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I morti sono vivi che non hanno interesse ad esistere

Ogni tanto qualcuno esce dal coma e racconta di aver incontrato i morti e di aver parlato con loro in una atmosfera di pace e di armonia. Il fatto si spiega solo ipotizzando che essi siano ancora vivi, ma che non interessi loro tornare tra noi; altrimenti sarebbero scontenti della propria condizione, si aggrapperebbero al comatoso che li incontra e vorrebbero tornare insieme a lui nella vita comune. Sono vivi, ma disinteressati ad esistere. Diversamente stavano le cose nell'antichità, come dimostra ciò che Achille dice ad Ulisse incontrandolo nell'Ade: "Meglio sarebbe essere un servo tra uomini in terra piuttosto che Achille tra i morti".
Un tempo chi viaggiava tra i morti testimoniava che essi avrebbero voluto vivere; oggi chi ha l'opportunità di incontrarli constata che stanno bene dove sono. In entrambi i casi, però, i morti sembrano lieti di intrattenersi con i vivi e di parlar loro della propria condizione. Che abbiano o meno interesse a tornare a vivere sulla terra, sono contenti di poter parlare con qualcuno che appartiene a quel mondo cui anche loro prima appartenevano. Cosa vuol dire? Potrebbe voler forse significare che continuano a condividere con i vivi una "forma" di vita?
Potrebbe essere che i morti non appartengono più alla vita (sia quando ne hanno nostalgia, sia quando non hanno alcun interesse a tornare nel mondo), ma che la vita li riguardi in quanto sono stati in vita e quando incontrano un vivo ci vedono qualcosa di ciò che sono stati. Che la vita riguardi anche i morti, e non solo i vivi, è qualcosa che interessa i vivi. Infatti ci vogliono vivi che viaggino nell'aldilà (come immaginava la mitologia greca) o che incontrino i defunti in particolari condizioni di vita (il coma o altre in cui qualcuno non è pienamente in possesso della propria vitalità: il sogno, l'ipnosi, ...). In sostanza, perché la vita riguardi anche i morti è necessario che i vivi "si sostituiscano" ad essi e diano testimonianza della propria condizione. Possono farlo solo se qualcosa della morte riguarda i vivi, solo se essere vivi significa anche essere un po' morti (così come essere morti vuol dire condividere una forma di vita).
Ma qual è la forma di morte che i vivi condividono con i defunti?
Il desiderio di fare esperienza della morte, cioè sapere cosa c'era prima di nascere (nel non-essere ancora) e cosa ci sarà dopo esser morti (nel non-essere più).
Ecco perché in tutti i tempi i morti riguardano i vivi e i vivi immaginano di incontrarli o li incontrano per davvero. E come immaginano di incontrarli e li incontrano dipende da come rispondono al desiderio di fare esperienza della morte.
Nell'antichità si rispondeva trasformandolo nel bisogno di immortalità, cioè morire diventando "dei" (cioè immortali) o almeno "eroi" (cioè immortali nella memoria). I morti in questa accezione sono vivi (e possono perciò comunicare con i vivi) perché non smettono di desiderare di essere vivi.
Nelle culture originate dalle religioni monoteistiche (Ebraismo, Cristianesimo, Islamismo) si è risposto e si risponde trasformandolo nel bisogno di eternità, cioè morire "non morendo" o "rinascendo per grazia divina". I morti in questa accezione sono vivi (e possono perciò comunicare coi vivi) perché una volta arrivati di là una forza benefica (l'amore di Dio) li ha fatti rinascere ad un'altra vita.
Nella cultura attuale il bisogno di immortalità e di eternità sono bisogni ritenuti impossibili. Esistono tre possibilità: o morire è qualcosa di biologico e non riguarda il vivente bensì ciò che del vivente è collegato con i cicli della vita in generale; o morire significa "entrare nel nulla" e di questo nulla non si può fare esperienza (con la conseguenza dell'angoscia); o tutte le soluzioni di tutti i tempi sono buone a seconda degli individui per sedare l'angoscia del nulla (il bricolage tipico delle culture new age).
I morti sono morti in senso biologico e con loro non si può comunicare, perché comunicare implica sempre che viva il Sistema nervoso (sicché gli incontri dei comatosi con i morti devono essere spiegati su base neurologica). Oppure i morti non sono più niente e quando crediamo di parlare con i morti ciò accade perché attacchiamo l'etichetta di "morto" a qualcosa che invece è vivo. Oppure i morti possono essere dei, demoni, nulla, energia, fantasie individuali, entità misteriose, illusioni che alludono al Tutto, ... . A seconda di cosa ciascuno ha bisogno, può fare un "bricolage" adatto e procurarsi ciò che gli serve per stare meglio.
A meno che il desiderio di fare esperienza della morte non sia effettivamente impossibile, non perché con la morte si entra nel nulla, ma proprio perché si può fare esperienza solo di ciò che ci appartiene e non di ciò che ci riguarda ma che appartiene ad altri. Il nulla ("di prima di nascere" e "di dopo la morte") non ci appartiene e in quanto tale non ne possiamo fare esperienza. Ma esso ci riguarda e in quanto tale è qualcosa pur non esistendo. Come qualcuno che ci chiama prima di nascere e che continua ad aspettarci dopo che siamo morti. I morti sono vivi non perché esistono o perché interessi loro esistere, ma perché ci riguardano: li aspettiamo senza sapere perché, li amiamo anche se non ci risponderanno. Quando parliamo con i morti la loro voce è quella che noi abbiamo prestato loro: non è la nostra voce, è la loro! L'abbiamo ospitata in noi per sostituirci a loro. E quando li incontriamo, il nostro desiderio di fare esperienza della loro condizione, invece di trasformarsi nel bisogno di immortalità e di eternità, nell'angoscia del nulla o in bricolage new age, può trasformarsi nel desiderio infinito che tornino non per appartenerci o per riappartenere alla vita (cosa impossibile), ma perché se uno è stato vivo non potrà mai morire finché c'è qualcuno che vive e che desidera fare esperienza del nulla.
I morti, in sostanza, rappresentano il desiderio puro e disinteressato dell'altro, al di là delle risposte che si ricevono. E non è amore questo?
Conclusione: se i morti sono vivi disinteressati ad esistere e li teniamo con noi, essi ci insegnano l'amore disinteressato per l'altro. Detto in altro modo: amare disinteressatamente significa amare gli altri anche se questi non ci rispondono (come se fossero morti!).
 
Francesco Campione


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