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La morte di Michael Jackson

Quello che resterà di un "fantastico thriller"

Musica sincopata, giochi di luci, lesti gemiti a scandire il tempo dei gesti e delle parole. L’uomo bionico, il robot, l’automa canta e fa spettacolo; come lui non c’è nessuno, nessun altro ci sarà mai. Jacko ha spento i riflettori, non canta più. Ripercorrere successi e carriera di un personaggio unico al mondo sarebbe, in questo momento, solo un sovrapporsi di gesti, di giorni e di momenti ormai affidati al vento della storia.
Il cantante, il ballerino, il cantautore, il coreografo, lo sceneggiatore, il genio, l’incompreso, l’inventore, il compositore, il musicista, l’arrangiatore, il produttore discografico, il ricco imprenditore, l’artista universale, l’androide re del pop: l’uomo è morto ed è morto solo. Evviva il re! Ma chi era l’uomo?
Quanti fiumi di parole si staranno scrivendo in questo momento su vita, morte, misteri, misfatti e miracoli di Michael Jackson, la leggenda, il mito già immortale che, per soddisfare la morbosa curiosità della legge e della scienza, verrà sepolto senza cervello umiliandone le ceneri. Ne sentirà la mancanza se, come pare, verrà rispettato il suo desiderio di essere lanciato a riposare sulla luna? Quante cose si sovrappongono sui giornali e sulle televisioni: inutili parole a celebrare l’immensità di un uomo perduta nell’immensità del tempo. Che importanza avrà per lui e per la sua tormentata anima in questo momento l’essere nero oppure bianco? Lo scopriremo a nostra volta solo morendo.
Una cosa è certa: sulla terra resterà per sempre l’icona di un caso singolo, irripetibile, di un uomo unico e dichiaratamente solo, talmente straordinario da dipingere sul proprio volto e sul corpo intero l’unicità della propria essenza. Due occhi grandi e scuri, un sorriso alieno a dipingere un volto degno di un paesaggio quasi lunare. È impossibile comprendere, è impossibile tentare di giudicare chi, raggiunto un successo planetario, ha voluto andare oltre, verso dove è impossibile immaginare. Misteri della mente, sogni imperscrutabili realizzati e realizzabili solo grazie a fiumi di dollari, ma pensati, desiderati, concretizzati con maniacale, apparente follia, impossibile da penetrare per chi genio non è.
Non immagino quanto possa costare trasformarsi in altro, e non mi riferisco solo a questioni economiche. Non ci voglio neppure pensare. Ciò che mi incuriosisce di Jacko, e che mi affascina, è una domanda che mi viene dal di dentro: si nasce già così? Talmente grandi, talmente artisti da essere incompresi persino da se stessi? Qual è quel misterioso germe che si insinua nella mente dei maestri e che li corrode, li trascina in un percorso unico e irripetibile fino a trasportarli nell’abisso di una immortalità virtuale incatenata a un modo di essere e di vivere unico al mondo? Michael Jackson è morto lasciando davanti e dietro sé un quesito destinato a rimanere irrisolvibile, quel mistero che trasforma l’uomo in mito. Che fosse un musicista eccelso è fuor di questione, che fosse un abile ballerino servito da una fisicità inusuale, tanto atletica quanto acerba, figlio di un ritmo afroamericano secco ed incalzante, è noto, quasi banale, evidente. Che fosse un genio creativo è risaputo, riconosciuto, inconfutabile ed il mondo deve essergli grato. Ha fatto sognare, cantare, ballare, divertire tanta gente. Molte altre generazioni berranno alla fonte della sua arte.
Tutto il resto è un’altra cosa, è un “thriller” della mente.
Il re è morto, viva il re. Come tanti suoi predecessori è destinato a restare nell’Olimpo della musica, dello spettacolo e del canto. Elvis, Jim Morrison, Bob Marley, John Lennon, divinità del rock, del pop, del reggae, mitologie di un’epoca elettronica senza limiti né confini al messaggio sonoro: tutti uniti da una fine tragica, dura e imprevedibile, tutti ancora vivi dentro i lettori digitali: cantano ancora, e ancora canteranno finché ci sarà elettricità. È così che non si muore mai, che si esisterà per sempre, facendo muovere corpi e cuori delle giovani masse attraverso i fori digitali di un cd.
L’uomo bionico e la sua anima, il robot, l’automa canta e fa spettacolo: come lui non c’è nessuno, nessun altro ci sarà mai. Jacko ha spento i riflettori, non canta più dal vivo. Per decenni, di lui e delle sue originali, maniacali scelte di vita, altri hanno “cantato” scandali, accuse e denunce; di lui hanno “cantato” filantropie, buone e cattive azioni ipotetiche, eventuali. Fame di scoop che servono a riempire pagine di giornali di tutto il mondo, destino di chi è in cima alle piramidi, destino del mito che non si deve spegnere mai.
Adesso, molto rumore a turbare il silenzio dell’eternità. Martedì 7 luglio 2009 vi è stato il concerto del secolo: giusto, umano tributo per l’irripetibile star. Solo parole affettuose e lacrime, alcune sincere, altre di coccodrillo. I fans piangono davvero, certi giornalisti hanno di che riempire pagine almeno per un po’. È così che va il mondo, lo spettacolo deve andare avanti. Già si sbraita sull’eredità. I soldi fanno sempre audience. Della morte in sé e dei suoi misteri universali poco importa. Siamo quasi abituati ormai a vederla sbandierata come un effetto ben poco speciale. Ma continuiamo in silenzio ad averne paura, forse più smarriti che mai. Forse senza più Dio, ma imbottiti e confusi da virtuali immagini di troppi e falsi miti.
Forse perché appassionato di altre sonorità dell’immenso patrimonio del pop americano, amante di vibrazioni lunghe che evocano atmosfere mistiche, forse perché cultore di Genesis e Pink Floyd, forse perché più meditativo e sognatore, non ho mai amato i saettanti quattro quarti di Michael Jackson. Talvolta ne ho storpiato il ballo in qualche discoteca facendo, come tanti altri, brutte figure. Il suo ritmo non mi mancherà più di tanto, ma la curiosità che l’uomo, l’androide unico nel suo genere, mi ha sempre saputo suscitare nell’affondare il desiderio di sapere sulle bizzarrie dell’animo umano, quella resterà insoddisfatta. Di una cosa sono pressoché certo: tutti coloro che provarono e che ancora tenteranno di dare un senso a quel genio immenso e fanciullo, di lui, di quello che non si vedeva dentro, non sanno e non sapranno mai niente. Resterà custodito nel suo sezionato cervello finito chissà dove.
 
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