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Giacomo Leopardi e la morte della speranza

Fra i Canti di Giacomo Leopardi A Silvia, scritto a Pisa nell'aprile del 1828, è meritatamente fra i più famosi e amati da tutti i lettori. La figura di Silvia è in parte ispirata ad una persona reale, Teresa Fattorini, figlia del cocchiere di casa Leopardi, che in giovane età andò incontro alla morte per tisi. Il contino Giacomo avrà davvero sentito il canto di lei salire fino alle finestre della biblioteca dove era immerso nei suoi studi, e pianto la sua scomparsa; ma, come sempre in questi casi, la questione ha una portata molto più vasta.

Ce ne rendiamo conto per esempio leggendo la bellissima pagina dello Zibaldone (28 giugno dello stesso anno) in cui si descrive l'incanto ineguagliabile che suscita in ognuno "una giovane dai sedici ai diciott'anni"; quel "primissimo fiore della vita", pieno di speranza e ignaro di mali e sventure, ci eleva, ci trasporta "in un altro mondo"; subito interviene però la consapevolezza di ciò che il mondo reale è e sarà, per lei e per noi che la guardiamo, e con ciò il pensiero dei dolori che l'attendono, "della vanità di quelle speranze, della indicibile fugacità di quel fiore", e la compassione per lei e per noi.

Il vero tema della poesia dunque, al di là della persona reale che l'ha ispirata, è ciò che Leopardi chiama la "contraddizione spaventevole" fra il bisogno di felicità che la natura crea in noi e la realtà concreta, inesorabile dell'esistenza; è la caduta, secondo Leopardi inevitabile, delle illusioni della giovinezza. La morte precoce di Silvia, caduta prima di poter anche solo mettere alla prova la sua speranza di felicità, il fiore dei suoi anni, è il simbolo di ciò, e della fredda indifferenza della Natura alle attese degli uomini.

Questa condizione accomuna e rende fratelli la popolana e il giovane scrittore aristocratico; di qui nasce l'idea di cantare due vicende perfettamente parallele: dal comune sbocciare delle speranze ("Quale allor ci apparìa/la vita umana e il fato!") al pressoché simultaneo imporsi di ciò che per Leopardi è la realtà nel suo volto più autentico: per la fanciulla la morte precoce, per il poeta, "all'apparir del vero", un'altra morte: quella della speranza.

È appunto la speranza, personificata, il Tu cui il poeta si rivolge nell'ultima strofa; ma nella memoria del lettore l'immagine della speranza e quella della fanciulla, entrambe morte precocemente, non potranno non identificarsi.
 
Franco Bergamasco

A Silvia

Silvia, rimembri ancora
Quel tempo della tua vita mortale,
Quando beltà splendea
Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
E tu, lieta e pensosa, il limitare
Di gioventù salivi?
Sonavan le quiete
Stanze, e le vie dintorno,
Al tuo perpetuo canto,
Allor che all'opre femminili intenta
Sedevi, assai contenta
Di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
Così menare il giorno.
Io gli studi leggiadri
Talor lasciando e le sudate carte,
Ove il tempo mio primo
E di me si spendea la miglior parte,
D'in su i veroni del paterno ostello
Porgea gli orecchi al suon della tua voce,
Ed alla man veloce
Che percorrea la faticosa tela.
Mirava il ciel sereno,
Le vie dorate e gli orti,
E quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
Quel ch'io sentiva in seno.
Che pensieri soavi,
Che speranze, che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparia
La vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanta speme,
Un affetto mi preme
Acerbo e sconsolato,
E tornami a doler di mia sventura.
O natura, o natura,
Perché non rendi poi
Quel che prometti allor? Perché di tanto
Inganni i figli tuoi?
Tu pria che l'erbe inaridisse il verno,
Da chiuso morbo combattuta e vinta,
Perivi, o tenerella. E non vedevi
Il fior degli anni tuoi;
Non ti molceva il core
La dolce lode or delle negre chiome,
Or degli sguardi innamorati e schivi;
Né teco le compagne ai dì festivi
Ragionavan d'amore.
Anche peria fra poco
La speranza mia dolce: agli anni miei
Anche negaro i fati
La giovanezza. Ahi come,
Come passata sei,
Cara compagna dell'età mia nova,
Mia lacrimata speme!
Questo è quel mondo? Questi
I diletti, l'amor, l'opre, gli eventi
Onde cotanto ragionammo insieme?
Questa la sorte dell'umane genti?
All'apparir del vero
Tu, misera, cadesti: e con la mano
La fredda morte ed una tomba ignuda
Mostravi di lontano.

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