Se leggiamo un certo numero di poesie di Giuseppe Ungaretti (1888/1970), percorrendo tutto il vastissimo arco della sua attività, riconosciamo nella sua personalità due poli d'attrazione: da una parte una condizione di turbamento che si esprime in una tensione forte alla trasgressione, dall'altra il mito dell'innocenza, l'idea di armonia, equilibrio, serenità. Al secondo di questi poli possiamo ricondurre questa poesia, che Ungaretti scrisse nel 1930. La madre rappresenta qui appunto la condizione di innocenza; il lutto, la scomparsa di lei, portano il poeta a rivolgersi al futuro, a pensare alla sua propria morte. Solo allora, riunirsi a lei e immedesimarsi in quella condizione d'innocenza sarà possibile, le due cose saranno una sola. Ma nella prospettiva esplicitamente religiosa che qui Ungaretti assume, un passaggio è necessario: il perdono, la cancellazione del Male. La madre intercederà per esso, ma non senza una sfumatura di severità nei confronti del figlio peccatore, che il poeta vuole evidentemente far percepire (cfr. i vv. 12-13), anche nella sobrietà estrema degli atteggiamenti (decisa, / Sarai una statua e il rapido sospiro conclusivo). E forse l'assenza totale di sentimentalismo è la caratteristica più forte di questa poesia, dove il lutto non si ripiega sul passato, nella rievocazione degli affetti; dove il dolore, volutamente, non è espresso. |