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"Semiramide" di Gioachino Rossini

È abitudine ancora largamente diffusa quella di identificare istantaneamente la figura di Gioachino Rossini (1792-1868) con l' "opera buffa"; ed è probabilmente inevitabile, dal momento che si tratta dell'autore del Barbiere di Siviglia, dell'Italiana in Algeri, della Cenerentola! Ma è un'abitudine che limita gravemente l'immagine del grande compositore pesarese. In effetti gran parte dell'opera rossiniana, e per di più sparsa in un arco cronologico assai più ampio, è dedicata all'illustre genere dell' "opera seria", e ad esso appartiene una serie di assoluti capolavori.
Ciò vale in particolare per la straordinaria serie di opere prodotte per il teatro più importante d'Italia, il San Carlo di Napoli, tra il 1815 e il 1822. Rivolgeremo però la nostra attenzione a quella scritta nel 1823, quando Rossini, dopo aver lasciato Napoli, era in procinto di lasciare per sempre anche l'Italia a favore di Parigi. È per la Fenice di Venezia che scrive la Semiramide, il capolavoro con cui si congeda dall'Italia e che costituisce il suo testamento artistico nel genere musicale dell'opera seria, destinato a scomparire dopo di lui.
Le narrazioni intorno alla figura della leggendaria e dissoluta regina di Babilonia risalgono alla tarda antichità greca, ma trovarono una particolare fortuna nel teatro tragico moderno e raggiunsero il culmine nella Tragédie de Sémiramis di Voltaire, del 1748: questa è la fonte cui Rossini si riferisce, col tramite del librettista Gaetano Rossi.
Non ci soffermeremo sui valori musicali ed estetici dell'opera; vogliamo piuttosto segnalare un aspetto curioso dell'intreccio tragico e della drammaturgia che ne deriva: il ruolo cruciale è giocato da scene che si svolgono all'interno di un sepolcro e da un personaggio che è lo spirito di un defunto. Verifichiamo questa particolarità percorrendo alcune linee generali della complicatissima trama ed evidenziando i punti che ci interessano.
Nell'antefatto, Semiramide ha fatto uccidere il marito Nino dall'amante Assur, che però non ha poi sposato. Ora, molti anni dopo, deve finalmente dare un nuovo sovrano al regno, e vuole farlo sposando il giovane condottiero Arsace, appena tornato dalla guerra. Nel grande Finale Primo, quando essa annuncia solennemente la sua intenzione, dapprima scoppia un fulmine (e risuona una musica dal ritmo funereo che sarà poi riecheggiata da Verdi nel celebre Miserere del suo Trovatore); poi il mausoleo di Nino si apre e ne esce l'ombra del defunto sovrano la quale annuncia misteriosamente ad Arsace che prima di regnare dovrà scendere in quella tomba ed offrire un sacrificio umano. Questo Finale è musicalmente uno dei massimi vertici dell'intera produzione rossiniana, ma non sono certo da meno le scene dell'atto II nel quale quella peculiare ambientazione torna anzi in modo ancora più cospicuo.
 
Franco Bergamasco

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