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Nuovi progetti di sale per il commiato

Ringrazio Giorgio Praderio e Luigi Bartolomei per aver voluto condividere con Oltre Magazine i risultati di un importantissimo lavoro svolto in questi ultimi cinque anni su un tema particolarmente attuale quale quello delle strutture per il commiato. La collaborazione con il Dipartimento di Architettura e Pianificazione Territoriale dell’Università di Bologna non si vuole limitare a dare evidenza ai lavori più meritevoli, ma intende offrire spunti di riflessione a tutti gli Operatori, pubblici e privati, che hanno in programma di realizzare proprie Case Funerarie: i singoli autori e un gruppo di esperti del Dipartimento sono anche disponibili ad una attività consulenziale utile a trasformare in progetti concreti ogni idea che sia stata recepita come interessante.
c.p.
Cinque anni or sono, presso il Dipartimento di Architettura e Pianificazione Territoriale dell’Università di Bologna, decidemmo di intraprendere una iniziativa interdisciplinare di studio, di ricerca e di progetto specificatamente dedicata allo spazio sacro. Dedicammo la nostra prima attenzione soprattutto alle chiese, cercando di riprendere quel fecondo filone di ricerca e di sperimentazione che, in passato, aveva visto il territorio bolognese protagonista negli anni del Cardinale Giacomo Lercaro. Del resto, per la stratificazione culturale ed antropica del nostro territorio, chiesa e “spazio sacro” vengono quasi a dipingere realtà coincidenti nel comune uso della lingua, a dispetto dell’evidente diversa estensione dei due concetti.
Il progetto di ricerca decise allora di insinuarsi nelle maglie di questo disallineamento e di iniziare a studiare anche quegli spazi che, pur non essendo chiese, emergono nella contemporaneità come luoghi progettati, percepiti e fruiti come “sacri”: i nuovi santuari del nostro tempo, le sedi di comportamenti rituali. Il fluttuare del sacro risulta un parametro di primo interesse per conoscere i cambiamenti comportamentali profondi della compagine sociale. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la crescente secolarizzazione non corrisponde ad una eclissi del sacro, ma piuttosto ad una sua metamorfosi, all’insegna di una forte contaminazione del “profano” con manifestazioni anche inusuali, talvolta sorprendenti e sempre all’insegna di una certa ritrovata promiscuità tra gli opposti. Nella costellazione di spazi che si sono così individuati, le Sale per il Commiato sono state oggetto di una attenzione specifica, anche in ragione del crescente interesse dei Comuni e degli Operatori Funerari a dotarsi di simili luoghi.
È stato quindi su suggerimento di Mauro Felicori (dirigente settore Cultura Comune di Bologna e fondatore dell’AsceAssociation of Significant Cemeteries in Europe) che abbiamo coinvolto studenti del quinto anno del Corso di Laurea di Ingegneria Edile-Architettura nella progettazione di Camere del Commiato per il Cimitero Monumentale della Certosa di Bologna, in una area che ci è stata assegnata. Il carattere sperimentale di questa progettazione, nel caso specifico svincolata da limiti di budget, ha concesso di concentrarsi esclusivamente sulla nuova spazialità di questi poli la cui novità nel panorama delle tipologie edilizie ha concesso ai nostri laureandi di esercitarsi con equilibrata creatività alla loro progettazione. Siamo lieti di presentare su Oltre Magazine una rassegna dei migliori progetti.
 
Giorgio Praderio e Luigi Bartolomei


L’avvento della società multiculturale, con la presenza sempre più importante di costumi e di esigenze nuove nei nostri orizzonti geografici, affiancato all’espandersi di un processo di secolarizzazione che ha coinvolto soprattutto i ceppi più radicati della popolazione autoctona ha determinato, in Europa e nei paesi occidentali, l’esigenza di luoghi specifici per le onoranze funebri progettati e curati per essere dignitosi, ma privi di precise connotazioni ideologiche o religiose. Il rito funebre, d’altra parte, si dimostra essere una pratica universale e necessaria per tutte le comunità umane ben prima dell’apparire di sistemi “teologici” codificati come riflesso della ricerca “sacrale” propria di tutti gli uomini e come conseguenza della socialità naturale della nostra specie, fondata su legami di natura familiare e su spazi condivisi. L’esigenza di un trascendimento della morte, attraverso gesti e parole simboliche o mediante un rito, rimane pertanto imprescindibile nonostante si eliminino i legami con la tradizione religiosa.
La ragione di questo è da ricercarsi nel significato che il rito conferisce alla parola sotto forma di condoglianze, orazioni funebri, discorsi di commiato, formule religiose, auspici di immortalità, ossia nella particolare solennità che contribuisce a costruire un evento di importante rilevanza psichica. Un “rito di Commiato”, entro la più vasta sequenza dei riti funebri, funge da contenitore del cordoglio, interrompe lo scorrere del tempo ordinario, arresta il fluire quotidiano degli eventi, concedendo alle persone colpite da un lutto la possibilità di esprimere, in modo consono e personalizzato, il dolore, lo sconvolgimento o anche l’impotenza che l’uomo prova di fronte al mistero della morte.
Oggi la necessità di un rito funebre laico si è imposta con tanta insistenza da smuovere l’interesse delle istituzioni politiche e sociali: anche al di fuori di appartenenze religiose codificate e tradizionali, la comunità civile sta iniziando a predisporre luoghi per una elaborazione condivisa del lutto, secondo una ritualità laica e personalizzabile, comunemente detta “cerimonia del Commiato”. Si giunge così alla elaborazione di uno spazio totalmente nuovo, alla fondazione di una nuova tipologia architettonica in quanto, a spazi di solida e ben strutturata identità storica (come i templi crematori ottocenteschi), affianca aree per funzioni nuove, spesso caratterizzate da una semplicità estrema e, al contempo, straordinariamente evocativa e vibrante: arredi essenziali, mancanza di simboli, se non esposti su esplicita richiesta. Si configurano quindi spazi utilizzabili non solo per celebrazioni di riti laici, ma anche in occasione di cerimonie religiose secondo credi diversi, in un apparato di simboli semplici che possono costituire una sorta di diversificato arredo temporaneo. Se dunque questi luoghi per mancanza di una tradizione consolidata non possono conferire quel senso di sacralità forte caratterizzante gli ambienti propriamente religiosi, essi si configurano come ambiti poliedrici, sede di nuovi e diversi modi per celebrare l’ultimo saluto ai propri congiunti.
Il Commiato Laico, disancorato da una prassi liturgica codificata, consente una personalizzazione del rito funebre altrove impossibile, ad accentuare in maniera forte l’individualità specifica del defunto. L’addio in questo caso diviene una commemorazione dei personali significato e interpretazione dell’esistenza, del ruolo e delle relazioni sociali e affettive di chi è scomparso: abbandona i simboli dell’iconografia tradizionale e si avvicina maggiormente alla parola come espressione di ricordo personale, di rimpianto, di commemorazione e di commozione verso chi non è più. Abbandonando quindi la sfera del religioso che ha caratterizzato il rito e la sua espressione, consideriamo quest’ultimo solo come il mezzo che rende tangibile la dimensione generalmente sacrale e sociale dell’elaborazione del lutto. Il rito diventa così custode dell’identità individuale ed ha lo scopo di celebrare dignità, memoria e valore universale della vita umana incarnata in uno specifico soggetto.
In corrispondenza a questo fatto si assiste ad una certa traslazione nell’uso del linguaggio rituale, strutturato piuttosto secondo le emozioni e non più secondo analogie e simboli. È proprio la comune appartenenza ad uno stesso recinto emotivo a determinare quel senso di condivisione che caratterizza il Commiato laico. In vista di questa forte partecipazione emotiva l’azione rituale prende forma, assecondando una personalizzazione dei luoghi, degli spazi e dei tempi. Ciò avviene ancora attraverso la mediazione dei simboli, elemento ineliminabile nella comunicazione umana, non più intesi però in senso religioso, come rappresentazioni di un oltre/altro o vincoli di una appartenenza, ma piuttosto come segni di un comune orizzonte umano, da tutti pertanto implicitamente od esplicitamente compresi. Il simbolo diviene quindi lo strumento di ricongiunzione positiva al “mistero” permettendo l’ingresso in una dimensione sensoriale che porta ad una maggiore e più profonda partecipazione integrale di carattere emozionale “immersivo”, globale. Sul piano di questa comune umanità si costruisce, nel ricordo e nel pensiero, la possibilità di un contatto tra il defunto e i dolenti, che sono incentivati ad interiorizzare un evento la cui rilevanza psicologica spesso travalica i limiti dell’oggettiva percezione spazio-temporale, anche mediante un linguaggio comune di segni, di simboli e di modi di caratterizzare l’architettura. Si delinea, di conseguenza, la ricerca di uno spazio neutro, una scatola bianca che racchiuda tutti questi colori emozionali, una trama in cui si intreccino diversi fili a formare un unico tessuto.
Fin dall’inizio il progetto si è concentrato sull’idea di definire una struttura organica composta da elementi collegati e gerarchizzati. Una architettura dell’addio come percorso, viaggio interiore. L’idea di due poli estremi, forse due soglie. Un moto in tempi successivi, che orienta lo spazio. Ogni percorso ha un senso come lo ha il moto che vi si svolge. Un flusso in entrata, carico di dolore e di incomprensione. Un flusso in uscita più consapevole, reduce da una metabolizzazione dell’evento. Tra i due il rito, che si colloca in spazi dall’estetica neutra e pulita, ma al tempo stesso caratterizzati da moti emozionali turbolenti che dall’interno ne scuotono la linearità compositiva. Le soglie a questo punto diventano da un lato corridoi funzionali di gestione dei percorsi volti ad evitare spiacevoli commistioni, dall’altro simboli del percorso interiore che ci porta ad accompagnare il nostro caro fino all’estremo saluto. A questo nucleo spaziale dedicato all’utenza pubblica, si accosta l’area tecnica ad uso dei soli operatori. Una coesistenza di ruoli, flussi e aree tanto diversi da far pensare ad un parallelo fisico con il concetto di dicotomia della morte che in questo contesto assume un carattere tangibile, concreto quanto un elemento spaziale. Da un lato la tecnica, la tanatoprassi, la conservazione dei corpi, dall’altro l’amore dei parenti, il dolore del venir meno, l’emersione dei ricordi. La morte compone scienza e sentimenti, insieme. Una morte fisica, corporea, tecnica che si affianca ad una morte come fatto spirituale, dell’anima. Dualità che porta ad un diverso trattamento delle due aree. L’intera struttura diviene quindi un complesso sistema di inter-relazione fra questi due elementi.
La predilezione per la linearità, intesa come purezza e minimalismo, non rifiuta inserzioni di spigoli vivi, angoli retti, linee incisive. Forme morbide sono state inserite per agevolare il fluire del movimento e per convogliare lo sguardo verso punti precisi. Si introduce, in un ambiente di prevalenti linee rette, una circolarità dei movimenti a suggerire lontane rassomiglianze con altre circolarità, quelle della vita e delle culture. La circolarità del percorso interseca la linearità degli spazi, che tagliano la fluidità dei passaggi con l’apparente brutalità dell’interruzione improvvisa. La morte come lama lineare, trasversale, di origine indeterminata, di esito incerto, in un tempo senza più tempo diviene in architettura un elemento che interrompe e che porta oltre, fisicamente e visivamente: un percorso soglia che vede l’uomo entrare in uno stato di incertezza e che lo ridireziona, lo riorienta in un percorso in uscita che intende essere presa di coscienza. L’uomo entra nell’architettura nel dolore e anche grazie all’architettura elabora la morte per poi uscirne con maggiore consapevolezza.
Si è rifuggito il concetto di unità formale. Dall’esterno appare unitario il modo in cui l’architettura è concepita, ma non la forma in cui si manifesta. Si è inteso perseguire una frammentazione ad immagine della pluralità di culture e di riti che questa scatola del cordoglio si propone di accogliere. Frammentazione nella quale si intravedono i fili emozionali che caratterizzano ogni individuo e che si distendono e si aggrovigliano a seconda del momento e dello spazio. La conformazione architettonica tratteggia in talune parti un’architettura come un velo, un drappo che sottende diversità, ricompattandole nel comune senso umano del dolore.
Negli elementi cubici disgregati si rincorrono le immagini di lapidi smosse dal tempo, di zolle divelte di terra o pietre di un sentiero dismesso. Geometrie spezzate, intersezioni materiche tipiche del nostro tempo. I materiali non vorrebbero essere confusi. Essi sono simbolo del percorso e dello spazio che si va a connotare, di una vicenda umana che finisce e di una che deve aprirsi ad una comprensione del dolore. Il progetto giunge a definire il dettaglio dei trattamenti superficiali, mai lasciati al caso: il cemento bianco come segno distintivo delle aree di quiete, riflessione e meditazione; il rame come connotazione dei percorsi e della metabolizzazione dell’evento, simbolo dello scorrere del tempo, della mutevolezza della vita e dei suoi eventi, nel parallelismo tra maturazione del materiale e della persona; il legno è il caldo abbraccio di accoglienza e di ingresso; la rete metallica evidenzia l’area tecnica, addolcita dal verde estensivo di copertura che si estende sull’elemento verticale perimetrale. Nulla della conoscenza e della vita umana può essere trascurato.Lorenza Carà

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