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Il Jolly Nero contro la torre del porto

Martedì 7 maggio 2013. Manca mezz’ora alla mezzanotte, anche in quel porto di Genova che non dorme mai: bastimenti che entrano e che vanno, carico e scarico di gente e di merci che attraversano i mari nel nome del mercato fin dal tempo dei Fenici. Di colpo, uno schianto devastante distrugge cose, progetti e, soprattutto, vite non ancora pronte per essere strappate al proprio tempo.
L a nave, incolpevole arma di un errore, centra in pieno la torre di controllo che, trappola mortale, si inabissa con il suo carico di lavoratori ignari e innocenti. Un fatto scellerato, inaspettato cordoglio, plurimo e tremendo. La nave ha distrutto il molo. È il risultato di un evento imprevisto, ha un nome quasi banale che accomuna le avversità nel vocabolo “incidente”. L’incidente fisico è un momento in cui si concentrano errori, distrazione, limiti e dilettantismo dell’essere umano. Sono molto rari i casi da imputare alla casualità o, ancor peggio, a un calcolo di probabilità: propaggini dell’ipocrisia e del fatalismo spiccio, superficiali scorciatoie della coerenza. L’incidente non è un evento naturale, accade per un difetto umano. In molti casi il risultato è sangue di chi muore e lacrime di chi resta. L’incidente, talvolta è definito stupido, ma faccio fatica a trovarne uno intelligente. Opposta è la colpa di chi ne risulta responsabile, ancor più se nega o si sottrae. Jolly Nero è il nome di un mercantile: 60.000 tonnellate, ma per quanto grande sia, da solo non sbaglia. Jolly Nero sono 250 metri di lamiera portate a commettere un errore di retromarcia; non ha stesso valore di una utilitaria che sbaglia parcheggio, ma la traiettoria è simile. La dinamica è spesse volte quella serie di circostanze che rendono un incidente tragico e atipico: quando accade per mare, per dimensioni e luogo, è quasi sempre un evento insolito quanto fatale. La storia della marina ci restituisce sempre l’incidente nella sua fallace origine umana. È sempre colpa di un errore, di una decisione fatale, di un ostacolo che occorreva prevedere, di prudenza ignorata, di difetti costruttivi, di malintesi tra esseri umani o tra uomini e natura stessa.
Il mercantile ha colpito la torre e il suo personale incolpevole: è stato un disastro. È toccante immaginare i momenti di terrore, l’insostenibile stupore dell’uomo impreparato a dover morire in quel momento, quando nulla poteva darlo a immaginare. L’incidente è un ladro di sogni, di gesti, di vite, ma non solo: si nutre di dolore, di incredulità, di grande sofferenza nell’attimo in cui accade e nei cuori di chi resta. Ora si cerca di comprendere, di dare un senso a ciò che senso non ha: è solo il risultato di un terribile errore che, prima o poi, si capirà. Qualcuno verrà indagato, qualcuno pagherà, ma gli effetti dell’incidente rimangono per sempre.
Jolly Nero è il nome di una nave che ha scaraventato in mare la torre di controllo di un grande porto mercantile. È quasi difficile immaginare come possa essere accaduto in un luogo talmente impegnativo e controllato, ma l’incidente aumenta le sue probabilità in ogni contesto reso complesso dalla mano dell’uomo. Dopo ogni disgrazia si contano i morti, anche uno soltanto “sono già tanti”. A Genova si cercano le responsabilità nei comandi degli ufficiali, nei sistemi della nave, tra le manovre dei rimorchiatori: qualsiasi siano, nessuno tornerà a vivere, mentre una città intera è sbigottita e piange i suoi morti. Una città che conosce il mare si è stretta su di loro, commossa, incredula e unita. Questo è un gesto umano da condividere appieno: la morte non ama né applausi né comizi strumentali, non approva lo spettacolo dei telegiornali. La morte da incidente è molto cattiva, lo sa, forse anche per questo anch’essa china il capo, talvolta un po’ pentita di fronte al sentimento dell’umana solidarietà. Giusto è indagare, indignarsi e piangere, giusto è tentare di rimediare affinché, in quel luogo, un fatto così tremendo e devastante non si verifichi mai più. Sbagliato è pensare che non ci tocchi mai più incappare in altro. Il vivere stesso è una avventura pericolosa, non per questo non adoriamo farlo ugualmente e lo rendiamo sovente più eccitante aumentando di proposito non pochi dettagli con plurimi fattori di rischio. Morire così, sul posto di lavoro, centrati da un gigante senza controllo, è differente; ma analizzando la complessità del porto e tutti i suoi mostri con distacco, non erano pochi gli ipotetici errori umani in agguato. E chi ha sbagliato, ne soffrirà. Jolly Nero, il colosso, il mercantile ha fallito la manovra, non è facile fermare l’abbrivio di una massa così imponente, la nave ha centrato la torre che è sprofondata nel mare. Da quando è iniziato l’errore, nulla lo avrebbe mai potuto fermare. È impressionante, è quasi disumano nella sua dinamica distruttiva, matematica e perfetta. Lasciandosi coinvolgere da altre ipotesi, considerando anche il dannato momento del cambio di personale, non è peccato scomodare qualche sinistro disegno del male o di un destino perverso, altrimenti perché tante volte ci troviamo a pregare o strofiniamo un amuleto portafortuna? Essere stato battezzato Jolly Nero, per un pacifico cargo, di certo non c’entra col concetto di incidente, ma alla luce dei fatti non è nemmeno un bel nome e le leggende che accostano grandi disastri sono piene di strane sinergie. Di sicuro oggi una città è unita nel grande dolore, di sicuro molte famiglie piangono inconsolabili lutti e di sicuro, in altro modo, il disastro all’ingresso del porto avrebbe potuto non accadere mai. L’incidente non esiste in natura: è frutto di un errore umano e anche quando la sua crudeltà si palesa per somma di improbabili simultaneità è arbitrario immaginare la mano di un altro oscuro disegno. Non vi sono prove e ai tempi nostri, forse, nessuno osa più crederci. Incidenti: indaghiamo e preghiamo perché non accadano più!
 
Carlo Mariano Sartoris


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