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IN MEMORIA DI MARIO LUZI

Quante ombrose dimore hai già sfiorato,

anima mia, senza trovare asilo:

dal sogno rifluivi alla memoria,

da memoria tornavi a essere un sogno,

per via ti sorprendeva la bufera.

 

 



Senza felicità, senza speranza

di quiete - ma guarda come il volto

puramente contiene il tuo destino -

a volte ti levavi rischiarata

dalla ragione, a volte ti eclissavi.

 

 



Vivi, incredibilmente ti fu dato;

esisti, come sia lo chiedo ancora

al passato, a quest'ora in cui più lieve

la montagna di sé scolpisce il sole

e la sera che il mare fugge e implora. [1946]

Tante davvero, sia nel senso concreto, sia in quello figurato di vicende ed esperienze, saranno state le dimore di Mario Luzi nella sua lunga esistenza, dalla nascita nel 1914 presso Firenze alla recentissima scomparsa, nel febbraio del 2005. Una vicenda che lo ha visto attraversare da protagonista settant'anni di vita culturale italiana, se il suo precocissimo esordio poetico nel 1935 e gli altri versi scritti nell'imminenza del secondo conflitto mondiale lo portarono praticamente subito, benché giovanissimo, ad un ruolo di maestro riconosciuto di una intera generazione di poeti, confermato poi dalla continuità del suo lavoro creativo; d'altra parte l'operosità degli ultimi due decenni, straordinaria per quantità e qualità, non fece che confermare la diffusa percezione di critici e lettori che egli fosse, e da tempo, il maggior poeta italiano vivente (e in tutto questo tempo ebbe anche modo di entrare nell'illustre e non piccolo club dei protagonisti della letteratura del Novecento che non ebbero il Nobel per la letteratura, assegnato invece al pur simpatico e bravo Dario Fo…).

Luzi ai suoi esordi era stato il maggior protagonista di quella stagione della poesia italiana, l'Ermetismo, che si caratterizzò tra l'altro per l'ardua rarefazione e per la difficoltà del linguaggio, e fu sempre un intellettuale sostanzialmente alieno dal diretto, concreto impegno politico, e poco presente nel circuito delle comunicazioni di massa; è curioso rilevare come proprio lui, e proprio nelle ultime settimane della sua vita, ebbe la ventura di trovarsi al centro di una vera e propria tempesta politico - mediatica (nonché esposto agli insulti di certe frange più degradate e incolte del ceto politico), dopo la nomina a senatore a vita: tempesta scatenata da certe disinibite osservazioni su fatti d'attualità, ma forse ricollegabile anche alle sue dure e nettissime prese di posizione a difesa dei valori fondanti della Costituzione.

Ma per tornare alla poesia di Luzi, va ricordato che il suo linguaggio poetico trovò nel dopoguerra, e specie a partire dagli anni '60, modo di trasformarsi aprendosi ad una più larga comunicatività, nel confronto assiduo con le grandi metamorfosi della storia (Nel magma e Al fuoco della controversia sono due titoli già di per sé significativi) e con una fede cristiana tanto profondamente vissuta quanto aperta al dubbio, all'inquietudine, al dialogo.

In questo quadro non poteva mancare il tema della morte, che vogliamo qui ricordare semplicemente dando voce alla poesia. I lettori di Luzi difficilmente dimenticano l'attacco di Aprile - amore [1951]

Il pensiero della morte m'accompagna

tra i due muri di questa via che sale

e pena lungo i suoi tornanti.

 

 

e tanto meno la stupenda conclusione, dedicata all'immagine dell'amore, che a quella della morte qui si collega:

L'amore aiuta a vivere, a durare,

l'amore annulla e dà principio. E quando

chi soffre o langue spera, se anche spera,

che un soccorso s'annunci di lontano,

è in lui, un soffio basta a suscitarlo.

Questo ho imparato e dimenticato mille volte,

ora da te mi torna fatto chiaro,

ora prende vivezza e verità.

 

 

La mia pena è durare oltre quest'attimo.

 

 

«A 90 anni, un poeta ha paura della morte?» gli chiese un intervistatore pochi mesi fa. «È una interlocutrice strettissima. Ma, forse, appare più minacciosa quando si è a metà strada. Poi, più ci si avvicina alla vecchiaia e meno ci si pensa, perché si sviluppa con più forza il senso della vita», fu la risposta. Eppure, già un importante testo del 1954, Nell'imminenza dei quarant'anni, così concludeva:

 

 

Si sollevano gli anni alle mie spalle

a sciami. Non fu vano, è questa l'opera

che si compie ciascuno e tutti insieme

i vivi i morti, penetrare il mondo

opaco lungo vie chiare e cunicoli

fitti d'incontri effimeri e di perdite

o d'amore in amore o in uno solo

di padre in figlio fino a che sia limpido.

 

 

E detto questo posso incamminarmi

spedito tra l'eterna compresenza

del tutto nella vita nella morte,

sparire nella polvere o nel fuoco

se il fuoco oltre la fiamma dura ancora.

 
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