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IL NATALE

Vorrei riflettere su un apparente paradosso: pensare alla morte in prossimità del Natale, per antonomasia la festa della nascita nel contesto della cultura cristiana.

Si tratta per l'appunto di un apparente paradosso dovuto al fatto che si dimentica essere il Natale la festa di quella particolare nascita che è la nascita di Gesù, una nascita che non avrebbe senso senza la Pasqua, cioè senza la morte sulla Croce e senza la Resurrezione. Se, in altri termini, a Natale non dimentichiamo che a primavera verrà inevitabilmente la Pasqua, pensare alla morte in prossimità del Natale sarà inevitabile, dato che dicono Cristo essere venuto sulla terra proprio per morire accollandosi tutti i peccati e per indicare che in tal modo si può risorgere, cioè vincere la morte. A Natale, quindi, dovremmo essere tutti contenti perché si celebra la nascita di qualcuno che, col suo esempio, ci indicherebbe la possibilità di vincere la morte.

Vediamo di esplicitare in termini più comuni di che possibilità si tratta. Dopo la cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre, a causa della disobbedienza che li ha portati a voler mangiare il frutto della conoscenza del bene e del male, i figli dell'uomo soffrono e muoiono. La loro lotta contro il Male (la sofferenza e la morte appunto) si acquieta per brevi lassi di tempo solo quando il male si incarna in qualcuno (il nemico, lo straniero, l'ebreo, l'untore, il mostro) che appare colpevole a tutti, compreso a se stesso. In questi momenti, infatti, il colpevole viene punito e il mondo sembra purificarsi di tutto il male.

Ma di lì a poco il male si diffonde nuovamente e la difficoltà di individuarlo in una unica faccia fa scoppiare la guerra di tutti contro tutti. E così continua ad andare per secoli e secoli finché Dio, impietositosi per l'insensatezza e la crudeltà di cui la vita umana si è ammalata, non decide di intervenire. Manda sulla terra il Natale (quella nascita del Presepe di Betlemme) in modo che ci sia qualcuno (suo figlio?) che, come sempre, sia individuato come l'incarnazione del male, che, come sempre, venga sacrificato senza ribellarsi al sacrificio, ma che, per la prima volta, si proclami innocente. Cristo dice che è giusto che egli venga punito per il male del mondo, ma non è ingiusto se contemporaneamente si proclama innocente?

Ecco il messaggio di Cristo: egli dice che è venuto (come figlio di Dio, cioè come Dio) per espiare le colpe di tutti i colpevoli e riscattarli alla morte una volta per tutte, dato che d'ora in poi basterà partecipare al ripetersi simbolico del sacrificio della Croce, e della susseguente Resurrezione (l'eucarestia), per assicurarsi la vittoria sulla morte, cioè il ritorno al Paradiso.

Ma credere alla promessa della resurrezione è una delle maggiori difficoltà dell'uomo di oggi, così intriso di realismo e di spirito scientifico. Sicché il Natale diventa una festa consumistica ed edonistica, forse per distrarsi dal pensare al suo significato profondo e non toccare la delusione della inefficacia della proposta cristiana nei confronti della morte.

Per fortuna Cristo dice anche cose che parlano di un'altra possibilità di confrontarsi con la morte e sono quelle cose per le quali Egli resta interno alla tradizione ebraica e fa ancora scandalo sotto ogni latitudine. Innanzitutto Gesù dice che si può morire "per gli altri", cioè che ci si può sacrificare per il bene degli altri: che "altro" significa quello che tutti capiscono quando dicono che "amano fino alla morte" un'altra persona?

Gesù dice quindi anche che non si muore solo per sé o per cause naturali, ma anche per altri e per mano di altri: la morte di ciascuno riguarda anche altri e in questo senso essa può essere subordinata all'amore che si porta a questi altri (e questo è il senso della possibilità umana di "vincere la morte" che non abbisogna della promessa della resurrezione). Morire è sempre tragico, ma morire per altri significa morire perché altri vivano, cioè morire per la vita! E così Gesù sembra dire anche che è possibile imitarlo nel morire, che non è egli unico nel sacrificio e che basta partecipare simbolicamente a questo (attraverso la messa) per salvarsi; che ci si può sacrificare a propria volta per gli altri pur essendo innocenti, cioè che nel morire li si può perdonare del male che ci hanno fatto e interrompere, morendo in un certo modo (per gli altri), la catena delle colpe che è alla base dell'uccidere e dell'uccidersi.

Ovviamente ora Gesù non è più figlio di Dio e proprio perciò l'unico in grado di immolarsi per espiare i peccati degli uomini. Ora Egli è un uomo che riesce ad accollarsi il male del mondo e a riscattarlo indicando che altri uomini potrebbero essere come lui, e trasformare così il mondo, come risulterebbe trasformato dalla presenza di uomini in grado di sopportare il male "per"(per amore di) altri. D'altra parte, se il Natale è stato influenzato dall'evoluzione di un mondo caratterizzato, come dicono i filosofi, dalla morte di Dio, ed è diventato solo una delle tante festose distrazioni dalla sofferenza e dalla morte, è altrettanto vero che ogni giorno può essere "Natale". Significa, cioè, che ogni giorno, in qualche parte del mondo, può nascere qualcuno che incarni la possibilità umana di morire non solo per sé ma anche per altri, e quindi morire quando gli tocca senza cercare di farla pagare a quelli che restano, perdonandoli per essere restati in vita, in modo che costoro, sollevati dalle loro colpe, si offrano di vivere anche per chi non c'è più.

Al di là di tutto, il mondo ne sarebbe "beneficato" più di quanto non lo sia stato dalla celebrazione della eucarestia, e Dio stesso (che forse è il Bene) sarebbe meno morto sia a Natale che a Pasqua.

Buon Natale a tutti!
 
Francesco Campione

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