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Spiriti tra le stelle

Gli indiani d’America hanno una storia che sembra leggenda e così i loro canti sono intessuti di mito. Particolarmente commoventi sono quelli composti in occasione della perdita di una persona cara. Proprio con i canti della morte Domenico Buffarini, la nostra guida d’eccezione, prosegue nel racconto delle usanze funerarie dei nativi d’America che, dopo le tribù di cacciatori delle grandi pianure e delle foreste, va ad interessare gli agricoltori della zona sud-occidentale e costiera del grande continente nord-americano.
Le emozioni e i ricordi guidano Domenico, che ha vissuto per lungo tempo presso i pellerossa, nel riportare i versi dei componimenti funebri. Inizia con una bellissima poesia che un giovane innamorato dedica alla propria ragazza morta: “Tremolanti stelle del cielo sono i tuoi capelli, mentre il mio ricordo increspa i tuoi capelli di stelle”. L’amata diventa un tutt’uno con il cielo e non è solo il sentimento del giovane della tribù dei Wintun a trasformare la propria donna in un mosaico di stelle. Secondo la tradizione di questo gruppo indiano, infatti, è tra le costellazioni che gli spiriti dei morti trovano dimora. La tribù dei Wintun riunisce tre popolazioni diverse ed è collocata nel Nord della California, zona assai fertile che, grazie al clima mite, permette una economia basata sulla raccolta di frutti spontanei: essa condivide la pratica della cremazione e la credenza che gli spiriti dei defunti vengano accolti tra le stelle con molte altre tribù del cosiddetto “Far West”.
Tra queste vi sono gli Apache, il cui nome indica un insieme di popolazioni di raccoglitori e di cacciatori di animali di piccola taglia, calate da nord e stabilitesi nell’area sud-occidentale, nella cui visione ultraterrena gli spiriti continuano a vivere nella Via Lattea. Anche Geronimo, l’ultimo grande capo di guerra indiano appartenente agli Apache, continua a scorazzare per la Via Lattea insieme al suo cavallo. Così ce lo descrive il racconto poetico-leggendario che la tribù gli dedicò quando morì. Geronimo, il cui nome in chiricahua Goyaałé significa “colui che sogna”, dopo anni di combattimento contro l’esercito statunitense si arrese nel 1886 al generale Nelson Miles, a Skeleton Canyon in Arizona. Confinato in un primo momento nella prigione di Fort Pickens, in Florida, nel 1894 fu trasferito a Fort Sill in Oklahoma. Sebbene negli ultimi anni si muovesse su una carrozzina, ebbe comunque la possibilità di uscire per brevi periodi dalla prigione; fu proprio in una di queste uscite che si ammalò di polmonite. La morte lo colse a Fort Sill nel 1909. Le autorità americane vietarono i funerali pubblici nonostante le guerre contro gli Apache si fossero concluse nel 1886. La tribù gli rese gli onori che lo Stato americano aveva cercato di impedire: “Quando Geronimo chiuse gli occhi per sempre, il suo spettro uscì da Fort Sill perché le sentinelle non potevano vederlo. Iniziò il proprio viaggio e camminò per giorni e giorni; raggiunse la Via Lattea e seguitò a camminare fino a quando arrivò in un grande spiazzo di stelle dove galoppavano innumerevoli cavalli. Fra essi distinse quello che aveva domato in gioventù e che a sua volta lo riconobbe. Geronimo lo abbracciò, salì sulla sua groppa e proseguì cavalcando lungo la Via Lattea giungendo nel luogo in cui si trovavano gli spiriti degli antenati degli inizi dei tempi. Essi gli resero onore battendo sugli scudi: anche lì se ne conosceva la fama e tutti lo consideravano un grande guerriero. Da quel giorno le cavalcate di Geronimo lungo le vie del cielo continuano incessantemente; a meno che egli non veda una stella che per egoismo o per avarizia non brilla come dovrebbe. Allora scende da cavallo, dà un calcio alla stella e questa precipita a terra e diventa un uomo bianco”.
Le stelle accolgono gli spiriti ed è sempre una stella, il Sole, a segnare la sepoltura dei Navajo, cugini degli Apache, che vivono in Arizona settentrionale e nei territori dello Utah e del Nuovo Messico. Nella loro società quando una persona anziana si sente cedere sotto il peso degli anni, si confida con i figli dicendo di non voler mancare di rispetto al proprio corpo. Così, quando arriva l’autunno i figli gli preparano una coperta e una brocca di ceramica piena d’acqua con le quali va sulle montagne e aspetta che il freddo lo faccia “addormentare”. Poi, quando in primavera la neve si scioglie, i suoi cari lo vanno a prendere e lo seppelliscono rivolto verso est, possibilmente in una grotta di cui chiudono l’ingresso, lasciando una finestrella aperta da cui il defunto potrà vedere il sole che nasce e le aquile.
Il rispetto di ogni ciclo vitale contraddistingue tutte le tribù e i momenti più significativi della vita dell’uomo si inseriscono con armonia nei ritmi della natura. Lasciamo gli indiani del Lontano Ovest per dirigerci, nel prossimo appuntamento, alla scoperta dei riti collettivi e delle usanze funebri riservate ai guerrieri.
 
Francesca De Munari

 

Un ringraziamento particolare va, per le testimonianze rese, a Domenico Buffarini, attualmente rappresentante legale dell’Associazione dei Musulmani Italiani, che ha vissuto per lunghi periodi presso tribù degli indiani d’America, in particolar modo presso gli Apache, gli Irokesi e i Cheyenne.
 

 

 


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