- n. 10 - Ottobre 2010
- In ricordo di...
La scomparsa di Sandra Mondaini
Insieme, nel giardino degli artisti
Può sembrare quasi blasfemo provare un sommesso senso di piacere all’annuncio di un triste evento, un decesso prevedibile e quasi annunciato da quel grido di smarrimento che perforò il video. Quel grido immortalato dalla telecamera ancora echeggia tra le navate della chiesa che accoglieva le spoglie mortali dell’uomo che fu Raimondo Vianello. Lei, malata, piccola, smarrita e minuta gridava il nome del marito e nient’altro attorno sembrava esistere. Sandra gridava il suo nome come se ancora l’uomo fosse nell’aria, come se ancora lo sentisse accanto, incredula e disperata, infinitamente tenera. È stato un momento collettivo e popolare di grande commozione. Il mio cuore, forse troppo schietto e sincero, avrebbe voluto che anche la sua storia finisse lì, insieme come per 48 anni è accaduto nel mestiere del vivere. Forse sembrerà cinico e ancor meno cristiano scrivere, su queste pagine che discutono di sonno eterno e che si inoltrano tra i misteri dell’aldilà, parole buone per lei, per la livella democratica che, in questo caso pubblico e mondano, ha fatto una cosa buona. Ha riunito le due parti di un unico insieme, due vite che all’occhio frivolo dello spettatore non potevano l’una distante dall’altra procedere in terra e, a maggior ragione, inoltrarsi nel mistero del “trapassato futuro”.
Sandra Mondaini si è ricongiunta al suo partner di tempo e di mestiere, di modi e di eleganza, raccolta dalla pietosa mano del morire. Mi viene da pensare che, senza di lui, la noia e la barba d’essere rimasta sola fossero diventate un peso insostenibile, una solitudine interiore che, tante volte e per molto meno, è ben più crudele della morte stessa. “Casa Vianello” invece è sempre viva: continua ad essere rappresentata nella selva di canali televisivi che il nuovo digitale terrestre ci ha imposto, facendoci credere che si tratta quasi di un regalo. Va in onda al mattino, verso le 10.30. Purtroppo e per fortuna c’è. Obbligato dalla mia invalidità ad impegnare alcune delle prime ore del giorno per fare ciò che gli altri sbrigano in un breve lasso di tempo, prima di essere aiutato ad alzarmi da quel letto che è la mia prima casa, navigo almeno lì, tra quei tanti canali. Per me, ormai anche uomo di teatro, e per i miei gusti antichi che amano un certo modo di fare, è inevitabile godere ancora una volta quegli sketch fino in fondo. Mi soffermo a osservarli con occhio più diligente, oggi pieno di rispetto e di ammirazione nuova. Lascio che la mia attenzione si lasci assorbire da ogni gesto, da ogni sguardo. Lo schermo non tradisce le aspettative: tanti piccoli e nuovi particolari rinnovano il sottile piacere che sapeva emanare quella bella coppia di spettacolo. Ringrazio la televisione per questo, ma dentro me sentivo che mancava qualcosa, quel ricongiungimento che avrebbe reso finalmente compiuto ciò che è un doveroso omaggio dal quale apprendere sfumature e trucchi. D’ora in poi lo spettacolo mi sembrerà più completo.
Sandra Mondaini è ritornata a casa, una casa in un ipotetico altrove, ma che non poteva rimanere semivuota troppo a lungo. Non è questo il luogo per glorificare la carriera artistica di una pur brava attrice. Non è questo il momento di elencare un interminabile inventario di eventi e di collaborazioni legati al mondo dello spettacolo. È il tempo della solidarietà e della riflessione. Sandra Mondaini, da un punto di vista professionale, è stata sicuramente una donna fortunata, icona di quei momenti magici della rivista, del teatro e del cinema: sapeva strappare un sorriso dal quale c’è ancora molto da imparare e al quale in molti astutamente attingono. Tempi della nuova arte legati al fraseggio, al miraggio, al motteggio, all’eleganza, alla ineguagliabile, pionieristica epoca del bianco e nero, quegli indimenticabili anni ’60 e ’70 che, forse a causa di un senso di vuoto, stanno tornando di moda. Non è nostalgia, è una realtà ormai quasi violenta. Il vuoto incolmabile non è di una sola persona, è quello di un’epoca che perde ad uno ad uno i propri eroi, lasciandoci in cambio improvvisati idoli senza arte, musica sincopata, scintillanti luci plastiche, dialoghi superficiali, spesso rozzi e roboanti, ragazze spoglie e davvero provocanti: nuove icone del nuovo cabaret, ma quello che è stato, purtroppo, manca sempre più.
Sandra Mondaini fa parte di quello staff di grandi e piccoli mostri sacri, intoccabili animali del palcoscenico, artisti sempre più rari, ricordati dai superstiti di quell’epopea con parole importanti, profonde e sincere, accompagnati da sguardi lontani di occhi languidi e tristi. Da sognatore e novelliere quale sono mi piace immaginare che esista un giardino per gli artisti, là dove Sandra e Raimondo ora siano davvero riuniti in qualche punto assai vicino dell’universo. Nuovamente uniti così come hanno lasciato a noi la loro immagine: lui, il gatto sornione, il giornale sportivo tra le mani, le sopracciglia a fare dialogo con un ironico, impercettibile gesto; lei, la cocorita cinguettante, sempre attenta, sarcastica, pungente. Quella moglie che non vorresti mai, ma della quale non potresti fare a meno. Li immagino così e fin quando vive un ricordo nessuno ha mai lasciato questo mondo completamente. Sono sicuro di non essere il solo a credere in questa impalpabile energia. A domani, Sandra! Alle 10.30, sintonizzato stesso canale di qualche mese orsono, sorriderò pensando a quanto ho scritto. Mi perdoni chi la pensa in altro modo, ma d’ora in poi ti guarderò con un cuore più leggero, più contento. Le due metà di un unico insieme hanno riacquistato il loro ruolo, il loro senso: quel grido d’amore disperato che riempiva la navata della chiesa, quel richiamo drammatico e commovente, ora mi appare quale era veramente.
Carlo Mariano Sartoris