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La morte dei bimbi mai nati

Le conseguenze che si potrebbero determinare se venisse modificata la normativa che regola il destino delle interruzioni di gravidanza e degli aborti spontanei.

In questi ultimi mesi ha attirato la mia attenzione un provvedimento della Regione Veneto, adottato sul finire del 2017, concernente la modifica della normativa sulla sepoltura e cremazione dei prodotti del concepimento, dei prodotti abortivi e dei feti, per la cui esatta portata e interpretazione vi invito a leggerne integralmente il testo.

Molti dei lettori di questa rivista sanno che la mortalità in Italia ha già superato le seicentomila unità, ma nemmeno il sottoscritto conosceva l’entità dei bimbi mai nati: oltre 150.000 l’anno! Nella mia ormai quarantennale esperienza di gestione cimiteriale raramente mi sono occupato della questione delle sepolture dei bimbi mai nati e ben poche sono state le occasioni per approfondire questa conoscenza.

Ricordo che, a parte la lettura e lo studio delle norme statali in materia, le prime discussioni che portarono all’onore delle cronache la questione furono le scelte politiche dell’allora Giunta regionale lombarda dell’On. Roberto Formigoni, con l’approvazione di una norma pubblicizzata come una scelta di riconoscimento degli orientamenti della Chiesa cattolica per dare dignità, anche al momento della sepoltura, ai prodotti del concepimento. In realtà il regolamento per l’attività funebre e cimiteriale lombardo aumentava solo da 24 a 48 ore il termine entro il quale i genitori potevano decidere cosa fare dei prodotti del concepimento e, soprattutto, istituiva un  sistema di informazione preventivo nelle strutture sanitarie, in maniera che i genitori fossero ragguagliati e fosse loro chiesto il da farsi potendo scegliere tra cremazione e/o sepoltura in cimitero. In alternativa per i nati morti con più di sette mesi di gravidanza scattavano le procedure per la equiparazione ai cadaveri, mentre al di sotto di tale termine, solo per scelta dei genitori si procedeva alla sepoltura/cremazione individuale. Di recente ho chiesto, dopo oltre un decennio di applicazione di queste norme, quali fossero stati a Milano i risultati effettivi a riguardo e la risposta è stata che in ben pochi casi i genitori hanno manifestato interesse circa il destino dei loro bimbi mai nati. Anzi c’è una sorta di volontà di oblio.
La procedura sul destino delle IVG (interruzioni volontarie di gravidanza) e sugli AS (aborti spontanei) è un po’ la stessa in tutte le altre regioni d’Italia, visto che quasi dappertutto vale nella sua formulazione originale l’articolo 7 del Regolamento statale di Polizia Mortuaria approvato con D.P.R. 285/1990. L’unica differenza comportamentale è data dal fatto che talune regioni considerano i prodotti del concepimento sempre rifiuti sanitari e i prodotti abortivi (cioè dopo le 20 settimane di gravidanza e prima delle 28) – come parti anatomiche riconoscibili. Senza una richiesta specifica dei genitori per un trattamento individuale si entra così nel circuito normativo previsto per i materiali organici da smaltire da parte delle strutture sanitarie collettivamente come rifiuti speciali (da avviare ad incenerimento) oppure nel trattamento come parti anatomiche riconoscibili (sepolte in cimitero o cremate).
Chi ha cambiato e sta ancora cercando di cambiare in talune città questo percorso sono i vari comitati locali per la vita i quali, individuando come la stessa inizi dal concepimento, intendono dare dignità (e quindi sepoltura) già a partire dai prodotti del concepimento, indipendentemente dai genitori (o familiari in genere) che potrebbero invece optare per scelte diverse o non fare proprio alcuna scelta.Si contrappongono quindi comportamenti di soggetti titolati ad esprimersi in tempi brevissimi (i genitori o i parenti più prossimi, in caso di impossibilità dei primi) con soggetti (movimenti per la vita) che si autoproclamano come portatori nel tempo di interesse alla manifestazione del cordoglio collettivo per la perdita di questi esseri mai nati.

La recente normativa regionale veneta, parte proprio
da scelte politiche connotate in tal senso propugnate dai movimenti per la vita. Scelte che, ad avviso di chi scrive, dovrebbero anche valutare tutti gli effetti che ne conseguono, dal punto di vista sociale e sanitario, senza trascurare quelli che riguardano i cimiteri e i crematori.
Poiché è prevedibile che la normativa veneta sia presa ad ispirazione da altre Regioni in breve tempo, è bene discutere fin d’ora su quali siano le migliori scelte regolamentari, visto che se non ben studiate potrebbero avere rilevanti conseguenze. Pochi hanno capito che dare sepoltura o cremazione a tutti i prodotti del concepimento produce effetti di natura psicologica sui genitori e pone problematiche anche alla collettività relativamente alla gestione dei cimiteri e dei crematori. Questa decisione può infatti aggravare l’equilibrio psichico di coloro che hanno appena vissuto il trauma dell’esito infausto di una gravidanza inibendo il processo di elaborazione del lutto. Il pretendere da parte di un soggetto esterno di sostituirsi ai portatori di interesse primario (genitori) nelle forme di memoria dei bimbi mai nati, a me e per la mia esperienza cimiteriale, sembra una violenza nei confronti di chi ha già sofferto per la perdita della genitorialità.
Non vorrei che sull’onda di scelte spesso ideologiche si ripetesse l’errore a suo tempo compiuto sdoganando la dispersione delle ceneri e soprattutto consentendo l’affidamento delle urne cinerarie ai familiari. Scelte che oggi paiono sempre più irresponsabili, perché prese senza alcuna valutazione degli effetti che si sarebbero potuti determinare e che già da anni stanno facendo riflettere il legislatore italiano sull’opportunità di ritornare sui propri affrettati passi.
Relativamente alle conseguenze sul sistema cimiteriale e dei crematori italiani, la dimensione quantitativa delle sepolture e delle cremazioni necessarie sarebbero rilevanti. Si pensi infatti che solo nel Veneto i casi sono circa 10.000 l’anno, che diventano per l’intero Paese oltre 150.000 (dato del 2015, fonte ISTAT ASI 2017),
Tutti conveniamo sull’utilità di una informazione preventiva ai genitori circa destino del loro feto, come siamo anche perfettamente d’accordo che occorra dare il tempo necessario per prendere certe delicate decisioni. Ma occorre chiarire che i prodotti del concepimento e quelli abortivi non richiesti dai genitori debbano essere avviati ordinariamente a cremazione collettiva (e nelle Regioni dove non sono ancora diffusi i crematori, a sepoltura altrettanto collettiva). Diversamente si verrebbero a creare necessità aggiuntive di aree di sepoltura e di fabbisogno di cremazione, con oneri gestionali connessi, che si riverserebbero inevitabilmente sulla comunità.

Se poi esaminassimo il problema dal punto di vista economico, la decisione dei legislatori veneti è quanto meno bizzarra: la legge ha stanziato per l’intera regione 20.000 euro annui per questi trattamenti, ivi compresa le azioni di informazione preventiva. Ciò significherebbe che con oltre 10.000 casi l’anno, sarebbero a disposizione circa 2 euro per prodotto abortivo, ovvero quasi nemmeno il costo degli opuscoli informativi. Del tutto assenti poi le risorse per la formazione del personale capace di assistere adeguatamente i familiari, l’acquisto del contenitore, del seppellimento o della cremazione.
Altro che maggiore dignità e memoria per questi bimbi mai nati!
 
Daniele Fogli


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