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UN POETA IN TRINCEA

È noto quanto sia stata centrale per Giuseppe Ungaretti (1888/1970) l'esperienza della guerra e, di conseguenza, la tematica della morte, che di quell'esperienza è uno dei nuclei fondanti.

Quando Ungaretti, interventista convinto, partecipa da volontario al I conflitto mondiale sul fronte del Carso, ha già alle spalle delle esperienze poetiche, legate agli ambienti delle avanguardie letterarie di inizio secolo. Ma nelle poesie scritte in trincea (raccolte poi nel volume L'allegria) la volontà di rinnovare radicalmente il linguaggio della poesia è eccezionalmente potenziata dall'urgenza della sua vicissitudine biografica di soldato, dalla condizione "estrema" di chi è posto quotidianamente di fronte ai dati più elementari ed essenziali dell'esistenza, della sopravvivenza.

Due esempi basteranno a rendere conto di quanto abbiamo detto. In San Martino del Carso il poeta costruisce su tre punti un essenziale percorso: dalle immagini di macerie e desolazione (il paese bombardato), alla morte di tante persone care, molte delle quali non hanno neppure avuto sepoltura (a questo alludono i vv. 7/8), per giungere alla corrispondenza, all'identificazione tra paesaggio e interiorità: c'è il cuore del poeta ormai al posto del paese distrutto; è il suo animo che si fa carico di mantenere la memoria dei perduti di cui materialmente non è rimasto nulla. E' anche interessante osservare come il poeta rielaborando il testo, nella sua ricerca di assoluta essenzialità, abbia eliminato gli elementi inutilmente troppo espliciti: ad esempio, in una redazione precedente della I strofa si leggeva non è rimasto/neppure tanto/nei cimiteri.

"Ero in presenza della morte", disse in seguito Ungaretti, riconoscendo alle sue poesie di quel periodo "quell'esaltazione quasi selvaggia dello slancio vitale, dell'appetito di vivere, che è moltiplicato dalla prossimità e dalla quotidiana frequentazione della morte". È il caso di Veglia, un'altra fra le più note e più forti poesie dell'Allegria: l'esperienza limite della morte descritta nel suo più tragico orrore fisico si compenetra (vv. 10/11) nell'anima del compagno; in quel "silenzio" non nasce però un atteggiamento disperato, di resa all'insensatezza, ma al contrario una attitudine di compartecipazione, di accoglienza, che genera un nuovo scatto vitale.



SAN MARTINO
DEL CARSO


Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro.

Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto.
Ma nel cuore
nessuna croce manca.

È il mio cuore
il paese
più straziato.

Valloncello
dell'Albero Isolato,
il 27 agosto 1916


VEGLIA

Un'intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d'amore.

Non sono mai stato
tanto attaccato
alla vita.

Cima Quattro,
il 23 dicembre 1915
 
Franco Bergamasco

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