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La scomparsa di larry hagman, il J.R. di "Dallas"

Ha interpretato serenamente la sua ultima puntata

Eravamo all’inizio degli anni ‘80 e la tv commerciale era atterrata dentro ai video partendo da lontano, proponendo una vera e propria rivoluzione per noi, popolo di italici figli di mamma Rai. In quegli anni anche la gente di una certa età tornava a casa per guardare le imprese di Ufo Robot e altri cartoni animati giapponesi. Fra le tante novità arrivarono i telefilm, molti dei quali riproposti ancora adesso, ma il fenomeno “Dallas” fu una calamita alla quale in pochi si sottrassero.
L’epopea di Dallas e dei suoi personaggi, accuratamente selezionati per rapire i telespettatori e per trascinarli tra intrighi farciti di inganni, di soldi e di sentimenti, incontrò subito un enorme seguito. La trama era semplice: c’erano i buoni e i cattivi, belle donne in conflitto fra loro, padri e madri a cercare di tenere uniti i figli. Il tutto condito da opulenza, cavalli, petrolio, sospetti, tradimenti e, su tutti, una patina di infelicità che luccicava sulle storie e sui protagonisti. Sue Ellen, Bobby e Pamela diventarono presto personaggi e nomi di quotidiana conversazione, ma uno su tutti, il cattivo J.R., è certamente il personaggio che è rimasto maggiormente impresso nella memoria e nel tempo.
Larry Hagman, attore già specializzato nel genere telefilm, nella saga interpretava la parte dello spietato, cinico petroliere J.R. Ewing, arrivista rampollo di una ricca dinastia, sempre pronto a escogitare diabolici espedienti per raggiungere successo e soldi facendo le scarpe a tutti, compresi i suoi fratelli e tutti i membri della famiglia che abitava in un bellissimo ranch. Pareva un soggetto originale: altro non era che una versione USA, aggiornata al loro modo e al loro tempo, di tanti romanzi classici ispirati dal perenne confronto tra il Bene e il Male.
Esaminando il fenomeno da un punto di vista popolare, fu la prima volta in cui gli italiani si chiesero perché J.R. non si pronunciasse come era scritto, ma il cattivo Larry divenne subito “Geiar” per tutti gli appassionati di Dallas, capostipite di tutta un’altra serie di televisivi polpettoni basati sempre sul medesimo antagonismo: i ricchi buoni contro i ricchi cattivi, in una famiglia di ricchi che, alla fine, tanto contenti sebbene ricchi non risultano mai, così il telespettatore è appagato di appartenere a un ceto medio basso sapendo che “anche i ricchi piangono”!
Con il tempo la formula è diventata abusata e poco credibile. Pur contando una folta schiera di fedelissimi, lentamente ha perso il proprio fascino, ma non l’attualità. Quel che accade in America anticipa il fenomeno europeo di una decina d’anni. In quegli anni il nostro Paese era ancora popolato da un discreto numero di persone non inquinate dall’arrivismo e dall’individualismo interpretati dal “perfido J.R.”: sguardo freddo, sorriso sinistro, sigaro cubano e l’immancabile cappello texano, per questioni di interesse andava a letto con tutte, tradiva la fiducia di fratelli e amici, rovinava i concorrenti senza pentirsi di averli spinti al suicidio. Una vera canaglia per la gente di buona famiglia! J.R. era simpatico a pochi e tutte le volte che qualche losco disegno gli veniva negato dal cavaliere bianco di turno, l’italico popolo della televisione era contento. Nel frattempo, mentre le serie tv si sono avvicendate, il modello americano è sbarcato sulle nostre coste sotto forma di realtà: oggi, se guardo avanti voltandomi indietro, mi rendo conto che, sebbene in forma meno petrolifera, Dallas è molto più vicina a noi. In una trentina d’anni, dalla concorrenza industriale alla pubblica gestione, dalla politica alle responsabilità individuali, delle banche allo smaltimento dei rifiuti, dalla delinquenza minorile a quella organizzata, dal comportamento in famiglia al rispetto per le cose, per le ideologie e per la vita stessa, in Italia molte e vecchie abitudini si sono evolute.
Dallas era l’America lontana e J.R. un vero bastardo nato sotto il segno del dollaro, cattivo esempio materializzato in questa nuova, nervosa civiltà europea che, adesso, è fatta di gente molto americana che fa il brunch, che segue Wall Street, che fa fitness e che sogna l’urban cruiser. Eravamo più provinciali trent’anni or sono: le macchine, le ville, le bionde e le ambizioni erano più modeste e ci si indignava quando veniva oltrepassato un ipotetico livello concesso al malcostume dalla morale comune. Ma, forse, si sorrideva di più e non si stava affatto male.
Mentre scrivo, tornando indietro con la mente, mi sorprendo a pensare alla mia famiglia piccolo borghese: a mio padre, uomo dal gesto sapiente, e a mia madre, che essendo la maestra, era molto rispettata. Non posso evitare di ricordare mio zio Livio, morto qualche giorno fa, invitando tutti ad andare a far festa. Sono l’ultimo maschio rimasto e nessuno somigliava al perfido J.R.. Eravamo una famiglia poco americana, educata, scherzosa, quasi bella e quasi unita. Nessuno ha mai tramato, non più di tanto. All’età di 81 anni, dopo un imprecisato numero di puntate, J.R. ha infine abbandonato la scena. Larry Hagman è deceduto e di lui ora si dice non fosse poi così cattivo. Di sicuro ha interpretato bene quel ruolo e per il suo futuro celeste c’è da sperare che, lassù, la folla, i subalterni e il principale non si siano troppo appassionati a certe serie tv.
 
Carlo Mariano Sartoris




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