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Piccole zucche e pappa di banane

Dopo aver abbellito e dipinto il corpo del defunto, gli indios Yanomami provvedono a cremarlo su una pira eretta davanti alla sua abitazione. In più riti successivi, si cibano poi delle sue ossa, finemente tritate in un mortaio rosso e conservate anche per anni nella sua capanna. Solo ingerendo le ceneri, infatti, i superstiti permettono al loro antenato di raggiungere l'aldilà. Un rituale molto articolato che vive tuttora tra Brasile e Venezuela.

Nella fitta foresta equatoriale, tra i grandi bacini dell'Orinoco e del Rio delle Amazzoni, vivono di caccia e di pesca, conservando le loro suggestive tradizioni. Il loro territorio si estende lungo la linea di confine tra Brasile e Venezuela: qui, nelle parti maggiormente nascoste ed impervie della più maestosa vegetazione del mondo, gli indios Yanomami costruiscono le loro case: gigantesche capanne, chiamate "yano", che possono raggiungere i cento metri di diametro e contenere anche duecento persone.

Pur trovandosi in una delle regioni più ricche di minerali del mondo, gli Yanomami non utilizzano metalli e non usano oggetti di pietra: dalla terra ricavano solo terrecotte molto grezze per gli usi domestici, mentre amano decorarsi ed ornarsi di foglie, fiori e penne. E, in segno di lutto, usano dipingersi di nero: se le donne segnano sulle guance i tratti del dolore, facendosi col carbone grandi macchie scure, gli uomini si disegnano il corpo di nero.

GLI ULTIMI MOMENTI DELLA VITA.
Quando un membro della comunità è prossimo alla morte, viene circondato dai parenti più prossimi e dagli amici. I guaritori del villaggio, i "pagè", cercano in qualunque modo di rianimarlo, ma quando capiscono che non c'è più nulla da fare, avvertono della fine incombente i presenti ed anche il malato, che si rassegna ed attende la morte.

Non appena si diffonde la notizia, tutte le persone adulte del villaggio fanno visita al morente: le donne di famiglia iniziano a colorarsi il volto e i parenti più stretti compiono danze frenetiche attorno all'amaca dove giace l'agonizzante, mostrandogli oggetti di sua proprietà e bagnandogli le labbra con gocce d'acqua prese con la mano da una zucca. In questi momenti lo invocano anche con il nome di "padre", "fratello", "figlio". Intanto, le urla dei pagè e delle donne si fanno sempre più forti; i bambini vengono allontanati dal gruppo e le loro amache sono sistemate nella foresta.

Siccome piangono a dirotto, i presenti esauriscono presto le loro lacrime: così, per piangere ancora, si instillano negli occhi il "mabu-u", liquido ottenuto pestando diversi tipi di foglie.

PIUME D'UCCELLI E TABACCO.
Quando sopravviene la morte, la scena si fa drammatica: tutti urlano piangendo intorno al defunto, che viene abbellito con piume d'uccelli e dipinto di rosso: in bocca, gli viene posto un rotolo nuovo di tabacco e cenere.

La cremazione avviene di solito il giorno seguente, ma, se si tratta di un personaggio importante, il rito può anche essere rimandato di alcuni giorni, per dare modo ai parenti lontani di arrivare in tempo per assistervi.

Tocca al parente più prossimo chiedere ai due personaggi più importanti della comunità di preparare la pira, che viene costruita sul piazzale ripulito davanti all'abitazione del defunto. Dalle altre dimore, invece, vengono portati tizzoni ardenti per formare la base della catasta.

Ultimata la pira, tre o quattro uomini incaricati della cerimonia conducono il defunto nel luogo della cremazione: una volta deposto il cadavere sul letto di tizzoni, viene ricoperto di legna. E, mentre il corpo si incenerisce, i presenti ballano, lanciando sul fuoco archi, frecce, faretre, zucche, ceste che appartenevano al defunto.

Dopo qualche ora, quando tutto il cadavere si è consumato e le ceneri raffreddate, due fra i congiunti più stretti raccolgono accuratamente le ossa e le racchiudono in foglie di palma: così sistemate, rimarranno appese al soffitto della casa del defunto, sopra il focolare, per qualche tempo. Quindi, verranno finemente pestate.

NELLA FORESTA, PER CACCIARE LA SELVAGGINA.
Qualche giorno dopo la cremazione, alcune donne della comunità si addentrano nella foresta per fare rifornimento di banane. Tornate al villaggio, le appendono per due o tre giorni al tetto della capanna per farle maturare; cugini, nipoti, generi del defunto partono invece per la caccia, per approvvigionarsi di selvaggina per la festa collettiva.

Gli stessi incaricati della cremazione si dipingono vistosamente di rosso e costruiscono il mortaio per la macinazione delle ossa. Ricavato da un tronco di legno duro, anche il mortaio viene tinto di rosso ed abbellito con piume colorate.

Quando i cacciatori sono tornati con prede sufficienti per offrire il banchetto alla comunità, che avviene dopo il rito della macinazione delle ossa, e le banane sono ormai mature, i parenti maschi del defunto preparano la pappa di banane, che bevono a turno. I macinatori, stando in piedi, iniziano a pestare le ossa che poi vengono anche setacciate; i presenti assistono seduti, sempre lamentandosi.

Ridotti i resti del defunto in polvere, sempre gli stessi congiunti fanno un altro frullato di banane, stavolta meno denso, in cui versano le ossa sminuzzate del defunto: questo "miscuglio" viene posto, attraverso un piccolo foro poi sigillato con una pallina di cera, in piccole zucche, che rimangono appese al soffitto della capanna del defunto, per essere consumate più volte in cerimonie successive. Talvolta le ceneri si conservano per anni, fino a quando il figlio più piccolo del defunto raggiunga l'età per berle. E, magari, per vendicare il padre, morto ingiustamente o prematuramente.

LE DUE ANIME.
Per uno Yanomami nulla è più disonorevole del sentirsi dire che teme la morte: infatti sa che, morendo, lascerà in eredità le ceneri delle sue ossa, di cui i parenti si cibano. Un gesto grazie al quale può raggiungere l'aldilà: solo così l'anima è liberata e può passare tranquillamente nell'altro mondo.

Per gli Yanomami, sono due le anime. Una è l'anima di morto che lascia il corpo umano solo al momento della morte e viene identificata con la nuvola di fumo che si solleva dal cadavere durante la cremazione: i morti che non vengono cremati e le cui ossa non sono ridotte in polvere e consumate dalla famiglia non possiedono quest'anima. Come pure i dispersi nella foresta e gli uccisi dalle bestie feroci o dai nemici ed abbandonati nell'intrico della vegetazione.

L'altra è l'anima-ombra che, durante la vita, si trova in un animale. Per gli uomini, a seconda del clan di appartenenza, risiede in un'aquila, in un giaguaro o in un ragno-scimmia. Infatti, se si uccide uno di questi animali si uccide anche uno Yanomami. Tra le donne l'anima ombra si trova in una lontra o nel corpo di un roditore.

Al momento della cremazione l'anima di morto, che è stata legata al corpo durante la vita, si innalza con il fumo e si unisce all'anima-ombra.

Nell'altro mondo, poi, le anime compaiono davanti a Wadawadana, il giudice dei defunti. I buoni vanno in una specie di paradiso al centro del cielo, dove possono praticare la caccia e la raccolta dei frutti, delle bacche e dei piccoli animali. Qui le donne anziane ritrovano la giovinezza perduta.

I guerrieri caduti in combattimento vanno invece in un villaggio di frecce all'est del cielo: in questo luogo la vita è più difficile, ma si è pur sempre in cielo. Gli avari sono invece destinati ad un inferno di fuoco, dove bruciano incessantemente. Morendo così una seconda volta per sempre.
 
Gianna Boetti

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