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Lettera aperta a coloro i quali si chiedono se per morire esistono un momento giusto, un posto giusto, un motivo giusto...

Non sarebbe bello morire spegnendosi dolcemente come una candela alla fine di una lunga vita spesa bene? Certo, uno ha fatto tutto ciò che c'è da fare nella vita, ha provato ogni esperienza, ha avuto figli sani e amori appaganti; poi, quando tutto ciò è stato goduto fino in fondo, si può anche morire!
Ma come si fa a rinunciare alla vita se le possibilità di continuare a vivere restano intatte? Allora ci si deve ammalare, si deve aspettare che la vita si riduca ad "uno schifo" e quindi desiderare che finisca. Per poter finire una buona vita bisogna che essa non sia più buona! Sarebbe meglio non accorgersi che si sta per morire: bisognerebbe morire da vivi, di colpo, senza avere il tempo per rendersene conto.
E se, invece, morire fosse sempre un male a qualsiasi età? Come si fa a rinunciare a vivere se si sa di poter vivere una volta sola? Non sarebbe meglio una pessima vita piuttosto che nessuna vita? A meno che la morte non sia un passaggio da una vita ad un'altra, magari migliore! Ma come si fa a crederci?
La soluzione potrebbe essere quella di morire per coloro che restano, affidando loro la nostra vita e sperando che essi non vivano solo per se stessi così come noi abbiamo vissuto e siamo morti anche per loro (per i nostri genitori e amici, o anche per gli estranei). È un atteggiamento molto altruistico, ma saranno comunque sempre loro a vivere anche quando vivranno "per" noi!
E se non ci fosse un momento giusto per morire perché non vi è giustizia nel morire?
E se non ci fosse un posto giusto nel morire perché anche il paradiso, se stai per morire, può diventare un inferno?
E se non ci fosse un motivo giusto per morire perché nessun motivo vale una vita?
Allora l'angoscia sarebbe inevitabile e dominante. Con la conseguenza che forse sarebbe giusto il non pensarci, distraendosi e facendo in modo che siano sempre gli altri a morire. Ma quanto bisogna "drogarsi" per non pensare alla morte quando ci si sente morire? E come si potrebbe pensare che siano sempre gli altri a morire, non essendo boia o killer di professione?
A meno che non si sia commesso un errore a monte: dare per scontato che morire ci riguardi o che si possa morire.
Due filosofi, uno antico e uno contemporaneo, ci esortano a non commettere questo errore: Epicuro sostiene che "la morte non ci riguarda perché quando saremo morti non ci saremo più"; Severino afferma che "siamo eterni perché ciò che è non può diventare il nulla" e che "quando moriamo mutiamo semplicemente apparenza, ma questo cambiamento non ci annulla".
Peccato che si possa obiettare ad entrambi: ad Epicuro si può dire che "è da vivi che la morte ci riguarda, in quanto possibilità di non esserci più perché nega il nostro essere vivi"; a Severino si può replicare sostenendo che "per uno che appare in un certo modo non è indifferente non apparire più in quel modo: potrebbe considerarsi morto proprio perché non appare più come si era abituato ad apparire" (sarà anche matto, ma vorrebbe essere un matto immortale e non una apparenza eterna).
Insomma, pare proprio che le domande che la morte porta con sé siano destinate a non avere risposte rassicuranti.
Ecco allora apparire la vera soluzione: essere vivi significa continuare a chiedersi all'infinito perché bisogna morire pur sapendo di non poter ottenere mai una risposta definitiva. È chiaro, così, perché si muore: per riposarsi dall'estenuante domandare senza ottenere risposta. E avanti un altro!
Dopo, tocca ai nuovi arrivati alla vita porsi le stesse domande senza risposta. Ma non partono da zero, perché vi sono tutti i diversi modi di formulare le domande che, da che mondo è mondo, i vivi hanno messo in atto. E non possono che partire da lì.
Il sollievo dall'angoscia consiste nel sapere che non vi è risposta alla morte e che non si è soli nel morire, perché a tutti tocca morire e a tutti tocca chiedersi vivendo perché bisogna morire. Chiedere all'Infinito senza l'ansia o l'obbligo di dover rispondere, aiutandosi a vivere anche attraverso le generazioni senza necessariamente sapere come fare.
Non è forse proprio il non dover necessariamente sapere senza mai smettere di chiedere che rende possibile abbandonarsi alla gioia di vivere i piccoli piaceri dell'esistenza poiché il mondo sarà popolato da uomini che non avranno emergenze e che non si dovranno più difendere dalla morte perché, in fondo, non sanno come fare?
 
Francesco Campione


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