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Passaggio a mezzanotte, con scricchiolio

Un sottilissimo ponte divide il mondo dei vivi da quello dei morti. E se i giusti lo attraversano agevolmente, i cattivi sono destinati a cadere nel baratro. Diverse le credenze legate al cammino verso l'aldilà: e se il momento del trapasso tarda ad arrivare, alcuni rituali sono destinati ad eliminare gli ostacoli che impediscono la liberazione dell'anima.
L'anima è troppo impigliata nel corpo. È per questo motivo che, alle volte, l'agonia si protrae tanto a lungo, causando dolore non solo al moribondo, ma anche a coloro che lo circondano negli ultimi momenti di vita. Per eliminare ogni impedimento all'inizio del viaggio nell'aldilà, allora, si può ricorrere ad alcuni rituali, destinati a porre fine alle sofferenze del corpo e a liberare l'anima. Affinché, senza più angosce, intraprenda il lungo tragitto che la porterà alla definitiva destinazione.

ARATRO DI CERA SOTTO IL GUANCIALE. Quando per il morente il momento del trapasso tarda ad arrivare, in alcuni paesi della Basilicata e della Calabria si crede che ciò sia dovuto al fatto che, in vita, ha infranto regole e divieti. Potrebbe, ad esempio, avere bruciato un giogo o rubato un aratro e allora si costruiscono velocemente un aratro in miniatura o un piccolo giogo di cera che si pongono sotto il suo guanciale.

In Sardegna, quando la morte stenta a fare il suo ingresso, molto probabilmente il malato ha commesso l'errore di bruciare dei pettini: quindi, bisogna correre ai ripari e metterne uno sotto il suo guanciale. Solo così potrà chiudere gli occhi serenamente. Alcune comunità della Sicilia devono invece praticare un ben preciso rito se il morente ha ucciso un gatto: siccome questi animali hanno sette spiriti e questi possono passare all'anima dell'uccisore, è necessario che qualcuno dei parenti gridi il nome dell'agonizzante in sette letamai diversi, accompagnandolo con una invocazione. In questo modo morirà in pace.

LA "FORCELLA DELL'ANIMA". In molte culture popolari e contadine, l'anima ha sede in un punto preciso del corpo che, molto spesso, coincide con lo stomaco. Perciò in diverse realtà, soprattutto dell'Italia meridionale, la bocca dello stomaco è detta "bocca dell'anima", "forcina dell'anima" o "forcella dell'anima". Posta normalmente dritta, in senso verticale, l'anima può però spostarsi o mettersi di traverso. È per questo che quando l'agonia si prolunga si sospetta che l'anima non riesca a venir fuori proprio perché posta di traverso. È per questa ragione che in alcuni paesi del Molise si registra l'usanza di togliere dal collo la catenina d'oro e qualunque altro oggetto che possa impigliarla. In diverse località del Lazio meridionale, il rosario posto nelle mani del morto non deve avere i grani legati da catene, ma solo da un filo di spago, in modo che l'anima non abbia ostacoli nella sua fuoriuscita. In Puglia si eliminano invece bottoni e nodi dalle vesti del morente, perché altrimenti rimarrebbe impigliata nel corpo mortale.

Sembra ci sia una sorta di legame tra queste usanze e quelle del parto, per il quale sono previste usanze per il buon fine della gravidanza. Come il feto è racchiuso dentro il sacco amniotico, così l'anima è appesa alla forcina dentro il sacco dello stomaco. Per questo, in diverse realtà del Sud, ma anche in Emilia e alcune zone della Sardegna, si è evidenziata la tradizione che vieta alla donna incinta di portare catene o collane e di cingersi la vita con cinture. Proprio perché il suo erede non incontri ostacoli al momento della nascita.

LA PROVA DEL PONTE. In parecchie comunità, il passaggio dell'anima verso l'aldilà ha come soglia un ponte, che segna il confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Questo ponte, definito quasi sempre "sottilissimo come un capello", o come "una lama di coltello" è considerato piuttosto pericoloso: si innalza infatti sopra il baratro, mettendo in comunicazione questo e l'altro mondo.

Se già la Grecia classica si immagina un ponte aereo, che congiunge terra e cielo, la Persia antica crede che tanto le anime buone che quelle cattive, accompagnate da esseri mostruosi, devono sottostare alla prova del passaggio del ponte: ma, se per i buoni è spazioso ed agevole e conduce in cielo, per i cattivi è così sottile ed arduo che finiscono per precipitare nell'abisso infernale.

Dalla tradizione persiana il motivo della prova del ponte passa poi nella letteratura dell'Islam. È anche presente nella Visione di San Paolo, redatta in diverse varianti letterarie dal IX al XII secolo: qui, appunto, un "ponte sottile come un capello" mette in comunicazione questo mondo col paradiso. Le anime dei giusti lo attraverseranno tranquille, quelle dei malvagi precipiteranno nel fiume sottostante.

Se il motivo del pericolo è documentato anche nella tradizione germanica, almeno fino alla fine dell'Ottocento, nelle culture dei popoli slavi e presso alcuni gruppi del Caucaso, alcuni riferimenti sono presenti anche nella realtà italiana, dove si registrano specifici rituali tendenti ad agevolare il passaggio del defunto. Secondo una tradizione viva in Calabria, il cadavere deve rimanere in casa almeno una notte, affinché la sua anima riesca ad attraversare il ponte di San Giacomo, estremamente sottile: se il morto ha pochi peccati, è agile ed attraversa, quindi, il ponte senza difficoltà. Se, al contrario, ne ha molti, è pesante ed impacciato e non può passarlo facilmente. Il passaggio avviene a mezzanotte e viene segnalato da uno scricchiolio che si avverte nella camera dove giace il cadavere: quindi, a quest'ora, tutti i veglianti smettono di parlare o di lamentarsi. Se il morto non rimane in casa almeno una notte e un giorno, questo passaggio avverrà solo dopo quaranta giorni di penitenza.

In Sicilia, il viaggio dell'anima avviene lungo la Via Lattea, che è una scala formata da pugnali, coltelli, chiodi, spine oppure spade. Ed è sul taglio di quelle spade che l'anima, nuda e coi piedi scalzi, deve procedere nel viaggio. San Giacomo, che è la guida, sceglie il momento quando l'uomo, caduto in agonia, perde i sentimenti: un tempo in cui l'uomo sembra ancora vivo agli occhi del medico, del prete e della famiglia, ma in realtà è morto e sta già compiendo il suo percorso.

Questo cammino in punta di morte tocca a tutti, anche ai neonati. Gli abitanti di Modica credono, però, che questo viaggio si possa anticipare in vita, con un pellegrinaggio alla chiesetta di San Giacomo, che si trova ad un chilometro dall'abitato ed è difficilmente avvicinabile: per raggiungerla bisogna infatti attraversare una via asprissima, tutta ciottoli, che rasenta un torrente asciutto. Sono soprattutto le donne a praticare questo rituale, che si articola in diversi momenti. Innanzitutto, la donna che desidera compiere questo viaggio, deve preparare, all'ora del vespro, dei maccheroni con un uovo e una manciata di farina. Nel frattempo, recita il rosario. Quindi, cuoce la pasta preparata e, dopo essersi posta una mantellina intorno agli occhi, la mangia. Poi va a letto, ma non può addormentarsi. Al rintocco della mezzanotte si alza e, dopo essersi avvolta in un lenzuolo lavato la mattina, si incammina. Non da sola, perché il suo viaggio sarebbe inefficace, ma con una comare che conosce da tre, da sei o da nove anni. Le due donne si incamminano

silenziose. Durante il percorso non possono parlare, non possono voltarsi indietro e, una volta arrivate, bussano tre volte alla porta chiusa della chiesetta, prima con le mani, poi coi piedi e infine con la testa. Quindi si inginocchiano davanti alla porta d'ingresso, recitano nove paternostri, nove avemarie, nove gloria in onore del Santo, una salve regina alla Vergine Addolorata. A questo punto possono fare ritorno a casa, sgranocchiando il rosario. Sicure che, per loro, il viaggio "ultimo" sarà meno gravoso. E più agevolmente arriveranno alla meta.
 
Gianna Boetti

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