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Sepoltura. Quale, con chi, dove?

Gli italiani e le sepolture nel primo appuntamento con l’Osservatorio permanente per la Ricerca sulla Morte e le Esequie.

Scriveva, oltre quattro secoli or sono, Michel de Montaigne che “alla maggior parte delle persone la preparazione alla morte ha dato più tormento che non il subirla”.

Non ci sono rischi che questa affermazione possa essere riferita agli italiani di oggi. A prepararsi alla morte sembra, infatti, che gli italiani non abbiano alcun desiderio di dedicare né tempo, né attenzioni. Ad esempio, solo il 6,4% di loro dichiara di avere preso in affitto un loculo o uno spazio al cimitero. È ovviamente abbastanza prevedibile che l’interesse per le modalità della propria sepoltura sia influenzato dalla fase di vita in cui ci si trova. Tanto più si è giovani, tanto meno frequentemente capita di pensare a cosa fare del proprio corpo dopo la morte. Quando la scomparsa dei genitori o del partner o delle persone - amici, ex compagni di scuola, colleghi di lavoro - con cui si è condivisa parte dell’esistenza non permette più di aggirare la realtà della morte, l’indifferenza verso questi temi tende ad affievolirsi. Tuttavia, perfino tra gli ultrasessantacinquenni questa quota non supera il 12%.
Come se non bastasse, a oltre tre quarti degli italiani, poi, non è mai nemmeno passato per la testa di comunicare a qualcuno le istruzioni necessarie per l’accesso alla propria posta elettronica, ai social network o anche solo ai conti correnti dopo la morte, né tantomeno di dare disposizioni relativamente a cosa fare per il proprio funerale.
Oltre due terzi dichiarano di non avere mai, neppure per un momento, pensato di comunicare a qualcuno dove trovare i propri documenti più importanti o di esprimere le proprie volontà sul trattamento medico da adottare nel caso in cui, malauguratamente, capitasse loro di trovarsi in condizioni di non poter più prendere decisioni o, infine, di esprimere le proprie volontà a proposito della donazione degli organi. Le cosiddette DAT, o Disposizioni Anticipate di Trattamento, note anche come “testamento biologico”, e introdotte nel nostro ordinamento a partire dal 2018 con la legge 219/2017, non sembrano al momento avere suscitato tra i cittadini l’attenzione che le forme, decisamente accese, che assunse il dibattito lasciavano presagire. Tra i ranghi della ristretta minoranza formati da chi ha almeno qualche volta pensato di compiere uno di questi gesti, quasi nessuno ha pensato di dar seguito alle proprie riflessioni. Nei rarissimi casi in cui questo è successo, il più delle volte si è limitato a qualche comunicazione a voce, senza premurarsi di lasciare alcuna traccia scritta.
Malgrado questa pervicace riluttanza a prepararsi alla conclusione della propria vita, non si può certo dire che gli italiani mostrino indifferenza nei confronti del destino dei resti mortali, tanto propri quanto delle persone loro più prossime. Al contrario.
A segnalare che alla cura e alle sollecitudini verso i defunti gli italiani sono tutt’altro che insensibili sono le situazioni in cui il rischio che queste possano essere negate diventa concreto. In una delle oltre 400 storie di vita raccolte nel corso della ricerca poi confluita nel libro Morire all’italiana. Pratiche, riti, credenze (a cura di A. Colombo, Bologna Il Mulino 2022), ripercorrendo la drammatica vicenda della sepoltura di una cara amica, una intervistata ha riferito dell’angoscia suscitata dal timore che i suoi resti mortali potessero finire mischiati insieme a quelli di altri sconosciuti. Per citare le sue parole: «Quando la sorella di questa mia amica morta mi ha chiamato dicendomi che le avevano detto che l’avevano messa nell’ossario, sono diventata una pazza. ‹Cosa? - ho risposto io - Come? Ma dov’è? Come è possibile?›. Mi sono immediatamente attaccata al telefono. Mi sono fatta dare la data della morte, dove era il cimitero, tutti i dettagli, e ho cominciato a chiamare. Sono stata mezzo pomeriggio al telefono, come una pazza e ho continuato a urlare: ‹L’avete messa nell’ossario!›.»
Preoccupazioni di questo genere sono tutt’altro che rare. Come mostriamo nella tabella più avanti, della metà degli italiani - il 55% degli uomini e il 65% delle donne - dichiara di avere un’opinione definita rispetto al tipo di sepoltura che vuole per sé. Sa, quindi, se vuole essere cremata, sepolta a terra o collocata in un loculo al cimitero. Il 61% degli italiani, e il 68% delle italiane, sa anche dove vuole essere sepolta. E, ancora, il 51% dei primi e il 61% delle seconde non ha dubbi su chi voglia, e chi non voglia, avere sepolto accanto a sé.
Consideriamo per primo proprio il tipo di sepoltura. Oggi, in Italia, è senz’altro la cremazione a raccogliere i maggiori consensi.
Se chiediamo a un campione rappresentativo di italiani che tipo di sepoltura vorrebbero per sé stessi dopo la morte, la cremazione è indicata dal 29%, contro il 20% che indica la sepoltura nel loculo e il 12% quella a terra, mentre un altro 12% dichiara di non attribuire alcuna importanza al destino dei propri resti mortali dopo la morte, e il 27% di non averci mai pensato, una quota che ovviamente si riduce drasticamente all’avanzare dell’età.
Il successo della cremazione è un cambiamento relativamente recente nella cultura funebre del nostro Paese. Dopo un lungo periodo in cui questa pratica è stata circoscritta agli strati più scolarizzati della società, la sua diffusione di massa è stata influenzata da considerazioni di natura prevalentemente pratica, legata alle difficoltà di reperimento di spazi di sepoltura e all’affermazione di una mentalità interessata soprattutto a non lasciare fastidi dietro di sé. Tuttavia la preferenza per la cremazione continua a essere superiore tra i non credenti che tra i credenti e, tra questi ultimi, è superiore tra i non praticanti che tra i praticanti. Cresce, inoltre, passando dai residenti nelle regioni meridionali ai residenti nelle regioni centrali e, ancora di più, ai residenti nelle regioni settentrionali; come cresce passando dai piccoli centri a quelli medi e da questi alle grandi città. Ma a colpire maggiormente è il fatto che oggi, in Italia, tra le possibili destinazioni delle ceneri – ovvero la conservazione in un cimitero, l’affido a una persona cara, la dispersione – è quest’ultima a raccogliere i maggiori consensi, con punte particolarmente elevate tra chi ha meno di 50 anni. L’affido, invece, resta una scelta di gran lunga minoritaria, e che non mostra segni di essere preferita tra le nuove generazioni.

Se dall’atteggiamento verso il tipo di sepoltura passiamo ora a considerare quello verso il luogo in cui farsi seppellire, ci spostiamo in un campo verso il quale le scelte individuali sono ancor più inestricabilmente intrecciate con i vincoli familiari. La risposta alla domanda “a quale luogo apparteniamo?”, infatti, dipende solo dalle preferenze individuali. Anche qui risultano particolarmente rivelatrici le situazioni in cui si impone di prendere decisioni, come avviene in un altro episodio raccolto per la ricerca pubblicata nel libro già menzionato. Un’intervistata ricostruisce la complessa controversia che interessò la sua famiglia, residente in un comune diverso da quello in cui erano nati entrambi i genitori. Alla proposta del padre di edificare una tomba di famiglia nel comune di residenza si oppose la madre, sostenitrice del principio opposto, favorevole alla collocazione del sepolcro nel comune di origine della famiglia stessa. I risultati delle ricerche ci dicono che in Italia, tra coloro che risiedono in un comune diverso da quello di nascita, il comune di residenza tende a prevalere su quello di origine, e che lo stato civile esercita un effetto decisivo sulle dimensioni del divario tra le due preferenze.
La preferenza per il comune di residenza prevale solo di poco su quella per il comune di origine tra i celibi e le nubili. Il divario a favore del comune di residenza cresce decisamente, invece, tra i coniugati, per poi raggiungere il valore massimo tra i vedovi e le vedove. Solo dove la famiglia elettiva non c’è, quindi, quella di origine appare decisiva. Quando invece la famiglia elettiva è presente, le preferenze individuali devono fare i conti con le esigenze della nuova famiglia. E in questo, come in altri campi, le famiglie elettive godono di un primato su quelle di origine. L’intervistata ricorda che, alla fine, fu la madre a cedere.

Infine, è possibile osservare l’esistenza di regolarità anche nella preferenza relativa a chi avere accanto dopo la morte. La tabella è abbastanza eloquente. Se escludiamo il caso di chi dichiara di non averci mai pensato, è verso i partner e i coniugi che si concentrano le maggiori preferenze degli italiani, mentre le preferenze a favore di membri della famiglia di origine sono decisamente inferiori, e fortemente influenzate dallo stato civile (crescono passando dai coniugati ai celibi e alle nubili), e dall’età (tanto più quest’ultima aumenta, tanto più si riduce la preferenza per i membri della famiglia di origine).
Le considerazioni che abbiamo raccolto fin qui ci aiutano a capire perché in Italia l’interesse verso la preparazione alla morte sia decisamente contenuto, mentre l’attenzione e le sollecitudini per la sepoltura continuino a esercitare un ruolo tutt’altro che trascurabile. La ricerca ha rivelato anche un altro meccanismo importante all’opera nel definire il livello di indifferenza, o di attenzione, nei confronti delle sepolture. In Italia, al crescere della distanza fisica tra genitori e figli cresce, a parità di altre condizioni, la quota di indifferenti a tutti e tre gli aspetti della sepoltura: il tipo di sepoltura, il luogo e la prossimità con altre persone. Si tratta di un fattore di grande rilevanza. Un elevato grado di dispersione geografica delle famiglie costituisce un vincolo rilevante al proseguimento della cura dei manufatti funebri e delle attenzioni verso le sepolture. Se in Italia, quindi, l’attenzione alla sepoltura continua a essere al centro delle preoccupazioni di una quota tutt’altro che modesta, anzi maggioritaria, di cittadini, questo accade anche perché la prossimità fisica tra genitori e figli, anche dopo che questi ultimi sono usciti di casa e hanno costituito un nuovo nucleo domestico, resta alta e, come sappiamo da molte ricerche sociologiche, continua a essere superiore a quella osservabile in altri Paesi europei. In breve, in Italia, i rapporti tra le generazioni non si interrompono facilmente. Non solo in vita, ma nemmeno dopo la morte.
Italiani a seconda del tipo di sepoltura preferita, del luogo in cui vorrebbero essere sepolti, delle persone accanto a cui vorrebbero essere sepolte, per zona geografica di residenza distinta tra regioni del Centro-Nord e regioni del Sud-Isole, Italia 2018-2022.

Con questo articolo prende l’avvio una serie di interventi con cui ORME - Osservatorio permanente per la Ricerca sulla Morte e le Esequie istituito nel 2022 presso la Fondazione di ricerca Istituto Cattaneo di Bologna - affronta il tema degli atteggiamenti nei confronti della morte, delle credenze e delle pratiche funebri in Italia. I dati e le riflessioni presentate in questo e nei prossimi articoli provengono da due indagini condotte da chi scrive nel 2018 nell’ambito di un programma di ricerche condotto da un consorzio di sei università italiane, e nel 2022 nell’ambito delle attività di ORME.

 
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