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I PELLEGRINI DI KANYAKUMARI

Esiste un posto nell'India del Sud che è più a Sud di tutto il resto dell'India. È un posto importante, dal punto di vista geografico, perché qui si incontrano il Mare Arabico, il Golfo del Bengala e l'Oceano Indiano. Si trova nello stato del Tamil Nadu, non distante dal confine con il Kerala. È proprio una punta, un promontorio che si protende nell'Oceano. Qui è possibile vedere il sole che sorge sul mare e tramonta sul mare, tutti i giorni dell'anno. Forse è per questo che per gli Indù Kanyakumari è ancora più importante che per la geografia. Narra la leggenda che la giovane Kanya, manifestazione di Parvati, non riuscendo a sposare il venerabile Shiva, decidesse di rimanere vergine (kumari in lingua tamil) e di ritirasi in questo luogo ameno. Così Kanya Kumari, Kanya la vergine, diventò protettrice della città, i cui abitanti eressero un tempio a lei dedicato ed al quale possono accedere esclusivamente gli Indù.

Nei pressi del tempio, in riva al mare, si trova un monumento, una sorta di piccolo Pantheon, proprio sul luogo dove vennero esposte le ceneri del Mahatma Gandhi prima di essere affidate alle acque dell'oceano. Questo tempietto è costruito in modo tale che la luce del sole penetra al suo interno soltanto il giorno della nascita del Mahatma, il 2 di ottobre. Al largo del promontorio si può vedere un isolotto roccioso sormontato da una alta costruzione, il Vivekananda Memorial, eretto in onore del filosofo bengalese. Tutte queste caratteristiche fanno sì che il luogo sia meta di pellegrinaggi senza sosta tutti i giorni dell'anno.

La sera, quando raggiunsi il promontorio, battuto dal vento e indorato dalla luce del sole calante, mi aggirai sulla spiaggia e nei pressi del tempio, tra i numerosi pellegrini, i pochi turisti, le bancarelle di oggetti che tappezzavano il retroterra.

La sorpresa doveva ancora arrivare. Andai a dormire, esausto per il lungo viaggio, da Madurai, in uno degli alberghi che circondano il tempio.

Intorno alle cinque del mattino venni svegliato dalla reception che mi informava dell'alba imminente. Sulle prime pensai a uno scherzo di cattivo gusto, ma quando iniziò ad affluire un po' di sangue al cervello realizzai subito che sul posto non conoscevo nessuno. Lo scherzo avrebbe potuto essere perpetrato soltanto da uno sconosciuto al quale fossi risultato antipatico al solo vedermi passare. Blaterai qualcosa di aggressivo in una lingua sconosciuta soprattutto a me stesso e tentai di riprendere il sonno esattamente dal punto in cui l'avevo interrotto. Dopo pochi minuti ero ormai consapevole dell'impossibilità di portare a termine tale arduo compito.

Decisi così di avventurarmi all'esterno, con l'attrezzatura fotografica, e di vedere questa alba così sacra che pareva essere uno dei punti nodali dell'attività millenaria di quel luogo. Appena sceso in strada fu un flusso di umanità a trasportarmi verso il porto della città vecchia dove si stava assiepando una folla di persone composta solo ed esclusivamente da Indù. Ero l'unico intruso e, come spesso mi capita, dolcemente tollerato e oggetto di una divertita curiosità.

Ci trovavamo a ridosso della spiaggia piena delle vecchie barche dei pescatori, ma alcuni metri più in alto, su uno spiazzo sorretto da un piccolo muro di sostegno che si affacciava sul mare. Alla nostra sinistra le luci del vecchio villaggio che via via si stavano spegnendo.

L'alba era alle prime luci e la nutrita folla aspettava in un silenzio irreale scrutando l'orizzonte. Stavano aspettando che il dio Surya, il sorgere del Sole, si manifestasse anche quel giorno. Il mio pensiero fu attratto dalla considerazione che quella gente attendeva con apprensione e trepidazione un evento che la scienza e la logica ci insegnano che avverrà con una certezza prossima all'infinito.

Mandai al diavolo mentalmente la logica e mi commossi. Vi erano bambini, giovani, uomini, donne e anziani. Alcuni di questi pregavano sommessamente con le mani giunte. L'attesa durò un tempo più lungo di quanto io mi aspettassi perché l'orizzonte era sommerso dalla foschia. Forse passarono alcune decine di minuti in un atmosfera di crescente sacralità. Scattai alcune fotografie quando, a un tratto, capii che il dio Surya aveva fatto la sua comparsa. Un brusio che non avevo mai sentito altrove invase il luogo. Erano miriadi di mantra pronunciati a mezza voce da tutti i presenti. Alzai la testa e vidi un triangolino arancione all'orizzonte mentre tutti recitavano qualcosa osservandolo estasiati o rapiti. L'effetto era sconvolgente e tentai di mantenere freddezza sufficiente per continuare a ri- prendere immagini. La folla di presenti scese poi il muretto di sostegno raggiungendo la spiaggia dove tutti, uomini e donne, iniziarono a spogliarsi. Seminudi si dirigevano verso il mare dove prendevano il bagno, in quel rituale millenario così consueto in India. Se c'è un posto nel mondo dove lo stretto legame che l'umanità ha con l'acqua raggiunge la sua più profonda apoteosi è proprio l'India, dove i laghetti si trovano persino all'interno dei templi.

Cessai di scattare fotografie. Essendo arrivato lì quasi per caso mi pareva di profanare qualcosa di sacro che, anche, forse mi apparteneva in qualche modo, e questo succedeva a una profondità tale che, in quel momento, non riuscivo a percepire nella sua giusta dimensione. Era una cosa che il mio spirito, avvezzo a battere altre strade, apprezzava ma non conosceva.

Mi allontanai discretamente, così come si chiude discretamente una porta sull'intimità di una famiglia o, forse, come si abbassano gli occhi di fronte a qualcosa di veramente grande.
 
Mauro Villone


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