- n. 11 - Novembre 2009
- Recensioni
L'Argentina piange la morte di Mercedes Sosa, icona della libertà e simbolo del Sud America
Gracias Mercedes!
“Solo la mia patria e la mia gente mi hanno aiutata a ritrovare la creatività.
Essere lontani da casa è uno dei peggiori castighi che si possano subire”
Mercedes Sosa
(San Miguel de Tucumán, 9 luglio 1935 - Buenos Aires, 4 ottobre 2009)
Era la leggendaria icona del folklore e della coscienza dei popoli latinoamericani. Considerata uno dei simboli della resistenza alle dittature del continente, la sua voce ha attraversato diversi paesi nel mondo e ha raggiunto il cuore delle persone che a migliaia sono accorse per rendere omaggio alla salma, nella camera ardente che, onore riservato alle personalità più illustri del Paese, è stata allestita nella sede del Congresso. L’artista era malata da tempo e dal 18 settembre era ricoverata in una clinica della capitale per una disfunzione renale. “Nella giornata di oggi, nella città di Buenos Aires, comunichiamo che la signora Mercedes Sosa, la più grande artista della musica popolare latinoamericana, ci ha lasciato”, si legge sulla homepage del sito ufficiale dedicato alla cantante.
Mercedes Sosa era dotata di una voce bassa e potente e di un carisma universalmente riconosciuto. La sua carriera musicale, che attraversa cinque decenni con più di quaranta dischi all’attivo, l’ha vista recentemente duettare con artisti internazionali noti per il loro impegno politico come Joan Baez e Sting. Veniva chiamata “la Negra”, un chiaro omaggio alle sue origini indie. Il suo aspetto contrastava con le qualità vocali: piccola e robusta, sempre avvolta in pepli e in mantelli etnici, emanava grande fascino pur rimanendo una persona assai semplice. Diceva: “Gli artisti non sono leader politici: l’unico potere che hanno è quello di far accorrere la gente a teatro”.
Pur non definendosi mai apertamente attivista politica, la “cantora popular” era da sempre schierata in prima linea contro la dittatura e a favore dei diritti civili in Argentina. Era ritenuta dai suoi connazionali uno dei simboli viventi della resistenza. Negli anni ’60 e ’70 partecipò alla “Nueva cancion”, un movimento ispirato ai dettami marxisti che univa al folklore tradizionale dei popoli latinoamericani una carica politica nel dare voce ai poveri, agli sfruttati, agli oppressi.
Tra le canzoni di protesta più celebri da lei interpretate spicca “Cantiamo ancora”. Nel testo dice: “Sono stata uccisa mille volte - sono scomparsa mille volte - ed eccomi qui, risorta dai morti … Eccomi ancora qui, sorta dalle rovine della dittatura lasciate dietro - Cantiamo ancora”. Nel 1976 la sua musica fu vittima della censura: i militari le impedirono di pubblicare dischi e ad un concerto a La Plata venne arrestata. Durante l’esilio a Parigi che si autoimpose dedicò molti brani alla propria patria e alla speranza di cambiamento, di pace e di democrazia per gli argentini. Canzoni come “Todo cambia” e “Solo le pido a Dios” sono divenute autentici inni delle nuove generazioni alla libertà riconquistata.
Nel 1982, alla vigilia della caduta del regime, tornò in Argentina per una serie di concerti a Buenos Aires che furono registrati e pubblicati. Il successo discografico e il documentario dal titolo “Como un pájaro libre” coincisero con il ritorno della democrazia nel Paese.
Da allora non ha mai smesso di cantare, né di esibirsi anche all’estero. Arricchendo di continuo la propria discografia. Nel suo vasto repertorio ha interpretato e collaborato con poeti cileni quali Víctor Jara, Pablo Neruda, con il cubano Ignacio Villa e con Atahualpa Yupanqui, considerato il più importante esponente della musica folk argentina.
L’ultimo lavoro della cantante è uscito nel 2009: un doppio cd intitolato “Cantora”, nel quale l’interprete duetta con artisti sudamericani del calibro di Caetano Veloso, Lila Downs, Gustavo Cerati, Marcela Morelo, Jorge Drexler, Gustavo Santaolalla, Julieta Venegas. L’album era in corsa per i Latin Grammy che si sono svolti questo mese a Las Vegas.
Marco Pipitone