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Da quando Ozzy non c'è più

L’esperienza della perdita dell’animale domestico raccontata in prima persona dal filosofo Davide Sisto.

Il 30 novembre è diventato, dal 2012, un giorno molto triste. In quella data, infatti, è morto il mio gatto Ozzy, il cui nome è un omaggio al cantante dei Black Sabbath, di cui sono appassionato. Trovato in un bidone della spazzatura, quando aveva circa due o tre mesi, Ozzy è stato in mia compagnia per quindici anni. Abbiamo condiviso due traslochi e, dal momento che lavoro principalmente a casa, siamo stati insieme per tante ore di seguito al giorno, con rituali e abitudini pienamente consolidate. Ad esempio, ogni volta che accendevo lo stereo e ascoltavo i miei cd heavy metal, lui arrivava ronfando e si piazzava sotto lo stereo. Fin da piccolo aveva probabilmente percepito quel suono come qualcosa di molto familiare e, rispettando quindi il nome che gli avevo dato, non si perdeva un singolo ascolto. Cosa che lasciava decisamente perplesso chi non aveva familiarità con la musica metal.

La morte di un animale domestico genera un lutto che non va in alcun modo sottovalutato, checché ne pensino coloro che non ne hanno mai fatta esperienza. La sera del 30 novembre 2012 mi è venuto spontaneo pulire immediatamente casa, cancellando il più possibile le sue tracce. Ho buttato via la lettiera, i piattini in cui mangiava e beveva e ho conservato con attenzione i suoi giochi preferiti, per tenerli come ricordo. Non è stato facile abituarsi a dormire senza il suo peso sulle gambe, che per anni ha condizionato il mio riposo notturno obbligandomi a stare praticamente immobile, quasi mummificato, fino alla mattina seguente. Non è stato facile entrare in un supermercato e passare, senza sussulti emotivi, nel reparto in cui vengono venduti i prodotti alimentari per gatti. Non è stato facile, in linea generale, ricostruire daccapo le abitudini casalinghe, mettendo da parte ciò che ha segnato quindici anni di convivenza. Dalla finestra strategicamente aperta, per farlo andare sul balcone, a quella strategicamente chiusa, per non perderlo. Dall’organizzazione dei viaggi e delle vacanze, tenendo conto delle esigenze casalinghe di Ozzy, all’apertura della porta di casa, dietro cui si manifestava immediatamente la sua presenza “miagolante”.

Il rapporto che si crea con un animale domestico non è dissimile da quello che si crea con una persona amata, per cui si vive una situazione di perdita e di elaborazione del lutto che non va sottovalutata, perché può creare – soprattutto, in persone che vivono da sole – un trauma. Non si tratta soltanto di una forma di autosuggestione legata alle abitudini consolidate nel corso degli anni. Nasce un autentico legame in cui entrambi i soggetti vivono mediando le proprie esigenze con quelle dell’altro. Il gatto, così come ogni altro animale domestico, diviene un membro ufficiale della famiglia, al punto che - come indicato in alcuni studi americani - la sua perdita è una delle principali cause dell’insorgenza di una depressione.

A ciò va aggiunto un aspetto che ho constatato in prima persona.La dimensione affettiva nei confronti del proprio gatto domestico è particolarmente intensa poiché si ha la percezione di trovarsi in una condizione di totale accudimento. Si ha la sensazione, cioè, che quel gatto dipenda totalmente dalla cura della persona, per cui ci si sente molto responsabilizzati nelle scelte e nelle decisioni. Inoltre, pur essendo portato a una forma di autarchia quasi caricaturale, il gatto vive un rapporto di totale amore con la persona che lo accudisce come si deve, evitando quelle situazioni conflittuali che invece caratterizzano le relazioni tra esseri umani.

Tutti questi aspetti rendono la relazione molto forte e accettarne la rottura diventa particolarmente doloroso. Alcuni affrontano questo dolore prendendo subito un altro gatto; altri, invece, non se la sentono di sostituirlo.E anche questi due comportamenti dimostrano quanto sia delicata l’elaborazione del lutto.

(testimonianza tratta dal blog "si può dire morte")
 
Davide Sisto



Davide Sisto è un giovane filosofo torinese esperto di tanatologia. Fra i vari impegni professionali è insegnante al “Master in Death Studies & the end of life” dell’Università di Padova ed è curatore, insieme a Marina Sozzi, del blog Si può dire morte.
Diverse le pubblicazioni a suo nome, tra cui il libro La morte si fa social (Bollati Boringhieri, Torino 2018) che abbiamo trattato nel n. 2/2019 di Oltre Magazine



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