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Scambio di cadaveri a Efeso

Il lettore del Satyricon, lo straordinario "romanzo" scritto - si presume, giacché non esistono prove certe - nel I sec. d.C., in età neroniana, da Petronio Arbitro, si abitua ben presto alla tecnica del racconto nel racconto: un personaggio del romanzo si mette a raccontare una novella a beneficio di altri personaggi che lo ascoltano, per intrattenerli, impressionarli, o altro. Queste narrazioni "di secondo grado", in prosa o in versi, di varia natura e provenienza, sono assai frequenti e costituiscono una delle maggiori attrattive del capolavoro petroniano.

Una delle più curiose è la novella della matrona di Efeso. Accennavamo prima alla varia origine di queste storie che, in effetti, non sono per lo più inventate dall'autore, ma sono rielaborazioni fatte sulla base di un patrimonio letterario o folklorico preesistente. In questo caso Petronio si rifà ad una tradizione narrativa di origine greca, la fabule milesia, che raccontava con libertà spregiudicata e con realismo avventure amorose piccanti, irregolari, beffarde. La storia di cui parliamo circolava già in questo ambito, ed era stata anzi già utilizzata qualche tempo prima da un altro autore latino, Fedro, noto però soprattutto per le sue favole con animali come protagonisti (celebre quella del lupo e dell'agnello). Ma veniamo al racconto che Petronio mette in bocca al suo personaggio, il poetastro Eumolpo.

Il punto di partenza è la consueta polemica contro l'incostanza femminile: "Cominciò a dardeggiare sulla leggerezza delle donne: come s'innamorino facilmente, […] come non ci sia femmina tanto pudica, che la foia non la stravolga per un orgasmo in trasferta". La storia narra di una vedova, famosa per la sua pudicizia, che non si limita a seguire il funerale del marito coi capelli sparsi, come tutte, ma scende nella cripta dove il cadavere viene deposto e rimane cinque giorni e cinque notti digiuna a vegliarlo e a piangere, accompagnata da una ancella. Il caso vuole che nel frattempo in quei paraggi vengano crocifissi cinque ladroni, e un soldato venga posto di guardia per impedire che qualcuno sottragga quei cadaveri per dar loro onorata sepoltura. Il soldato sente i gemiti della (bellissima) vedova, scende a visitarla nella cripta, cerca di consolarla, di riconciliarla con la vita, le offre il suo cibo, cerca in buona sostanza di sedurla. La virtuosa dapprima rifiuta con orrore, anzi si strappa alcune ciocche di capelli e le posa sulla bara, ma poi, convinta anche dall'ancella, dapprima rompe il digiuno, poi, rincuorata dal cibo e dal vino, cede alle lusinghe del seduttore.

I due, chiusa a chiave la porta della cripta, folleggiano (accanto al morto) per due giorni e due notti, durante i quali i parenti di un crocifisso sopraggiungono e sottraggono uno dei cadaveri incustoditi. Accortisi poi gli amanti dell'accaduto, che per il soldato significa condanna a morte certa, la dama trova la soluzione: "Gli dèi non permettano - squittisce - che io assista nello stesso tempo ai funerali dei due uomini a me più diletti. Preferisco appendere un morto che uccidere un vivo". Detto fatto, il cadavere del marito viene prelevato e appeso alla croce vuota, e qualcuno il giorno dopo si chiederà come abbia fatto un morto ad arrampicarsi fin lì.

Il senso della storia, e il livello di spregiudicatezza che essa attribuisce al personaggio, non s'intendono però bene se si pensa soprattutto alla sua volubilità sentimental-sessuale. Il punto cruciale è in realtà forse proprio il trattamento riservato alla salma del marito, se teniamo conto che quella sulla croce era considerata la morte più infamante e spregevole, ed era essenziale per la pena che il cadavere, anziché essere pietosamente sepolto, rimanesse a lungo esposto alle intemperie e agli oltraggi dei passanti. Alla dissolutezza si aggiunge, ancor più grave, l'oltraggio del cadavere appunto, una sorta di sacrilegio. Ma il tono ineffabilmente disincantato con cui Petronio per bocca di Eumolpo racconta l'episodio, può anche far pensare, secondo alcuni interpreti, che egli voglia in fondo far prendere atto dell'inevitabile sconfitta della morte di fronte alla vita e ai suoi istinti, tanto brutali quanto irresistibili.

 
Franco Bergamasco

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