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Covid, l'aspettativa di vita precipita

Dopo dieci anni di trend in crescita, la speranza di vita media si riduce di 1,2 anni a livello nazionale.

Per la prima volta dopo dieci anni di trend positivo registrato fino al 2019, l’aspettativa di vita in Italia cala di 1,2 anni.
A renderlo noto nel proprio report annuale è l’Istat che ha pubblicato l’ottava edizione del Rapporto sul Benessere Equo e Sostenibile. A gravare su questo repentino peggioramento, la pandemia da Coronavirus che si è abbattuta sulla popolazione mondiale e, quindi, anche su quella italiana in modo importante.
La pandemia da Covid però non ha avuto un forte impatto solamente sull’aspettativa media di vita che è calata in modo consistente (se non drammatico in alcune province, come vedremo più avanti), ma anche sulla qualità di vita degli italiani.
Dal rapporto Istat infatti si evince che peggiorano i dati sulla salute mentale della popolazione, così come diminuiscono i posti letto negli ospedali. Infine, il 10% degli italiani nell’ultimo anno non è riuscito a curarsi rinunciando alle prestazioni sanitarie per “difficoltà di accesso”.

L’impatto del Coronavirus sulle strutture ospedaliere, assistenziali e sanitarie è stato devastante: medici e infermieri si sono trovati davanti a un’emergenza nuova per cui nessuno era preparato e sono stati costretti a turni massacranti, sia fisicamente che psicologicamente, dovendo lavorare nei primi mesi della pandemia senza avere protezioni adeguate e senza un protocollo sanitario da seguire. Come loro, anche gli operatori del settore funebre si sono ritrovati a dover gestire numeri e servizi straordinari che sono perdurati per mesi, fino a quando la prima ondata non si è leggermente ridimensionata dopo i primi mesi di lockdown.
Infine la popolazione è stata costretta a cambiare drasticamente, e nel giro di poche ore, le proprie abitudini e il modo di vivere la propria socialità per arginare il contagio e per ridurre la pressione sulle strutture sanitarie. Tutta questa situazione ha inciso in modo devastante sull’aspettativa di vita e sul generale stato di salute fisica e mentale della popolazione.

Aspettativa di vita: i dati

Come premesso all’inizio dell’articolo, i dati sono sconcertanti: nel giro di 12 mesi l’aspettativa di vita è calata a livello nazionale di 1,2 anni: da 83,2 anni del 2019 il dato scende a una media di 82 anni (79,7 per gli uomini e 84,4 per le donne) del 2020. L’inversione di rotta è evidente e appare ancora più netta se si pensa che tra il 2010 e il 2019 il trend era stato particolarmente positivo.

L’incidenza del Covid-19 sul peggioramento della speranza di vita è evidente soprattutto se si vanno ad analizzare i dati provincia per provincia: quelle più colpite dalla pandemia e che hanno registrato il maggior numero di positivi e di morti sono anche quelle in cui l’aspettativa di vita è precipitata. Nella provincia di Bergamo che ha subito l’onda d’urto del Covid forse più di ogni altra zona, il dato scende a -4,3; a Cremona e Lodi a -4,5, seguite da Piacenza con -3,8. Fu in quelle zone sul confine tra Emilia e Lombardia che scoppiarono i primi cluster e vennero istituiti i primi lockdown. La Lombardia risulta infatti la regione con il peggior dato a livello nazionale: -2,4 anni (da 83,7 a 81,2), seguita da Valle d’Aosta (-1,8 anni), Marche (-1,4 anni), Piemonte (-1,3 anni) e Trentino Alto Adige (-1,3 anni). In generale il calo maggiore si registra al Nord con un’incidenza che diminuisce progressivamente al Centro e che migliora al Sud.

Non va bene nemmeno in Liguria, in Puglia ed in Emilia Romagna dove l’aspettativa di vita cala di 1,2 anni. Leggermente meglio al Sud dove in Abruzzo e Sardegna scende di 1 anno mentre in Basilicata e Calabria rimane quasi invariata. Unica provincia che non risente del dato negativo è Siena.

Il trend in diminuzione nell’aspettativa di vita si protrarrà ancora a lungo secondo l’Istat e riportarlo in positivo richiederà molto tempo.

Salute mentale in peggioramento

L’isolamento forzato dei mesi di lockdown e il divieto di vivere normalmente la socialità hanno avuto conseguenze pesanti sulla salute mentale della popolazione. Dagli anziani che improvvisamente si sono ritrovati chiusi in casa o nelle RSA lontano da figli e nipoti ai giovani costretti a rinunciare alla scuola e alla compagnia degli amici; dai lavoratori che sono stati lasciati senza un impiego o che sono stati obbligati a svolgere il proprio lavoro da casa ai fidanzati e partners che per mesi interi sono rimasti divisi da confini provinciali e regionali, la solitudine è stata compagna indesiderata di gran parte della popolazione.

Nel rapporto emergono dati in peggioramento per gli over 75 di entrambi i generi ma anche tra le persone che vivono da sole nella fascia 55-64. Anche le donne tra i 20 e i 24 anni figurano tra le persone che hanno risentito maggiormente di questo peggioramento e in generale le regioni più colpite sono quelle del Nord.

L’accesso alle cure

Un dato da analizzare perché particolarmente allarmante è la difficoltà di accesso alle cure che ha riscontrato il 10% della popolazione. Un italiano su dieci ha infatti dichiarato di aver rinunciato o aver dovuto rinunciare a visite e prestazioni mediche nell’ultimo anno perché l’accesso alle cure era diventato troppo difficile. Il 50% di chi ha rinunciato a curarsi ha inoltre dichiarato che i motivi di questa decisione erano legati alla pandemia. Un dato sicuramente preoccupante se si pensa che nel frattempo, tra il 2010 e il 2018, i posti letti nei reparti a elevata intensità assistenziale sono calati da 3,51 a 3,04 per 10.000 abitanti.

Il rapporto Istat fornisce una fotografia esaustiva sulle conseguenze che la pandemia e il suo impatto sociale stanno avendo su numerosi settori del paese. Aspettativa di vita in forte calo, salute mentale a rischio, difficoltà di accedere alle cure: un peggioramento generale della qualità di vita che durerà almeno fino a quando l’emergenza non sarà gestibile sotto tutti gli aspetti.
 
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