- n. 11 - Novembre 2011
- Recensioni
Nell'opera di Michael Daugherty
"JACKIE O": UNA ICONA DEGLI ANNI '60
Il termine Pop Art è indissolubilmente legato al nome di Andy Warhol e alle sue icone riprodotte in serie: Marylin Monroe o la scatoletta Campbell, segni di una cultura di massa in cui tutto, cose, immagini, persone, può essere consumato. Sì, forse. Pop Art è questo, ma non solo. A tale incredibile movimento artistico, che più di ogni altro ha segnato la seconda metà del secolo scorso, si ispira la produzione di un importante compositore contemporaneo, Michael Daugherty. Tra i più rappresentati e richiesti fra i compositori viventi, Daugherty spicca per l’originalità della sua produzione, ispirata all’iconografia pop e all’immaginario ad essa connesso, rivendicando allo stesso tempo la sua natura di musica “colta” da concerto.
Statunitense, nato nel 1954 nello Iowa da una famiglia di musicisti, ha una formazione accademica di tutto rispetto che lo ha portato a condurre studi specifici in Europa, con György Ligeti ad Amburgo e con Pierre Boulez all’Ircam di Parigi. Dopo aver conseguito il dottorato a Yale, è diventato professore di Composizione all’Università del Michigan. La formazione di Daugherty spazia anche in generi diversi, quali il jazz e il rock, ai quali deve i suoi esordi. Come uomo del nostro tempo, quindi, è specchio di diverse anime che convivono al suo interno come nella sua musica. Ha collaborato con alcune tra le più importanti orchestre degli Stati Uniti ed ha vinto numerosissimi premi, non ultimi i tre Grammy conquistati proprio quest’anno dalla sua Metropolis Symphony e da Deus Ex Machina e tra i quali spicca il riconoscimento quale migliore composizione classica contemporanea. Un esempio di soggetto curioso per la cosiddetta musica “colta”: Metropolis Symphony è ispirata alla storia di Superman, l’eroe dei fumetti. Daugherty afferma che l’icona è per lui fondamentale per suscitare l’emozione che lo porterà alla composizione di un nuovo lavoro. La sua musica nasce dalle sensazioni che gli regala la vita di tutti i giorni, quella di un americano che gira il proprio Paese, ne raccoglie le storie e ne respira continuamente la cultura: “come Ives e Mahler, uso le icone nella mia musica per creare un comune contesto di riferimento tra il compositore e il pubblico”. Così nascono opere come Metropolis Symphony e Bizarro ispirate a Superman; Desi dedicata a Desi Arnaz, interprete del personaggio televisivo Ricky Ricardo della serie tv degli anni Cinquanta "I Love Lucy"; Rosa Parks Boulevard in ricordo dell’icona dei diritti civili degli Afroamericani, Rosa Parks; UFO, ispirata agli strani avvistamenti diventati quasi un’ossessione nell’America del dopoguerra; e ancora Niagara Falls, Spaghetti Western, Mount Rushmore e infine Elvis Everywhere, dedicato naturalmente al re del rock.
Nella vasta produzione di Daugherty occupa un posto di primo piano l’unica opera scritta dal compositore: Jackie O, dedicata a Jacqueline Bouvier in Kennedy e successivamente in Onassis. Inutile dirlo: Jackie è icona degli anni ’60 per eccellenza, tanto da essere stata immortalata anche dallo stesso Andy Warhol. È proprio su una delle sue leggendarie feste che si apre la scena: Jackie partecipa alla serata, in cui spiccano altri personaggi come Grace Kelly e Liz Taylor, ma non si rassegna alla recente perdita del marito, John Fitzgerald Kennedy. In quel frangente conosce quello che diverrà il suo secondo marito, l’armatore greco Aristotele Onassis. La seconda parte dell’opera si svolge sull’isola greca di Skorpios: Jackie è già diventata una Onassis. L’incontro con Maria Callas le farà aprire gli occhi e le farà acquisire la consapevolezza di non aver dimenticato il primo marito, ma anche che è necessario reagire e tornare a vivere nella realtà. L’originalità del lavoro non sta certo nell’intreccio, che non poteva rivelare niente che non fosse già noto, ma nella musica e soprattutto nell’incontro tra linguaggi diversi, che danno vita a una vera e propria “opera pop”, come l’ha definita lo stesso autore nelle note alla composizione: “La definizione giusta di Jackie O è quella di opera pop, che esplora l’interazione tra linguaggi colti e popolari della cultura americana, grazie anche al mio passato di musicista rock e jazz”. L’incontro tra Jackie, che rappresenta la cultura alta, e Onassis, che nonostante la sua ricchezza resta un uomo volgare, produce effetti di senso molteplici che Daugherty sintetizza così: “in Jackie O coniugo le due anime della mia musica per catturare il mistero, la tragedia e la seduzione della più desiderabile e raffinata star del jet set; una miscela tra cultura alta, corrispondente alla regale Jackie, e bassa, incarnata dal rude e volgare Onassis”. Non è un caso quindi che le arie cantate da Jackie siano drammatiche e molto espressive, mentre quelle di Onassis abbiano un “Vegas sound” come lo definisce Daugherty, ispirate a Dean Martin o a Sammy Davis Jr., membri dei Rat Pack.
Daugherty parla di Jackie come farebbe un innamorato e in effetti l’opera è un magnifico omaggio alla donna oltre che all’icona. Sullo stesso terreno sembra muoversi anche l’autore del libretto, Wayne Koestenbaum, che condivide con il compositore l’ossessione/passione per la cultura pop anni sessanta e naturalmente per Jackie: nel 1995 aveva pubblicato Jackie under My Skin: Interpreting an Icon. Il testo dell’opera è costruito intorno all’archetipo di Orfeo ed Euridice, uno dei miti più noti dell’antichità. Dopo la morte dell’ amata Euridice, Orfeo scende nell’Ade per riportarla in vita, ma proprio quando sembra esserci riuscito infrange l’unico divieto che gli è stato imposto per compiere la sua impresa: voltarsi indietro a guardare la sua amata prima di essere fuori dal regno dei morti. Nell’opera Jackie diventa Orfeo e JFK è naturalmente il suo amore perduto. Il passaggio nell’Ade diventa il matrimonio con Onassis che si paragona a Dio e che le impone di non voltarsi mai indietro. Cosa che Jackie non riesce a fare: proprio per questo è costretta a lasciar andare il ricordo del marito morto e a tornare a vivere.
L’ouverture è costituita dall’aria Jackie’s Song, un leitmotiv che si ripeterà in diverse versioni per tutta l’opera. Dal punto di vista musicale i due atti sono molto diversi: il primo è corale, sono molti i personaggi che partecipano alla festa e per ognuno è ben definito uno stile musicale; il secondo, invece, è dominato dalle due soprano, Jackie e Maria Callas. La scena della festa è caratterizzata da una contaminazione di generi: Liz Taylor canta nel tono blues dei riff della Gatta sul tetto che scotta, Grace gorgheggia alla Doris Day, e la voce di Warhol propone ripetizioni modulate come riflesso della sua arte seriale. Le svolte drammatiche del plot vengono rappresentate attraverso la forma del duetto: nel primo atto, Jackie e Warhol e poi la Callas e Onassis; ma è nel secondo atto, con il “Flame Duet”, che tale processo raggiunge l’apice. Jackie contro Maria, in un tour de force per soprani, due icone del loro tempo e due mondi che si scontrano. Ultimo duetto dell’opera è quello finale tra Jackie e il fantasma di JFK, che le chiede perdono sull’aria di Jackie’s Song.
L’opera fu
composta da Daugherty tra il settembre del 1995 e il febbraio del 1997,
su commissione della Houston Grand Opera. Fin dalle prime rappresentazioni registrò un
enorme successo, tanto da essere stata ripresa in Canada, in Francia, in Svezia. In Italia è arrivata nel 2008, grazie alla produzione del Teatro Comunale di Bologna in collaborazione con il Teatro Rossini di Lugo. Per comprendere in breve tempo il mondo di Daugherty, il consiglio è quello di dare una breve scorsa al suo sito ufficiale
(http://www.michaeldaugherty.net): spicca inevitabilmente l’iconografia pop e sono moltissimi i contenuti disponibili, tra i quali il meraviglioso allestimento italiano di Jackie O.
Sara Sacco