Rotastyle

Tanexpo 2010

Della luce e del colore

In relazione alla predisposizione e all’allestimento della grande area espositiva dedicata da Tanexpo 2010 alle attività di ricerca nel campo funerario, ho individuato, forse per la prima volta nella storia di questa manifestazione, la necessità di aggiungere il valore del colore e la centralità dell’esperienza pittorica; la frequentazione dello spazio caratterizzato dai materiali plastici strettamente riferiti alle “tombe a terra” e alle “cappelle di famiglia” si è di fatto concretizzata attraverso l’immersione nel “viola” quale superficie di calpestamento e quindi in forma di compenetrazione-partecipazione al “colore liturgico”.
A delimitazione ultima ho posto, in un rapporto dialettico di successione, una parete di dodici metri di “pittura”. L’obiettivo è stato quello di dare allo spazio di installazione e di attraversamento il valore dell’unità attraverso il sentimento dell’immersione; si è trattato non di scindere e di separare, ma di provocare e di sostenere l’interferenza e la condivisione; il visitatore-lettore frequenta il tema non solo nella tangibilità dei volumi simbolici, ma anche nel clima più ampiamente interiorizzato dell’esperienza di vita e di morte. Sei grandi quadri ricoprono interamente la parete di fondo nell’intera sua estensione per poi giungere come attraverso un sagrato al più raccolto momento di una installazione frammentata di immagini; il colore nella pittura qualifica attraverso le opere l’esperienza tratta nel percorso tra la vita e la morte, tra il pieno ed il vuoto, tra il basso e l’alto, tra la notte e la luce, fino a disintegrare la successione cronologica iniziale portando il pensiero ad una nuova relazione tra la morte e la vita, ridisegnante rigore e rigidità nei due termini, per riconsegnare alla sensibilità il senso della ricchezza in questo processo.
Il grande muro di pittura appare nella sua articolazione e nelle diverse specificità linguistiche e cromatiche un grande inno alla Resurrezione, intesa nella più ampia estensione esistenziale del suo valore teologico; sei finestre ascensionali in cui la “lettura” è invitata ad immergersi, quasi a perdersi, a riflettere per rispecchiamento; il confronto con il colore e con la forma, nella luce e lungo le tappe della stesura, tra la parola ed il materiale, è il fattore di questo percorso nei linguaggi visivi contemporanei. Un percorso che non si arresta, che non sosta intimorito, ma che muove verso la frammentarietà intima ed individuale di un nome, di un simbolo, di un ricordo.
Ogni nuova opera visiva e dell’arte non è quindi da intendere come realtà ultima, rispondente ad un percorso finalizzato alla “conclusione” di un itinerario terreno e di accompagnamento, ma come valore individuale di ritorno, rete che recupera, ricordo che vive lungo la propria composizione attraverso la stessa rinascita nella fruizione. L’opera d’arte che si pone all’interno di tale confronto promuove attraverso l’atto della “creazione”, lungo il percorso intuitivo e l’emozione espressiva, la vita nella morte stessa, la sua nascita, il suo stare nello sguardo, nel gesto e nel segno, nel percorrere. Ogni opera d’arte conferma e segnala alla riflessione attenta il valore della sacralità nella creatività per sua intrinseca natura processuale ed all’interno di ogni dipendenza tematica, tra soggetti formali ed apparati; così il percorso che collega la vita e la morte, il loro sviluppo nel comportamento dell’agire e del subire la scomparsa, del vivere l’esperienza dell’essere e della perdita, è percentualmente incluso ed estraibile attraverso la mirata installazione in ogni opera d’arte.
Questa esperienza si è collocata in un rapporto di continuità, di studio e di ricerca, teorica ed operativa, nel territorio del sacro, antropologico e teologico, che conduco insieme a quei tanti che compongono il Dipartimento di Arte e Antropologia del Sacro dell’Accademia di Brera. Si tratta di allargare lo sguardo caleidoscopico fondato sull’incidenza sensibile e culturale dei linguaggi visivi lungo ed all’interno di un borderland del sacro; se la casa di Chiesa, dal sagrato al presbiterio, appare straordinario luogo esperienziale di un’arte interprete responsabile e significativa del pensiero teologico, dell’azione liturgica e più intimamente dell’esperienza spirituale, se il colore e la luce hanno consegnato all’arte, così come alla musica, il valore di un’ulteriore percorso nello spazio consacrato, anche lo spazio consacrato alla Morte appare straordinariamente luogo di colore e di luce. I grandi cicli ad affresco, le estese superfici marmoree, la policromia dei mosaici e la piastrellatura delle grandi decorazioni in ceramica, ovunque distribuite insieme alle architetture ed ai monumenti funebri, aprono, nella stagione contemporanea, all’affermazione della luce e del colore, della pittura e del disegno; perché i tanti “luoghi consacrati”, dalle chiese ai cimiteri, ma anche dagli ospedali alle scuole (consacrati alle funzioni collettive che nel bello vede la condivisione del bene) vadano perdendo quella fredda asetticità che solo la luce ed il colore sono in grado di tornare a consegnare alla sensibile frequentazione dell’uomo.
 
Andrea B. Del Guercio
Direttore Dipartimento Arti e Antropologia del Sacro
Accademia di Belle Arti di Brera

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