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UNA ESIGENZA SEMPRE PIÙ SENTITA ANCHE IN ITALIA

IL RITO DEL COMMIATO

Interrogarsi sui riti funebri oggi in Occidente significa indagare il rapporto con il rito di una società complessa, in gran parte secolarizzata, plurale dal punto di vista culturale, etnico e religioso.
Una società non riducibile ad altre che la hanno preceduta, e di cui, pertanto, bisogna comprendere le specifiche esigenze, senza cercare di applicare ad essa soluzioni normative che sono appartenute ad altre epoche o che riguardano altre società, con caratteristiche diverse.
Da molte parti si denuncia infatti la profonda crisi del tradizionale rito cattolico, che, benché ancora celebrato nella grande maggioranza dei funerali, viene scelto in molti casi per convenzione o per la mancanza di una alternativa (come è deducibile esaminando le statistiche sulla percentuale dei credenti in una vita ultraterrena: circa il 33,8 degli italiani).
E d'altra parte il rito cattolico, con la sua liturgia, può funzionare (cioè al contempo consolare i superstiti e onorare i defunti in un modo socialmente condiviso) solo qualora intersechi una fede autentica nei valori che esso esprime, la credenza nella vita dopo la morte, il sacrificio di Cristo ai fini della salvezza degli uomini. In questo momento storico non esiste altra reale possibilità oltre al rito cattolico: anche i rituali connotati "politicamente", a pugno chiuso o con le bandiere nere, al suono dell'Internazionale o di Giovinezza tendono a scomparire, così come i funerali di partito, o quelli sindacali.

Le appartenenze forti si sono indebolite, e anche certi rituali aziendali tipici di alcune grandi fabbriche, quali la FIAT a Torino, sono venuti meno. Per chi rifiuta il rito religioso, dunque, non resta sovente (tranne che si tratti di personaggi importanti) che l'afasia e il silenzio. Ci troviamo dunque, per quanto riguarda i riti funebri, di fronte ad una situazione di "crisi" o, se si vuole, di passaggio.
Gli uomini del nostro tempo, tuttavia, che sovente hanno perso i legami con la propria tradizione, ma che continuano a manifestare l'esigenza di un trascendimento della morte, esprimono una nuova tendenza, che è quella di commemorare i propri morti in modo più personale, parlando di chi non è più, ricordando la sua vita, i suoi affetti, le sue preferenze: di tale tendenza si è sentita l'esigenza in più luoghi in Italia, e di volta in volta, se ne sono fatti portatori soggetti diversi: la Società per la Cremazione a Torino, qualche Comune italiano (tra cui in primo luogo quello di Milano), alcune associazioni di donne a Bologna, gruppi di semplici cittadini a Roma, o a Trento, e altrove.
Si tratta di celebrare una memoria che ha il suo luogo d'elezione nella mente e nel cuore di chi rimane, e che sovente è indipendente dalla scelta del luogo "fisico" del ricordo, la tomba, il cimitero, la celletta funeraria; e che talvolta, come nel caso della dispersione delle ceneri, che a breve sarà consentita anche in Italia, ne prescinde completamente, interrompendo una centenaria tradizione di visite ai cimiteri, e lasciando cadere l'utopia delle necropoli-giardino, eredità dell'epoca napoleonica.
Molti sono gli esperimenti rituali "di commiato" sorti in Europa, in genere di carattere laico, che utilizzano elementi ampiamente simili (musica, poesia e letteratura, discorsi funebri e semplici ricordi, pensieri, aneddoti, nuovi gesti e oggetti investiti di valore simbolico) volti a celebrare la vita di un defunto.
Tali riti sono, certamente, molto giovani, se posti a confronto coi riti religiosi cattolico, ebraico, islamico o protestante e dalle loro liturgie, così come dai riti descritti dagli antropologi per le popolazioni appartenenti a società di piccole dimensioni e a culture diverse dall'Occidente. Per questa ragione sono in molti a chiedersi se tali esperienze possano essere considerate riti in senso proprio, oppure se siano "cerimonie" incapaci di sostituire i rituali funebri legittimati dalla lunga durata e dalla tradizione, tramandati da un potere (in genere religioso) forte e duraturo.
È possibile cioè definire rito, ad esempio, il gesto di due familiari che, privatamente, disperdono in mare le ceneri di un loro caro? In realtà, sarebbe errato stabilire una gerarchia tra riti funebri "veri", quelli inscritti nella tradizione, e riti "finti", quelli che affiorano nella contemporaneità.

Tutti i riti funebri possono considerarsi tradizioni "inventate": nascono, cioè, per rispondere a determinate esigenze in un certo momento storico. Inoltre, il rito del Commiato non nasce necessariamente in contrapposizione coi riti religiosi, sorge come esigenza di un momento ulteriore e differente, totalmente dedicato alla personalità di chi è scomparso. Tuttavia, crediamo che alcune funzioni fondamentali e tuttora attuali del rito funebre possano essere messe in rilievo: il rito funge da contenitore del cordoglio, sospende il tempo ordinario, il fluire quotidiano degli eventi, e mette pertanto le persone colpite da un lutto di fronte alla possibilità di esprimere, in modo solenne, il dolore, lo scovolgimento e l'impotenza che l'uomo prova di fronte al mistero della morte. Anche qualora non vi siano risposte religiose o convinzioni salvifiche di fronte alla morte, l'espressione collettiva del dolore è già il riconoscimento di un senso, la presa di coscienza (che può essere sofferta ma salda) dei limiti dell'umano.
Inoltre il rito, che riunisce parenti e amici intorno al morto, sottolinea l'appartenenza di quest'ultimo all'umanità, lo reintegra nel gruppo sociale e familiare, attribuendo così un significato alla sua vita. Infine, il rito permette, nella condivisione del dolore, di far percepire ai sopravvissuti che la loro solidarietà alimenta la continuazione della vita, li sottrae alla sofferenza bruta e senza nome, consente di riconoscere l'accaduto.
Delle nuove esperienze di rituali funebri ormai consolidate nel nord dell'Europa, e che muovono i primi passi in Italia, sopravviveranno probabilmente quelli che riusciranno ad assolvere la suddetta funzione culturale e sociale, mentre forse scompariranno, con una selezione spontanea, tutti gli altri.
L'ultima proposta di legge sulla cremazione in discussione in parlamento, citando tra le sue linee guida il "sentimento della pietas" e la "tutela della memoria", recita: "Risponde, infine, ad una indiscutibile esigenza di civiltà - meglio di ogni forma di civiltà - la prescrizione che i cimiteri, nessuno escluso, siano dotati di un luogo idoneo per celebrare i riti di ultima commemorazione".
Uno spazio, cioè, non connotato dal punto di vista confessionale, dove i dolenti possano riunirsi per dare l'ultimo addio al loro caro, per addolcire e rendere solenne il momento della separazione dalle sue spoglie. È auspicabile pertanto che tutti i soggetti che hanno potere decisionale in ambito cimiteriale e funerario, o che in tale ambito lavorino, colgano la fondamentale importanza di non trascurare gli aspetti rituali necessari all'elaborazione di una perdita, e si pongano in una dimensione di ascolto dei bisogni emergenti dai nostri contemporanei, aiutandoli a tradurli in gesti e azioni capaci di dar loro la percezione di aver detto un autentico addio ai loro defunti.
 
Marina Sozzi
MARINA SOZZI è Segretario Generale della Fondazione Ariodante Fabretti di Torino. Sul tema dei riti funebri ha scritto, tra l'altro: M. Sozzi, Ch. Porset, Il sonno e la memoria. Idee della morte e politiche funerarie durante la Rivoluzione francese, Torino, Paravia-Scriptorium, 1999, e M. Sozzi (a cura di) La scena degli addii. Morte e riti funebri nella società occidentale contemporanea, Torino, Paravia-Scriptorium, 2001

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