tre legittimi successori di Maometto. Ma l'accettazione dello spargimento di sangue e della morte in difesa dell'islam si è fatta più evidente negli anni recenti.

La categoria del martire è più estesa: ricevono un posto di rilievo in Paradiso, e perciò si considerano martiri, anche coloro che sono deceduti per annegamento, sotto il crollo delle macerie, nel corso di un incendio, a causa di terribili epidemie, o la donna che muore di parto.
 
Nadia Grillo


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