- n. 11 - Dicembre 2002
- Letteratura
UN POETA IN TRINCEA
È noto quanto sia stata centrale per Giuseppe Ungaretti (1888/1970) l'esperienza della guerra e, di conseguenza, la tematica della morte, che di quell'esperienza è uno dei nuclei fondanti.
Quando Ungaretti, interventista convinto, partecipa da volontario al I conflitto mondiale sul fronte del Carso, ha già alle spalle delle esperienze poetiche, legate agli ambienti delle avanguardie letterarie di inizio secolo. Ma nelle poesie scritte in trincea (raccolte poi nel volume L'allegria) la volontà di rinnovare radicalmente il linguaggio della poesia è eccezionalmente potenziata dall'urgenza della sua vicissitudine biografica di soldato, dalla condizione "estrema" di chi è posto quotidianamente di fronte ai dati più elementari ed essenziali dell'esistenza, della sopravvivenza.
Due esempi basteranno a rendere conto di quanto abbiamo detto. In San Martino del Carso il poeta costruisce su tre punti un essenziale percorso: dalle immagini di macerie e desolazione (il paese bombardato), alla morte di tante persone care, molte delle quali non hanno neppure avuto sepoltura (a questo alludono i vv. 7/8), per giungere alla corrispondenza, all'identificazione tra paesaggio e interiorità: c'è il cuore del poeta ormai al posto del paese distrutto; è il suo animo che si fa carico di mantenere la memoria dei perduti di cui materialmente non è rimasto nulla. E' anche interessante osservare come il poeta rielaborando il testo, nella sua ricerca di assoluta essenzialità, abbia eliminato gli elementi inutilmente troppo espliciti: ad esempio, in una redazione precedente della I strofa si leggeva non è rimasto/neppure tanto/nei cimiteri.
"Ero in presenza della morte", disse in seguito Ungaretti, riconoscendo alle sue poesie di quel periodo "quell'esaltazione quasi selvaggia dello slancio vitale, dell'appetito di vivere, che è moltiplicato dalla prossimità e dalla quotidiana frequentazione della morte". È il caso di Veglia, un'altra fra le più note e più forti poesie dell'Allegria: l'esperienza limite della morte descritta nel suo più tragico orrore fisico si compenetra (vv. 10/11) nell'anima del compagno; in quel "silenzio" non nasce però un atteggiamento disperato, di resa all'insensatezza, ma al contrario una attitudine di compartecipazione, di accoglienza, che genera un nuovo scatto vitale.
SAN MARTINO DEL CARSO
Di queste case non è rimasto che qualche brandello di muro.
Di tanti che mi corrispondevano non è rimasto neppure tanto. Ma nel cuore nessuna croce manca.
È il mio cuore il paese più straziato.
Valloncello dell'Albero Isolato, il 27 agosto 1916
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VEGLIA
Un'intera nottata buttato vicino a un compagno massacrato con la sua bocca digrignata volta al plenilunio con la congestione delle sue mani penetrata nel mio silenzio ho scritto lettere piene d'amore.
Non sono mai stato tanto attaccato alla vita.
Cima Quattro, il 23 dicembre 1915
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Franco Bergamasco