- n. 6 - Settembre/Ottobre 2018
- Parliamo di...
Rituali funebri ebraici
Dopo aver precedentemente parlato dei rituali funebri islamici,
vediamo ora che cosa prescrive la religione ebraica quando accade un evento luttuoso.
Come tutti sanno la religione ebraica è la più vecchia delle tre religioni monoteiste, le cosiddette “religioni del libro”. Anch'essa, come il cristianesimo e l'Islam, possiede infatti il suo libro sacro: La Bibbia
(Torah) che corrisponde all'Antico Testamento della Bibbia cristiana. Gli ebrei, peraltro, piuttosto che parlare di Antico Testamento preferiscono fare riferimento al Primo Testamento anche perché per loro il Nuovo Testamento dei cristiani non ha alcun significato visto che Gesù, come pure Maometto, non è che uno tra i tanti profeti e che il Messia, “l'unto del Signore”, il re che porterà la salvezza ad Israele e all'umanità, deve ancora arrivare.
La Torah (la Legge) è ispirata "da" e trasmette "la" parola di Dio; contiene, secondo la tradizione, 613 prescrizioni (mitzvot, plurale di mitzvah) che hanno assunto un valore normativo. Tali commenti, raccolti nel corso dei secoli, hanno dato origine al Talmud, il secondo libro sacro dopo la Bibbia. Si tratta di un'opera enciclopedica per lunghi secoli trasmessa unicamente per via orale, affidata alla scrittura solo più tardi. I commentatori ebraici affermano che sul Sinai Mosé ricevette da Dio la
Torah, assieme al
Talmud, la sua spiegazione orale. È come una gigantesca tavola rotonda, quasi un immenso concilio, al quale centinaia di saggi e discepoli avrebbero partecipato nel corso dei secoli. Nonostante la grande diversità delle opinioni espresse, l'insieme dà un'impressione di unità e di intensa vitalità. I dibattiti talvolta vigorosi, appassionati o pieni di
humour (rimandiamo alla lettura dei grandi scrittori yiddish) non avevano e
non hanno lo scopo di fissare una dottrina. La ricerca è volta all'identificazione dei principi della parola biblica ed alla risoluzione delle difficoltà d'applicazione di un precetto. I saggi analizzano i concetti giuridici evidenziando le difficoltà e le contraddizioni nell'ambito di una dialettica estremamente rigorosa.
Il Talmud è formato da due grandi “corpus” antichi: la Mishnà (sintesi che concerne tutti gli aspetti della vita)
e la Gemara (complemento), redatta in ebraico ed aramaico, frutto delle discussioni sugli insegnamenti della
Mishnà. Due centri intellettuali si sono consacrati allo stesso lavoro di esegesi e sintesi: Babilonia e Gerusalemme. Il Talmud babilonese è il triplo di quello di Gerusalemme e gode di una maggiore autorità nel mondo ebraico. Se non precisato diversamente, parlando di Talmud ci si riferisce a quello di Babilonia. Occorre sottolineare l'importanza nella religione ebraica di tali scritti tradizionali. E se discutendo con un ebreo si potrebbe pensare che si abbia nella Bibbia un elemento comune, bisogna considerare che la Bibbia ebraica è inseparabile dalla sua interpretazione tradizionale data dalla Mishnà e dal Talmud. Ora tali interpretazioni sono spesso molto distanti da quelle cristiane.
Appare quindi evidente come anche le pratiche sul decesso ed il lutto siano strettamente regolate sulla base dei testi fondamentali anche se, come nell'Islam, possono sussistere differenze tra comunità diverse sul modo di affrontare tali circostanze.Tutto poggia sulla Torah, sul Talmud, sulle mitzvot (plurale di mitzvah) e sui minhgaggim (plurale di minhag), cioè di quell'insieme di costumi e
liturgie che pur non configurandosi come prescrizioni bibliche od ordinanze rabbiniche, possono rivestire comunque una grandissima importanza. Ad esempio il coprirsi il capo con la kippa (una sorta di zucchetto) è una regola diffusissima ed è considerata un segno distintivo dell'ebraismo mentre l’indossare i tzizit (le frange rituali che si appongono su un capo di vestiario), pur d'origine biblica, costituisce un precetto osservato solo dai fedeli più praticanti.
L'agonia
Precetti imprescindibili sono da applicarsi già durante l'agonia. Il
gosses, ossia il moribondo, è definito come una “fiamma che vacilla e sul punto di spegnersi” e la
Halakhà, la legge ebraica, impone di non abbandonarlo e di alleviare le sue sofferenze, anche se incosciente, con la presenza fisica, prestando la massima attenzione a non impaurirlo o disturbarlo col rischio di affrettare l'esito letale. Vi è l’assoluto divieto di accelerare, anche di una sola frazione di secondo, il decesso di chicchessia quindi, quando si verifica la necessità di vegliare un malato terminale, un rabbino di riconosciuta competenza dovrebbe essere consultato onde evitare comportamenti impropri.
Se il moribondo è cosciente viene incoraggiato a confessare i suoi peccati e ad esprimere le ultime volontà che, anche se orali, hanno la stessa forza giuridica di un testamento scritto, sempre che non infrangano la Halakhà (nel caso ad esempio qualcuno chiedesse di venir cremato o dispensasse dal lutto i familiari...). Nell'immediata prossimità del trapasso verranno recitate le benedizioni.
Dopo il decesso
Il
Talmud definisce la morte come l'arresto della respirazione. Tuttavia alcune autorità rabbiniche, ma non tutte, riconoscono come criteri l'arresto cardiaco e la morte cerebrale. La discussione rimane aperta ed accesa.
In caso che il decesso avvenga presso un domicilio privato, dopo due ore il corpo viene deposto a terra con i piedi in direzione della porta e ricoperto con un lenzuolo. Alcuni accendono una candela.
Se la morte avviene in ospedale si raccomanda di trasferire il defunto al domicilio di un familiare oppure nella sala del cimitero ebraico dove verrà vegliato e poi sepolto.
In segno di rispetto per lo scomparso è vietato lasciarlo solo. La veglia (
Shemira) prevede la recita dei
Tehillim (Salmi). Tale incombenza spetta generalmente al membro di una
Chevra Kaddisha (letteralmente: Società Santa), piuttosto che ad un parente prossimo. La
Chevra Kaddisha è una sorta di agenzia di pompe funebri, spesso legata ad una sinagoga, poco strutturata ma molto ben organizzata che si prende cura della preparazione e della sepoltura delle salme nel pieno rispetto della tradizione, proteggendo i defunti da ogni dissacrazione, anche involontaria. Tra i loro compiti figurano il lavaggio rituale e la vestizione. Inoltre sostengono le famiglie nel corso della
Shivah (la settimana di lutto) organizzando le cerimonie e preparando i pasti, attività interdetta ai dolenti. Molte di queste organizzazioni programmano annualmente giorni di digiuno consacrati allo studio ed alla formazione continua sulla
Halakha.
In Israele è abbastanza comune vedere cartelli affissi sull'immobile ed il luogo di lavoro del defunto per modo che non è raro assistere a raggruppamenti di persone, anche quando lo scomparso non abbia famiglia.
La preparazione della salma
Esistono
tre fasi per preparare il corpo alla sepoltura, durante le quali vengono recitate preghiere e brani della
Torah: lavaggio (
rechitzah),
purificazione rituale (taharah) e vestizione (halbashah). Il termine taharah viene usato sia per riferirsi alla procedura completa della preparazione che per lo stadio specifico di purificazione rituale. Per prima cosa la salma viene lavata accuratamente. Il sangue viene cauterizzato e sepolto con il defunto. Vengono rimossi eventuali gioielli ed altri ornamenti. La purificazione, conformemente alle prescrizioni, si fa con acqua tramite l’immersione nella mikveh (vasca rituale) oppure con 9
kavim, una misura pari a tre secchi, di acqua corrente.
Dopo averlo asciugato secondo le usanze locali, il corpo viene vestito con i tradizionali indumenti di sepoltura, i tachrikim, gli abiti funerari bianchi generalmente in lino, reminiscenza degli abiti indossati dal Gran Sacerdote. Una fascia (avnet) viene cinta intorno agli indumenti in modo da formare la lettera ebraica "ש"(
shin) che rappresenta uno dei nomi di Dio.
Il defunto viene quindi posto nella bara molto semplice ed essenziale, avvolto nel tallit (scialle da preghiera) e dal lenzuolo funebre (sovev). Se disponibile sul corpo, prima della chiusura della cassa,
viene sparsa qualche manciata di afar, terra proveniente da Israele.
A dire il vero la sepoltura dovrebbe avvenire senza cofano ed in Israele il corpo viene infatti inumato direttamente nella nuda terra, salvo per i funerali di stato e quelli militari. Fuori d'Israele, qualora la legislazione locale, come in Italia, contempli l'obbligo della bara, la religione non frappone alcun tipo di problema, in base al principio
dina de-malkuta dina (la legge del regno è legge) che prevede il rispetto delle leggi dello stato.
Non esiste la visita della salma né la “bara aperta” durante il funerale. A volte la famiglia ed i parenti stretti offrono i loro rispetti finali prima del funerale.
Il servizio funebre
Ai nostri giorni la cerimonia inizia o al domicilio del defunto, se lo spazio è sufficiente per praticare correttamente i riti, oppure alla camera mortuaria. Da lì familiari e amici seguono in processione il carro funebre fino al cimitero. Solo se lo scomparso è un personaggio pubblico tutto il servizio, elogio funebre compreso, può tenersi presso la sinagoga.
L'Hesped, l’orazione funebre, non è sempre praticata. La tradizione risale al patriarca Abramo stesso che andò ad Hebron alla morte di Sarah per pronunciare un Hesped e piangerla. Succede di frequente che molte persone prendano la parola tanto all'inizio della cerimonia che nella camera mortuaria od, ancora, davanti alla tomba prima dell'inumazione, spesso esagerando nelle qualità del defunto. Proprio per questa ragione certe comunità non pronunciano orazioni funebri. É il caso della dinastia hassidica
Habad Loubavitch una delle branche principali del movimento di massa ebraico basato sul rinnovamento spirituale dell'ebraismo ortodosso contemporaneo.
L'inumazione
L'Inumazione (Kevoura) è una prescrizione di somma importanza che obbedisce ai precisi riti del kiboud hamet (rispetto dei defunti). La sepoltura deve seguire il decesso nei tempi più rapidi possibile in virtù dell'interpretazione esegetica del versetto biblico:
“Se fai morire un uomo che ha commesso un crimine degno di condanna a morte e se l'hai appeso ad un albero il suo cadavere non passerà la notte sull'albero ma tu lo seppellirai lo stesso giorno”.
Le bare, quando usate, non sono sigillate ermeticamente (salvo nel caso in cui le leggi locali lo impongano) perché Adamo, il primo uomo, fu creato a partire dalla terra e condannato a ritornarvi. Come abbiamo visto, in Israele molti ortodossi sono posti in terra direttamente vestiti solamente del loro tachrikim e del tallit. Ciò vale anche per i morti non identificati o senza famiglia e anche i preti, a cui normalmente viene fatto divieto di partecipare all'inumazione, in questo caso sono tenuti a farlo.
Al termine del servizio gli uomini gettano una o tre palate di terra per riempire la fossa. Nell'ortodossia lo si fa dirigendo la pala verso l'alto, e non verso il basso per illustrare l'antitesi tra la morte e la vita. La tradizione ebraica vuole che le donne non accompagnino la salma fino al sito dell'inumazione; in questo caso si raggruppano a parte prestando attenzione a non mescolarsi con gli uomini.
In certe situazioni è possibile riesumare la bara per trasferirla altrove in un luogo “più santo” come la Terra d'Israele dove avrà luogo, secondo la tradizione, la resurrezione dei morti. Se ciò è precisato al momento dell'inumazione ciò verrà fatto a condizione di seppellire un altro defunto nel luogo dell'esumazione.
Il lutto
La tradizione vuole che chi è in lutto si faccia uno strappo (keriah) nell'abito, come aveva fatto Giacobbe con la sua toga quando i figli gli annunciarono il decesso di Giuseppe. Lo strappo sarà sulla parte sinistra per la perdita di un genitore (in corrispondenza alla posizione del cuore e ben visibile) e sulla destra per il decesso di altri parenti per i quali non è richiesta la visibilità.
Sono dispensati dal seguire le norme dell’
Halakha relative al lutto i giovanetti al di sotto dei 13 anni cioè prima che abbiano raggiunto la maturità religiosa (
Bar Mitzvah), che per le ragazze avviene a 12 anni (
Bats Mitsvah) in occasione delle quali si praticano cerimonie, comunemente definite come “comunione” ebraica. Se una persona viene a conoscenza della morte di un parente dopo trenta giorni non è più tenuta ad effettuare lo strappo all’abito, tranne nel caso di un genitore che abbia perso un figlio. La lacerazione va eseguita ad ogni cambio d’abito durante i primi sette gironi di lutto (Shiva) solo per i figli del defunto, che non potranno inoltre ricucire le lacerazioni, anche dopo i trenta giorni dalla sepoltura, come invece possono fare gli altri parenti.
Il periodo del lutto è piuttosto complesso e vede diversi fasi, ognuna delle quali codificata da norme e comportamenti ben precisi. La prima fase è detta Ainut, ossia del “lutto intenso”, quando la persona è ancora in stato di shock o di totale disorientamento. É perciò esentata da tutte quelle regole che richiedono azione o attenzione, in modo da essere in grado di partecipare senza ostacoli alle onoranze funebri. L’
Aninut dura fino alla fine della sepoltura e viene
seguito dall’Avelut (rimpianto). L'
Avel (la persona che si trova nel periodo di avelut) non ascolterà musica, né tantomeno frequenterà riunioni gioiose (matrimoni, Bar Mitzvah o Bat Mitsvah ...) a meno che ciò non si renda assolutamente necessario (se ad esempio la data era stata fissata prima dell’evento luttuoso non può essere modificata).
L’Avelut presenta a sua volta tre momenti distinti: il primo è la Shiva (in ebraico: sette),
un periodo di una settimana di dolore e lutto. Il conteggio dei sette giorni inizia dal momento della sepoltura, qualora avvenga prima del tramonto. Anche se ciò non può avvenire durante il
Shabbat (il Sabato ebraico), esso conta comunque come uno dei sette giorni. Alcune feste poi sono talmente sante che annullano completamente il periodo di lutto poiché l'anima del defunto si eleva direttamente ed ogni rito funebre sarebbe superfluo se non addirittura malvenuto. È il caso di
Rosh Hachana, il nuovo anno ebraico che corrisponde al primo giorno del mese ebraico di
Tichri che quest'anno cade il 10 di Settembre proprio mentre stiamo redigendo questo articolo. Per gli ebrei siamo ora nel 5779 poiché all'anno cristiano vanno aggiunti i 3760 anni che sarebbero trascorsi, secondo la tradizione, dall'anno zero della creazione del mondo. In questi sette giorni le persone in lutto non devono fare il bagno né la doccia, (anche se nella
Mishna Rabban Gamliel tale divieto è limito alle abluzioni di conforto e non all'igiene), non devono calzare scarpe di cuoio né portare gioielli. In molte comunità gli specchi vengono rimossi o ricoperti con grandi drappi. Il dolente cammina spesso a piedi nudi, si siede e dorme per terra o su delle sedie basse scomode, non cucina, non si occupa di nulla simbolizzando così la prostrazione con la rappresentazione fedele del suo stato d'animo atarassico e demotivato.
In questo periodo parenti ed amici rendono visita alla famiglia per riconfortarla, nutrirla e fare in modo di raggiungere il
minyan, ossia il
quorum di dieci uomini adulti necessario per la recita delle preghiere più importanti, come il
Kaddish (“santificazione”, uno dei capisaldi della liturgia ebraica) che ha per tema la glorificazione e la santificazione del “Nome Divino” in riferimento ad una delle visioni escatologiche di Ezechiele. Le preghiere vengono solitamente condotte dalla persona in lutto
È usanza comune che chi si reca in visita presso la famiglia porti cibo e lo serva agli astanti evitando tali incombenze ai dolenti. Il primo pasto ad esser consumato al ritorno dal funerale è il
seudat havra'ah,
il pasto della consolazione, a base di uova sode o di altri cibi rotondi con riferimento alla storia biblica di Giacobbe che comprò la primogenitura di Esaù per un piatto di lenticchie e che lo stesso cucinò lenticchie alla morte del nonno Abramo.
Segue poi lo
Shloshim (trenta in ebraico),
un periodo appunto di trenta giorni (
Shiva inclusa) durante i quali è vietato sposarsi o frequentare una
seudat mitzvah (pranzo religioso festivo) e gli uomini non si sbarbano né si tagliano i capelli. In questo periodo è consuetudine approfondire lo studio della
Torah in nome del defunto, un modo di onorarne la memoria e di recargli beneficio spirituale, un po’ come avviene nella nostra religione con le messe dedicate ai nostri cari scomparsi.
Vi è infine il periodo definito
Shneim asar chodesh (dodici mesi) o
Shannah (anno in ebraico), il cui conteggio parte dal giorno del decesso, da osservare da parte di chi ha subito la perdita di un genitore. Le normali attività vengono regolarmente riprese, rimane solamente l’obbligo, che tradizionalmente spetta solo agli uomini, di recitare il
Kaddish funebre durante i servizi in sinagoga. Inoltre continua il divieto a frequentare riunioni conviviali, specialmente se accompagnate da musica.
Lo scoprimento della tomba
Sebbene non sussista alcun obbligo religioso, in molte comunità ebraiche, verso la fine del XIX secolo si diffuse l’usanza di scoprire la lapide. Una cerimonia che generalmente avviene ad un anno dalla morte, ma nei confini di Israele lo si fa dopo il periodo di
Shloshim , ovvero al termine dei 30 giorni. Consiste nel rimuovere un velo che copre la tomba ad opera dei familiari, mentre vengono recitati salmi e preghiere, assieme ad una benedizione per il defunto.
Ricorrenze
Lo
Yahrtzeit (tempo dell'anno in
yiddish)
si riferisce all'anniversario del giorno del decesso di un parente. L'obbligo principale è quello di recitare il Kaddish la sera della vigilia (considerata come facente parte del giorno successivo), nonché il mattino ed il pomeriggio del giorno stesso. Al mattino il
Kaddish deve venir recitato almeno quattro volte. Alcuni digiunano mentre molti ortodossi usano consumare un pasto celebrativo in onore del defunto il giorno che precede lo
Yahrtzeit.
Una
usanza molto comune è quella di far bruciare una candela per 24 ore. In molte sinagoghe si trovano targhe con i nomi dei membri deceduti. In questo caso la candela viene accesa davanti alla targa del defunto nel giorno dell’anniversario della sua morte. Tutte le candele vengono accese quando ricorre una data di lutto ebraico come ad esempio il giorno della commemorazione dell'Olocausto.
Visite alle tombe
Tradizionalmente ci si reca al cimitero durante i giorni del digiuno e prima delle principali festività, come il
Rosh haShanah, il capodanno ebraico
. È usanza comune quando ci si sofferma sulla tomba o anche se si passa davanti a sepolcri di sconosciuti,
lasciare un sassolino che deve venire rigorosamente posato con la mano sinistra. Ciò dimostra che qualcuno ha visitato e osservato la
mitzvah della sepoltura. Le pietre, a differenza dei fiori, non appassiscono e sono un simbolo di “permanenza”. Probabilmente questa tradizione ebbe inizio nei tempi antichi, quando le tombe erano costituite da tumuli coperti di sassi impilati per garantire la loro durata nel tempo.
Vediamo ora quali sono gli orientamenti della religione ebraica nei confronti delle problematiche attuali cominciare dalla cremazione:
Cremazione
L’Halakha la vieta, perché non permetterebbe all'anima di riposare in pace e ne impedirebbe la resurrezione. Va anche detto che nella prospettiva filosofica e rituale gli ebrei seppelliscono per onorare e bruciano per distruggere. La pratica della cremazione soffre anche per l'immagine veicolata dalla
Shoa (forni crematori nazisti).
Tuttavia questa visione non è condivisa all’unanimità e alcuni rabbini non la proibiscono.
Donazione degli organi
Tutte le correnti del giudaismo rabbinico l'autorizzano quando la morte sia chiaramente accertata e a patto che il defunto abbia lasciato istruzioni scritte in tal senso. Poiché vi sono casi in cui possono sussistere degli elementi di dubbio (non sempre gli standard clinici coincidono infatti con quelli religiosi) sia gli ebrei ortodossi (dalla pratica religiosa stretta ma immersi nel mondo moderno) e gli
Haredim (dalla pratica religiosa stretta accompagnata dal rifiuto di ogni forma di modernità e dalla volontà di separatismo sociale) preferiranno consultare i loro rabbini prima di ogni decisione.
Tanatoprassi
Quando Giacobbe e Giuseppe furono imbalsamati (all'egiziana)
la Torah, che
vieta tale pratica, non era stata ancora consegnata a Mosè. L'imbalsamazione richiede infatti che il cadavere sia dissanguato e che il sangue venga smaltito come un rifiuto mentre vige l'obbligo di metterlo in terra come il resto del corpo.
Suicidio
Il giudaismo
lo considera alla stregua di un assassino, fosse pure di sé stesso. Il suicida pertanto non ha diritto ai riti funerari e non può essere sepolto nella sezione principale del cimitero.
Tuttavia è stato recentemente considerato, alla luce dei progressi in psichiatria, che
la maggioranza dei suicidi sono vittime di stati depressivi o di turbe mentali severe. In questo caso il gesto estremo sarebbe da interpretare come il risultato di una condizione che sfugge al controllo del soggetto e non un atto di autodistruzione e
per questo tali persone vengono considerate come decedute per cause indipendenti dalla loro volontà. Inoltre ci potrebbe essere sempre il ragionevole dubbio che all’ultimo momento il suicida si sia pentito del suo atto, un motivo in più per non negargli le funzioni rituali che rappresentano anche un importante elemento di consolazione per i familiari.
Il Viaggiatore