- n. 7/8 - Luglio/Agosto 2001
- Psicologia
LA PASTICCERA INTOLLERANTE
Mi scrive un impresario di pompe funebri emiliano che vuole restare anonimo:
"Ora che protestano anche i Vip, la pasticcera del negozio accanto alla mia impresa non la ferma più nessuno.
Ieri è venuta dentro come una furia a mostrarmi un giornale con la notizia dei personaggi famosi della Versilia che hanno esposto, per protesta contro il comune che vuole ampliare il cimitero fino a farlo arrivare a ridosso delle loro ville, un cartello con la scritta 'Affittasi loculo in villa'.
E giù a dire che, così come non è giusto fare il cimitero accanto a delle belle ville dove ci si va a divertire, non è neanche giusto far passare i cortei funebri per il paese e turbare la tranquillità della gente che lavora.
Le ho ripetuto allora per l'ennesima volta che la morte fa parte della vita, che è mio dovere accontentare i congiunti che vogliono rendere pubblico il funerale e accompagnare il loro caro al cimitero passando in corteo per il viale principale.
Ma è stata come sempre irremovibile nel sostenere che il funerale è un fatto privato, che non deve essere esibito come fanno i primitivi, ma deve essere vissuto nella propria privacy senza imporre agli altri, se non lo vogliono, di venire a contatto con una morte che non li riguarda. Mi viene il dubbio che forse ha ragione la pasticcera e mi chiedo se non spetta proprio a noi operatori delle pompe funebri convincere i nostri clienti a non rendere pubblico il loro funerale, organizzando delle "case per il funerale" (le funeral homes, come ci sono in America e in altri paesi) e trasportando il feretro al cimitero o al crematorio nel modo meno appariscente possibile, per non turbare la vita di tutti i giorni di chi non pensa e non vuole pensare alla morte".
Prima di dare ragione alla pasticcera che la contesta nel suo modo di lavorare, faccia fare una piccola inchiesta tra i suoi concittadini per verificare in che percentuale si sentono turbati dal passaggio di un corteo funebre per il viale principale. Voglio dire che, dal punto di vista psicologico, bisogna sempre chiedersi quali sono le ragioni soggettive di una certa presa di posizione e confrontarle poi tra loro nella consistenza quantitativa che hanno. Da quello che mi riferisce si rilevano due atteggiamenti soggettivi altrettanto legittimi ma in conflitto tra loro: quello dei familiari che vogliono un funerale pubblico con un corteo funebre, e quello di coloro che ragionano come la pasticcera e vorrebbero impedire ai primi di "mostrare" il loro cordoglio perché il contatto con la morte degli altri provoca loro problemi.
Da un punto di vista prettamente democratico hanno tutte e due ragione e tutti e due torto, e si potrebbe sostenere che solo allorché uno dei due punti di vista sia in maggioranza potrebbe prevalere sull'altro. Ma i due atteggiamenti soggettivi corrispondono a due diverse modalità di "ritualizzare" la cerimonia funebre, che hanno una differenza qualitativa e non possono essere leggittimati in base al consenso quantitativamente valutato.
Entrambi quindi vanno rispettati anche in presenza di chi, maggioritariamente o minoritariamente, vi si oppone. Ma c'è una complicazione: mentre il funerale privato si può fare senza disturbare nessuno, il funerale pubblico non si può fare senza implicare il pubblico, cioè senza escludere che si disturberà qualcuno. Ne deriva che chi preferisce un funerale pubblico è svantaggiato rispetto a chi fa il funerale in privato.
Sembra una situazione senza vie d'uscita, ma non è così se approfondiamo le ragioni soggettive dei due atteggiamenti. Chi vuole un funerale pubblico suppone che la morte del suo caro riguardi la collettività, poiché, senza l'aiuto della società che gli concede di sospendere le sue funzioni sociali per il tempo necessario ad elaborare il lutto, l'individuo non supererebbe la per- dita. In questo senso, quando, in un tempo non lontanissimo, al passaggio del corteo funebre le saracinesche dei negozi (comprese le pasticcerie) si abbassavano e i passanti si fermavano un attimo in meditazione o a farsi il segno della Croce, era come se si comunicasse al dolente dietro al feretro che i suoi concittadini capivano il suo dolore, lo rispettavano nella vulnerabilità della crisi del suo lutto ed erano disposti a partecipare, ad aiutarlo in qualche modo.
Chi pensa che il funerale debba essere privato suppone che nessuno ci possa aiutare quando muore una persona cara, e allora finché non accade è meglio non pensarci, o impedire ciò che induce a pensarci, come un corteo funebre. In realtà spesso gli altri ti promettono nel lutto un aiuto che non riescono poi a darti, così come esistono casi in cui non si riesce a superare il lutto per la morte di una persona cara perché non si è mai pensato alla morte né se ne è parlato con gli altri, non apprendendo mai che dalla propria solitudine si può uscire proprio chiedendo aiuto ad altri.
Ecco allora che risulta chiaro come i due atteggiamenti in contrapposizione siano in realtà due facce della stessa medaglia: se un impresario funebre come Lei fa un funerale pubblico e durante il corteo funebre mancano i segni di rispetto e di condivisione si tratterà di un funerale privato fatto per la strada; d'altra parte, un funerale privato è possibile se la società nella quale si vive consente una salvaguardia della privacy e appronta mezzi "pubblici", cioè istituzioni note, leggittimate e pubblicizzate (come le funeral homes, ad esempio), per personalizzare il fu- nerale e svolgerlo in una sfera personale.
Ne consegue che Lei potrebbe dire alla pasticcera che la inquieta che dovrebbe imparare a sopportare la "pubblicità" dei funerali perché, volente o nolente, è parte del pubblico che osserva il corteo, ma non deve farsi necessariamente coinvolgere: una persona che vuole essere rispettata anche dalle persone diverse da lei deve sviluppare per questi una compassione che le consenta di essere umanamente coinvolta! Nel caso della pasticcera, dovrebbe riuscire ad abbassare la saracinesca quando passa un corteo funebre, non perché la morte che passa la riguarda come persona, ma perché la riguarda come essere umano, cioè in quanto presente in una società nella quale non sono tutti come lei e, per non chiederle di essere come loro, le chiedono di esser rispettati.
Il fatto è che la pasticcera si inquieta per la morte che passa anche se non la riguarda: non sarà che non ha ancora imparato a capire che quando qualcosa inquieta potrebbe essere perché siamo troppo inquietabili ed egocentrici, e persino di fronte ad un morto che ci fa pensare alla nostra morte e ci angoscia crediamo di essere noi le vere vittime e non il poveretto che non respira più?
Francesco Campione