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Misterioso omicidio a Manhattan

Un inaspettato spiraglio di speranza

L’omicidio come terapia di coppia alternativa. Il Woody Allen di Manhattan Murder Mistery è la voce cinica e disincantata di chi si addentra in territorio ostile – la morte e il tradimento – ma ci passeggia allegramente e ne esce senza sporcarsi le scarpe. Il risultato è una commedia leggera e senza pretese particolari, che si focalizza sui personaggi più che sui fatti, che cura i dettagli con precisione aritmetica e si concede raffinate citazioni (pane per denti cinefili). Sullo sfondo c’è ancora Manhattan, una Manhattan da cartolina che si mostra allo spettatore nel lungo piano sequenza iniziale (I happen to like New York), la cui presenza però non soverchia i protagonisti, ma accompagna discretamente la vicenda. Mancata originalità a parte (e brio piuttosto moderato nello sviluppo della trama), la pellicola rappresenta un piccolo approdo nella carriera alleniana: perché se è vero che i rapporti di coppia vengono anche qui messi in discussione, la risposta del regista questa volta non è più così cinicamente disillusa. I Lipton non attraversano una irreversibile crisi coniugale. Sono semplicemente una coppia di mezz’età annoiata dalla routine e dalla monotonia, che alla fine della vicenda ritrova tutto il piacere di stare insieme. E lo fa in maniera piuttosto anticonvenzionale, certo (è pur sempre Woody Allen). Ma la visione disincantata delle relazioni uomo-donna, così abbondantemente declinata nei precedenti lavori del regista, lascia qui il posto ad un inaspettato spiraglio di speranza.
Lei (Diane Keaton) è una casalinga non ancora disperata prossima alla menopausa; lui (Woody Allen) è il Woody Allen di sempre, quello caustico e nevrotico che strappa una risata pur senza volerlo. L’omicidio della vicina di casa è la scintilla che accende la miccia della vicenda: l’ambiguità del comportamento del neovedovo fa nascere dubbi in Mrs Lipton, e la donna comincia ad indagare sulla sua presunta colpevolezza aiutata dall’amico Ted prima, e dal marito poi. L’ingresso di Allen nell’indagine vivacizza la narrazione e dà una brusca scossa al suo sviluppo: la colorita verve alleniana accende la vicenda e la apre a potenziali, beffardi, colpi di scena. In un simile panorama il delitto perde ogni possibile componente drammatica o dolorosa, e viene affrontato con ironia e con cinica leggerezza da protagonisti e personaggi secondari. Da qui, la verosimiglianza lascia conseguentemente il posto ad una giostra di situazioni bizzarre in cui lo spettatore fatica ad immedesimarsi, ma che sullo schermo fruiscono scorrevoli.
La fluidità della narrazione, però, è certamente alimentata da quell’accortezza realizzativa a cui si è fatto riferimento in precedenza. Del resto, la cura formale della pellicola va in parte a supplire un apparato contenutistico relativamente debole: se la prima parte della vicenda è infatti un po’ un diesel e la situazione fatica ad entrare nel vivo, il Woody Allen regista ripiega su espedienti tecnici più curiosi e più originali. E allora abbiamo, ad esempio, la macchina da presa che non sta ferma e che inquadra i personaggi con scatti repentini, quasi ad invadere la loro privacy; abbiamo le scene corali in cui i protagonisti, in cerchio, non entrano mai completamente all’interno dell’inquadratura; abbiamo il gioco di specchi a fine film, quando tutti i nodi vengono al pettine, che proiettano visivamente l’intrinseca ambiguità della vicenda. Intuizioni brillanti, senza dubbio. Il genio alleniano però, quello vero, rimane ancora sopito sotto la superficie.
 
Laura Savarino
Misterioso omicidio a Manhattan
(USA, 1993)
di Woody Allen
Durata: 105 minuti
Cast: Alan Alda, Woody Allen, Angelica Houston, Diane Keaton, Ron Rifkin, Marge Redmond


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