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All'inferno, in una tomba infuocata

Sappiamo che la Divina Commedia di Dante narra l'immaginario viaggio del poeta nei tre regni dell'oltretomba; protagonisti ne sono le anime dei defunti, e i luoghi in cui siamo trasportati leggendola non appartengono a questo mondo. Eppure Erich Auerbach, forse il più grande studioso di Dante del secolo appena trascorso, ha potuto intitolare il suo primo lavoro sul nostro maggior scrittore "Dante poeta del mondo terreno". E in effetti è proprio così: attraverso le storie dei suoi personaggi, nelle loro vite che vengono rievocate, nei gesti cruciali che ne determinarono la dannazione o la salvezza, è tutta la realtà concreta, terrena, del nostro mondo e della nostra vita che viene inesauribilmente descritta, raccontata, giudicata, sia pure allo scopo di metterla continuamente a confronto con la dimensione ultraterrena ed eterna della giustizia divina. E nella rappresentazione stessa dei luoghi dell'oltretomba, nell'Inferno e nel Purgatorio, Dante coglie spesso l'occasione per inserire nella descrizione il riferimento a luoghi, oggetti, situazioni della nostra realtà mondana.
Ogni aspetto della vita dell'uomo si può dire dunque che sia rappresentato nella Commedia, e non potevano mancare riferimenti relativi a quell'aspetto della vita dell'uomo che è la morte, e agli oggetti e luoghi ad essa connessi; ad esempio, la tomba. È quanto accade alla fine del canto IX, in cui Dante e la sua guida, Virgilio, varcata non senza difficoltà una cinta di mura, entrano nel ‘basso inferno' – dal sesto cerchio in giù – quello dove si puniscono i peccati più gravi, perché commessi con un contributo più rilevante della ragione. Quale paesaggio immagina il poeta che si presenti ai suoi occhi? Facciamo un passo indietro, dalla letteratura alla concreta realtà geografica.
Ancor oggi nella Francia del sud, nei pressi di Arles, possiamo vedere ciò che rimane di un antico sepolcreto romano (divenuto poi un cimitero cristiano), già famoso all'epoca del poeta, così come ben nota era la necropoli, ricca di ben settecento sepolcri, che si trovava preso Pola, in Istria. È a questi precisi luoghi che Dante si riferisce, per far immaginare al lettore ciò che vuol descrivere, con ciò stesso chiarendo che non si tratta di tombe scavate nel terreno, ma di sarcofaghi, arche cioè di pietra con un coperchio. Siamo dunque, Dante e con lui noi suoi lettori, in una piana cosparsa da una immensa distesa di arche sepolcrali rese roventi dalle fiamme accese dentro di esse, mentre dai coperchi aperti salgono i lamenti terribili dei dannati che in esse stesse giacciono.
Tra la fine del IX e l'inizio del canto X Virgilio spiega a Dante chi subisce tale pena: gli eresiarchi, i capi e seguaci di sette eretiche, poi più specificamente determinati però come i negatori dell'immortalità dell'anima, coloro che l'anima col corpo morta fanno. Ecco dunque spiegato, implicitamente, anche il motivo per cui compaiono qui proprio dei sepolcri; si tratta del criterio del ‘contrappasso' che prevede una corrispondenza o una somiglianza di qualche tipo fra la colpa e la relativa pena: coloro che credevano che la loro anima sarebbe morta assieme al corpo, vivranno invece all'Inferno con la loro anima immortale, ma racchiusa dentro una tomba, segno di quella mortalità che colpevolmente le avevano attribuito. E dentro di essa patiranno, con le fiamme, lo stesso supplizio che era riservato in terra ai corpi degli eretici.
Dante non vede alcuna di queste anime, ma sente ben presto una voce che proprio a lui si rivolge:
«O Tosco che per la città del foco
vivo ten vai così parlando onesto,
piacciati di restare in questo loco.
La tua loquela ti fa manifesto
di quella nobil patria natio
a la qual forse fui troppo molesto».
Subitamente questo suono uscìo
d'una de l'arche; però m'accostai,
temendo, un poco più al duca mio.
Ed el mi disse: «Volgiti! Che fai?
Vedi là Farinata che s'è dritto:
da la cintola in sù tutto ‘l vedrai».
Io avea già il mio viso nel suo fitto;
ed el s'ergea col petto e con la fronte
com'avesse l'inferno a gran dispitto.
Ma a questo punto (Inferno X, 36) lasciamo il lettore al piacere di ripercorrere personalmente, nell'episodio dell'incontro di Dante con Farinata degli Uberti e Cavalcante Cavalcanti, uno dei vertici della poesia italiana (e non solo) di tutti i tempi.
 
Franco Bergamasco

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